Città e Comuni nel Medio Evo

Nel Medioevo le città erano delimitate dalle mura. Con la parola urbs si intendeva la città in senso fisico, con le sue case e le sue vie; invece con la parola civitas si intendeva la comunità, la città nel senso politico e sociale.

Nel corso dell'Alto Medioevo (476-1000 d.C.) l'alleanza tra Sacro Romano Impero e Chiesa aveva garantito alla Chiesa, a partire dal IV secolo, una serie di privilegi in materia di giurisdizione e di imposte. I vescovi, grazie anche al successivo sostegno dello stato franco, avevano quindi acquisito il potere di riscuotere le tasse e garantire l'ordine pubblico. Essi erano spesso coadiuvati da consigli di preti o di ricchi capi famiglia quando dovevano affrontare problemi di interesse generale. Ai tempi dell'Impero carolingio i grandi signori feudali, come i conti, avevano invece rinunciato ad una sede stabile, visto che le città non erano più sede di produzione artigianale e di commercio, ed erano soliti spostarsi continuamente nelle varie parti del loro territorio.

Le città, durante l'alto Medioevo (tra i secoli V e X), si erano spopolate a causa del caos generato dalle invasioni barbariche e dal conseguente crollo dell’impero. I pochi gruppi di esseri umani sopravvissuti si concentravano attorno ai rari luoghi fortificati, come le abbazie o le fortezze, sperando che un potente padrone potesse proteggerli dall'assalto dei pirati Saraceni o di altri predoni come i Normanni o gli Ungari.  É probabile che la diminuzione della popolazione sia stata causata anche da un generale raffreddamento delle temperature e dalle conseguenti carestie. Un esempio di questo spopolamento è Roma: la Roma imperiale aveva avuto sino a 1 milione di abitanti, mentre nell'epoca di Carlo Magno ne aveva circa 30 mila. Gli abitanti si erano concentrati nella zona intorno al Tevere, lasciando grandi spazi liberi. Solo le città sedi vescovili non si spopolarono mai del tutto. Pur molto ridotte nella popolazione rispetto a un tempo, attorno alle loro mura si sarebbero formate le nuove città quando, sul finire del X secolo, iniziò la ripresa economica.

Solo dopo il 1000 le città ricominciarono a popolarsi. Grazie alla costruzione di numerosi castelli promossa dagli imperatori e dai loro vassalli, le aggressioni si erano notevolmente ridotte. Un clima più secco e l’aumento delle temperature medie favorirono lo sviluppo dell’agricoltura. Accanto alle mura iniziarono a formarsi i borghi, agglomerati urbani abitati da commercianti, artigiani e professionisti vari (i borghesi) che resero la città più dinamica da un punto di vista commerciale, artigianale e culturale. La crescita delle città è testimoniata dalla creazione di nuove e più grandi cinte murarie che inglobarono i borghi.

 

 Le Arti

«Nei centri urbani si concentrò anche gran parte delle attività artigianali che in precedenza avevano luogo nelle campagne e che conobbero una progressiva specializzazione. L’esigenza di tutelare tali attività e le merci che esse producevano spinse tanto gli stessi artigiani quanto i mercanti, che si occupavano di commercializzare i prodotti, a organizzarsi in associazioni di individui dediti alla medesima professione o al medesimo commercio: le Corporazioni o Arti, come le si chiamava perlopiù in Italia (dal latino ars, “mestiere, tecnica”), o ancora gilde, denominazione utilizzata soprattutto in area tedesca e inglese (da Geld, la tassa che veniva imposta agli affiliati per le spese di interesse comune).

Le Arti avevano una struttura rigidamente gerarchica, al cui vertice si trovavano i priori e i maestri (i proprietari, cioè, dei diversi esercizi). Gli statuti corporativi, che dovevano essere rispettati da tutti gli iscritti, regolamentavano minuziosamente l’attività del settore professionale di appartenenza, dall’acquisto delle materie prime agli orari di lavoro, all’apprendistato dei praticanti, ai prezzi delle merci ecc. Le Arti avevano anche potere giurisdizionale: erano infatti dotate di propri tribunali, che emanavano sentenze valide per tutti i membri e riconosciute dai governi cittadini». (Borgognone, Carpanetto, L'Idea della storia, vol. 1, p.40).

 

Nascono i comuni

Negli ultimi anni del secolo XI, in molte città d'Italia, i capi famiglia (es: mercanti, artigiani, uomini di legge, cadetti della piccola nobiltà) stipularono un patto (coniuratio), che inizialmente valeva solo per chi aveva aderito. Si trattava quindi di associazioni volontarie e private. Dopo che le famiglie più importanti ebbero tutte aderito al patto, il Comune attirò nella sua sfera di potere tutta la cittadinanza e chiese a tutti il giuramento di fedeltà. Il potere dei comuni era facilitato dai lunghi periodi di assenza dell'imperatore. Germania e Italia dipendevano dallo stesso imperatore (trattato di Verdun, 843) che, preoccupato di tenere sotto controllo i grandi e riottosi principi tedeschi, preferiva risiedere in Germania. In tal modo le città italiane, libere dalla sgradevole presenza di un potere supremo, si sentirono motivate e giustificate a rendersi sempre più autonome.

