Jorge Luis Borges e l'Eterno Ritorno


LA DOTTRINA DEI CICLI
Questa dottrina (che il suo più recente inventore chia­ma dell'Eterno Ritorno) si può formulare così:
«Il numero di tutti gli atomi che compongono il mondo è, benché smisurato, finito; e perciò capace sol­tanto di un numero finito (sebbene anch'esso smisu­rato) di permutazioni. In un tempo infinito, il numero delle permutazioni possibili non può non essere rag­giunto, e l'universo deve per forza ripetersi.
Di nuovo nascerai da un ventre, di nuovo crescerà il tuo sche­letro, di nuovo arriverà questa pagina nelle tue mani uguali, di nuovo percorrerai tutte le ore fino all'ora della tua morte incredibile. » Tale è l'ordine solito di quest'argomentazione, dal preludio insipido fino al­l'enorme scioglimento minaccioso. Di regola viene at­tribuita a Nietzsche.
Prima di confutarla - impresa di cui non so se sono capace — conviene concepire, sia pur vagamente, le sovrumane cifre che essa invoca. Comincio dall'ato­mo. Il diametro di un atomo di idrogeno è stato cal­colato, salvo errori, in un centomillionesimo di centi­metro. Questa vertiginosa piccolezza non vuol dire che esso sia indivisibile: al contrario, Rutherford lo defi­nisce a immagine di un sistema solare, fatto di un nu­cleo centrale e di un elettrone rotatorio, centomila vol­te più piccolo dell'intero atomo. Lasciamo questo nu­cleo e questo elettrone, e concepiamo un frugale uni­verso composto di dieci atomi. (Si tratta, è ovvio, di un modesto universo sperimentale: invisibile, poiché non lo sospettano i microscopi; imponderabile, poiché nessuna bilancia lo apprezzerebbe.) Postuliamo anche - sempre d'accordo con la congettura di Nietzsche -che il numero di mutamenti di quest'universo è quello dei modi in cui si possono disporre i dieci atomi, va­riando l'ordine in cui essi sono disposti. Quanti stati differenti può conoscere quel mondo, prima di un eterno ritorno? L'indagine è facile: basta moltiplicare 1x2x3x4x5x6x7x8x9x10, prolissa operazione che ci dà la cifra di 3.628.800. Se una particella quasi infinitesima di universo è capace di una simile varietà, poca o nessuna fede dobbiamo prestare a una mono­tonia del cosmo. Ho considerato 10 atomi; per otte­nere due grammi di idrogeno, ce ne servirebbero molto di più di un bilione di bilioni. Fare il calcolo dei mu­tamenti possibili in quel paio di grammi - vale a dire, moltiplicare un bilione di bilioni per ciascuno dei nu­meri interi che lo precedono - è già un'operazione molto superiore alla mia pazienza umana.
 (.........)

Nietzsche fa ricorso all'energia; la seconda legge del­la termodinamica afferma che ci sono processi energe­tici irreversibili. Il calore e la luce non sono altro che forme dell'energia. Basta proiettare una luce sopra una superficie nera perché la luce si trasformi in calore. Il calore, invece, non tornerà più ad essere luce. Questa prova, dall'aspetto inoffensivo o insipido, annulla il cosiddetto  «labirinto circolare» dell'Eterno Ritorno.
La prima legge della termodinamica afferma che la energia dell'universo è costante; la seconda, che que­st'energia tende alla disgregazione, al disordine, anche se la quantità totale non diminuisce. Quella graduale disintegrazione delle forze che compongono l'universo, è l'entropìa. Una volta raggiunto il massimo di entro­pìa, una volta uguagliate le diverse temperature, una volta esclusa (o compensata) ogni azione di un corpo su di un altro, il mondo sarà un fortuito concorso di atomi. Nel centro profondo delle stelle quel diffi­cile e mortale equilibrio è stato già raggiunto. A forza di scambi l'universo intero lo raggiungerà, e sarà tie­pido e morto.
La luce si disperde in calore; l'universo, minuto per minuto, si fa invisibile. Si fa più leggero, anche. Fin­ché, non sarà nient'altro che calore, calore equilibrato, immobile, uguale. Allora sarà morto.
Una perplessità finale, questa volta di ordine metafisico. Accettata la tesi di Zarathustra, non arrivo a ca­pire come due processi identici non finiscano per riu­nirsi in uno solo. È sufficiente la mera successione, non verificata da nessuno? In mancanza di un arcan­gelo speciale che faccia i conti, che cosa significa il fatto di attraversare il ciclo tredicimilacinquecentoquattordici, e non il primo della serie o il numero trecentoventidue alla duemillesima potenza? Nulla, nella pratica – il che non nuoce al pensatore. Nulla, per l’intelligenza – il che è già grave.

Jorge Louis Borges, Storia dell’eternità, La dottrina dei cicli, (Borges, Tutte le opere, vol. I, A. Mondadori,  Meridiani, vol. I,  pp. 568-578)





Commenti