Schopenhauer e l'origine dell’idea di Superuomo


 
Una conoscenza filosofica dell’essenza del mondo, arrivata, senza andate più oltre, al punto in cui ci troviamo basterebbe già, dunque, a vincere i terrori della morte, in quanto almeno in un dato
individuo la riflessione abbia la meglio sul sentimento immediato. Immaginiamo un uomo che abbia ben assimilate le verità finora esposte, ma non sia peraltro arrivato, nè per esperienza propria né per via di una profonda riflessione, a riconoscere che l’essenza della vita è un perpetuo soffrire; anzi, sia pienamente soddisfatto della sua vita, sicché una calma riflessione gliela faccia desiderare prolungata senza fine o rinnovata in perpetuo; un uomo che sia coraggioso quanto bisogna per accettare i fastidi e i dolori della vita, pur di non perderne i piaceri. Un tale uomo starebbe «con solide membra / sulla ben fondata / stabile terra»: e non avrebbe nulla da temere. Armato della conoscenza che gli attribuiamo, egli vedrebbe con indifferenza la morte che gli viene incontro; la considererebbe come un’apparenza mendace, come un fantasma impotente, fatto per spaventare i deboli, ma senza potere sopra chi sa di essere lui stesso quel volere, di cui l’universo è l’oggettivazione o la copia. Un tale uomo saprebbe che la vita gli è dunque assicurata in eterno, insieme col presente, forma unica ed esclusiva di ogni manifestazione della volontà; che un passato e un futuro infiniti, privi di lui, non sono che un miraggio, il velo della maya quindi non se ne spaventerebbe: sicuro contro la morte come il sole contro le tenebre.
A. Schopenhauer, Mondo come volontà e rappresentazione, Mondadori, p. 405


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