In molte città si iniziarono ad eleggere dei rappresentanti, chiamati - come nell’antica Roma - consoli (da 2 sino 24), ai quali era affidato il governo della città. Il Comune si avviava dunque a diventare un vero e proprio stato, simile alla polis greca, che esercitava il proprio predominio anche sul contado, il territorio circostante. Il potere dei consoli, che comprendeva quello militare in caso di guerra, durava generalmente da 6 mesi a un anno al massimo e non poteva essere rinnovato, onde evitare derive dittatoriali. Tutto questo processo avvenne talvolta in accordo col vescovo oppure come risultato di un conflitto terminato con la cacciata dello stesso vescovo, che era sostituito con un altro eletto dal popolo. 

I primi comuni consolari (Lucca e Pisa) sorsero nel 1085. Nei decenni successivi molte altre città dell'Italia centro-settentrionale (Pianura Padana, Veneto e Toscana, in sostanza nel Regnum italicum, sorto con il trattato di Verdun dell'843) si dotarono di simili magistrature. Il regime consolare era espressione dei cittadini più ricchi, in esso la gente comune non aveva alcuna voce.
Anche in alcune zone delle Francia e della Germania sorsero dei comuni, anche se possedevano un minore grado di autonomia. Essi non eleggevano consoli, ma erano governati da esperti di diritto detti «scabini». 
Pur essendo un fenomeno principalmente italiano, il comune non riuscì a sorgere nel Centro Italia (nel 1143 era nato un comune a Roma, ma durò pochi anni) e nel Meridione per l'ostile presenza del regno dei normanni e di quello del papa.

Le città si spartirono il contado, il territorio che le circondava, così poterono esigere tasse dai contadini e ottenere un facile approvvigionamento alimentare.

Questo stato di cose fu contestato apertamente dagli imperatori germanici. In particolare, l'imperatore Federico I, soprannominato il Barbarossa dagli italiani, nella prima Dieta di Roncaglia (1154) presso Piacenza aveva, tramite un editto, spogliato i Comuni di tutte quelle regalie (diritti) che essi avevano usurpato all'autorità imperiale: imporre tributi, battere moneta, eleggere magistrati. Tali diritti avrebbero dovuto essere esercitati da un funzionario di nomina imperiale. Successivamente Federico, dopo varie battaglie e il saccheggio di Tortona, era stato incoronato re d'Italia a Pavia (1155), antica capitale longobarda, e aveva fatto catturare l'eretico Arnaldo da Brescia, promotore di una riforma moralizzatrice della Chiesa. Sceso sino a Roma, sciolse il libero comune sorto di recente e consegnò Arnaldo al papa Adriano IV, che lo fece condannare a morte per impiccagione. Il corpo dell'eretico fu poi arso e le ceneri furono disperse nel Tevere affinchè la salma non diventasse oggetto di venerazione. A Roma Federico fu incoronato imperatore dal papa. 
Dopo essere rientrato in Germania, tornò in Italia per domare le ribellioni dei comuni che intanto erano insorti. Sconfitte Brescia e Milano, egli convocò una seconda Dieta di Roncaglia (1158) in cui  emanò, con l'ausilio dei maestri di diritto dell'Università di Bologna, un decreto imperiale chiamato Constitutio de Regalibus, con cui ribadiva i suoi diritti sovrani sui comuni.

Le Università erano istituzioni laiche (non soggette al controllo delle autorità ecclesiastiche) di insegnamento superiore che erano sorte a partire dal secolo XI per iniziativa di maestri e studenti. Lo studio era organizzato in facoltà: le 7 arti liberali, il diritto, la medicina e la teologia. Gli insegnamenti erano impartiti in latino e le conoscenze erano certificate attraverso appositi esami. I titoli erano riconosciuti ovunque. Per quanto se ne sa, la più antica università è quella di studi giuridici di Bologna, fondata nel 1088. 

La Lega lombarda contro Barbarossa
Profittando delle endemiche divisioni tra i comuni italiani, nel 1162 l'imperatore assediò, espugnò e distrusse la città di Milano che si era opposta alle decisioni di Roncaglia. Nel 1164, a causa dei soprusi dei funzionari imperiali, sorse una coalizione detta Lega Veronese che, nel 1167, confluì con altri comuni del nord nella più ampia Lega lombarda. Secondo la tradizione il patto militare fu siglato in un monastero di Pontida (a metà strada tra Bergamo e Lecco). Dopo alterne vicende, in cui anche il papa Alessandro III fu avversario dell'imperatore, il Barbarossa venne duramente sconfitto nella Battaglia di Legnano (1176) dai Comuni italiani e nel 1183, con la Pace di Costanza, riconobbe ufficialmente le prerogative che i comuni avevano già di fatto conquistato precedentemente. L'ingerenza imperiale veniva limitata nettamente, ma i Comuni riconoscevano la formale dipendenza vassallatica dall'Impero.

L'istituzione consolare entrò in crisi tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. All'origine di questa crisi erano le lotte tra le grandi famiglie aristocratiche e i ceti borghesi emergenti che si disputavano il primato in un clima di inimicizie, rancori e odi che finirono col logorare progressivamente la tenuta delle antiche magistrature comunali. A quella dei consoli si sostituì la figura politica del podestà. Tale carica doveva essere ricoperta, solitamente per sei mesi o un anno, da una persona non appartenente alla città che andava a governare, in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine, garantendo quindi l'imparzialità nell'applicazione delle leggi. Il podestà era dunque una specie di mediatore che deteneva il potere esecutivo, poliziesco e giudiziario. A lui spettava anche la presidenza del Consiglio dei savi, che votava a maggioranza le leggi.

A partire dall'inizio del secolo XIII i ceti borghesi, dopo essersi uniti nelle arti, affiancarono al podestà una nuova figura, quella del capitano del popolo, espressionde dei ceti nobiliari. creando un potere parallelo che acuì le tensioni interne alla città. “L’elezione del capitano, contrapposta alle preesistenti, finì per costituire un comune nel comune: il Commune populi, spesso contrapposto al Commune maius, l’uno rappresentato dai capitani del popolo, l’altro dai podestà. I capitani assunsero funzione antimagnatizia, cioè in contrasto con i magnati (cittadini nobili e ricchi o soltanto ricchi o che, pur non possedendo tali caratteristiche, intesero fondare un tipo di amministrazione oligarchica). Talvolta – accadde a Firenze – le Arti si costituirono addirittura in governo” (Ludovico Gatto, “La grande storia del Medioevo”, iBooks)

 

Immagine tratta da: Borgognone - Carpanetto, L'Idea della storia, Vol. 1, p. 48.

Federico II e l'ultimo sogno imperiale

Un altro momento di scontro tra imperatore e papa si ebbe ai tempi dell'imperatore Federico II.

Nel 1214 Filippo II di Francia sconfisse il re d'Inghilterra Giovanni I, detto Senzaterra (battaglia di Bouvines) e l'imperatore di Germania Ottone IV, conquistando alcune importanti province francesi; l'indebolimento di Ottone IV favorì la salita al potere di Federico II, già re di Sicilia dal 1208 e imperatore di fatto nel 1215 (l'incoronazione papale avvenne nel 1220).

Il suo regno, fortemente contrastato dalla Chiesa, fu caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, al fine di unificare le terre e i popoli. Federico fu protettore di artisti e studiosi, ed egli stesso fu un apprezzabile letterato. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Nel 1224, allo scopo di formare i funzionari imperiali egli fondò a Napoli uno Studium generale, la prima università fondata per decreto regio. 

«Nel 1231 nel castello di Melfi, in Lucania, che fu una delle numerose residenze italia­ne della sua corte itinerante, emanò, assistito dal giudice Pier della Vigna, suo consi­gliere di stato, il Liber augustalis, noto anche come Constitutiones melfitanae (Costituzioni di Melfi). Si trattava di una raccolta di leggi organica, fondata sul diritto romano e nor­manno, in cui l'imperatore riaffermava la sua superiorità sui feudatari e sulla Chiesa, riorganizzava la giustizia, affidandola a funzionari regi, e istituiva un apparato finan­ziario per la gestione del patrimonio demaniale e la riscossione di dazi e pedaggi.» (G, Maifreda, Tempi Moderni I, p. 92)


Dopo una lunga guerra contro i comuni del nord Italia, Enzo, uno dei figli di Federico, fu sconfitto e preso prigioniero nella battaglia di Fossalta (1249). L'anno dopo Federico morì senza aver potuto realizzare il suo sogno di restaurazione della grandezza passata dell'impero. Suo successore fu il figlio  Manfredi, che tentò di continuare l'opera del padre ma fu ucciso nel 1266 durante la battaglia di Benevento, sconfitto dalle truppe del fratello del re di Francia, Carlo I d'Angiò, chiamato in Italia dal papa Urbano IV. Nel 1268 anche Corradino, un nipote sedicenne di Manfredi e di Federico II, fu sconfitto in battaglia dai soldati di Carlo d'Angiò e decapitato. Il sogno imperiale degli Svevi era finito.

 

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