La nascita dei Giudicati e il dominio aragonese in Sardegna


Sotto Giustiniano, nel 534, i bizantini conquistarono la Sardegna sottraendola ai vandali. Più tardi, presumibilmente nel IX secolo, la forte pressione degli arabi (che avevano occupato la Sicilia a partire dall'827) isolò la Sardegna dall’impero bizantino da cui formalmente dipendeva. Fu presumibilmente alla fine del IX secolo che la Sardegna organizzò in modo definitivo la propria autonomia politica.


Furono così costituiti quattro regni detti «giudicati»:

  • Torres o Logudoro, che si sviluppò nella parte nord occidentale dell’isola su territori predisposti naturalmente a all’agricoltura e all’allevamento; la capitale era in origine Turris (oggi Porto Torres), poi Ardara e infine Sassari.  
  • Gallura, che si sviluppò nella parte nord orientale e che era il regno più piccolo e più povero; La sua "capitale" era ubicata a Civita, edificata sul sito dell'antica Olbia.  
  • Arborea, che si sviluppò nella parte centro occidentale ricca di territori pianeggianti e sede di un’equilibrata attività agro-pastorale;  la capitale era inizialmente Tharros e, dal 1076, Oristano.
  • Cagliari (o Calari), che occupava la parte sud orientale dell'isola, era il giudicato più esteso e più ricco; aveva come capitale Santa Igia, le cui rovine si trovano sotto i quartieri occidentali di Cagliari (zona di Santa Gilla).

Gli attacchi degli Arabi continuarono ma la resistenza dei Sardi, sostenuta dagli imperatori carolingi, si fece sempre più sicura.

I quattro regni si andarono strutturando in forma molto diversa e originale rispetto al resto d’Europa: il permanere di istituzioni della tradizione romano-bizantina favorì la formazione di piccole monarchie accentrate totalmente estranee al sistema feudale dell’Europa post-carolingia.
I Giudicati furono Stati sovrani dotati di summa potestas (capacità di stipulare trattati internazionali), confini e frontiere, sigilli e stendardi, e governati da re chiamati in sardo judikes, che erano gli eredi dei precedenti governatori bizantini, detti «praesides» oppure «judices».. Nel contesto internazionale del Medioevo si contraddistinguevano per la modernità della loro organizzazione rispetto ai coevi regni europei di tradizione barbarico-feudale, trattandosi di stati non patrimoniali (non di proprietà del sovrano) ma superindividuali, al di sopra dei suoi stessi regnanti. La sovranità era espressa in forme semi-democratiche come le Coronas de Curadorias le quali a loro volta eleggevano i propri rappresentanti alla massima assise parlamentare chiamata Corona de Logu, che veniva convocata per esprimersi sulle questioni politiche più importanti e generali (intronizzazione del nuovo giudice, guerre, paci, ecc.). Il territorio (su Logu) era suddiviso in distretti amministrativi che si chiamavano, appunto, Curadorias, caratterizzate da un capoluogo dove risiedeva il Curadore, che rappresentava il Giudice.
Il principio della successione ereditaria non era sufficiente per diventare judikes. Il giudice (chiamato anche rex in alcuni documenti in latino dell'epoca), veniva confermato attraverso una votazione a cui partecipavano «i prelati, gli alti funzionari dello stato e le persone più in vista per censo e posizione sociale» (F. Artizzu, La Sardegna Pisana e genovese, p.56). Egli occupava l'apice della gerarchia sulla base di un patto col popolo (cosiddetto bannus-consensus), venuto meno il quale il sovrano poteva essere detronizzato ed anche legittimamente ucciso, senza che questo incidesse sulla trasmissione ereditaria del titolo all'interno della dinastia regnante. “In politica, ciò che il re faceva senza il placet della «corona de logu» rivestiva carattere personale, non vincolante per il popolo, almeno per quelle deliberazioni che investivano gli interessi generali della Nazione.” (Francesco Cesare Casula. “Profilo Storico della Sardegna Catalano-Aragonese”)
I Giudicati di Cagliari, Torres e Gallura, terminarono la loro storia intorno alla metà del secolo XIII, assorbite dalle potenze di Genova e Pisa. Il Giudicato di Arborea sarebbe durato più a lungo.

 Fonte cartina: wikipedia.org



Arborea e Aragona

Nel 1282 il re Pietro III d’Aragona era stato chiamato in soccorso dai Siciliani, che si erano ribellati al governo francese di Carlo d’Anjou, e con una fortunata campagna si era impadronito della Sicilia.

Iniziò così un periodo di lotte per il controllo del Mediterraneo Occidentale; l’intervento di Pietro III in Sicilia infatti non era stato determinato solo da ragioni dinastiche (Pietro III era sposato con Costanza di Hohenstaufen, figlia di Manfredi e nipote di Federico II di Svevia), ma anche da ragioni commerciali: il controllo della via delle spezie era di vitale importanza per l’ormai florida marineria catalano-aragonese.

La guerra turbava un equilibrio tanto faticosamente raggiunto e soprattutto sembrava una minaccia per la politica del papa, che nella presenza degli Anjou in Italia e in una loro proiezione mediterranea vedeva una garanzia.

Per risolvere la guerra, il 4 aprile 1297 Bonifacio VIII creò l’ipotetico Regnum Sardiniae et Corsicae e ne investì Giacomo II (conferendogli in pratica una licentia invadendi). Le cose non andarono secondo i disegni del papa: la Sicilia rimase in possesso di Federico, fratello di Giacomo, e dei suoi discendenti e l’investitura di Giacomo II fu la premessa per il confronto tra il regno d’Aragona e le repubbliche marinare italiane, che sentivano minacciati i propri interessi politici e commerciali in Sardegna e Corsica.

Forse nel principio né il papa né Giacomo II credettero seriamente di realizzare il progetto di conquista. Il Giudice Giovanni d’Arborea  (soprannominato Chiano) si dichiarò pronto a combattere contro gli aragonesi e consolidò l'alleanza con i pisani. Nemmeno i buoni rapporti degli aragonesi con il successivo giudice Mariano III d’Arborea furono sufficienti per tentare la conquista della Sardegna. La spedizione fu decisa solo vent’anni dopo, quando il giovane giudice Ugone II, stanco dell’opprimente presenza pisana, appoggiò senza riserve il progetto d’invasione. Il possesso della Sardegna avrebbe consolidato il dominio aragonese sul Mediterraneo attraverso la cosiddetta «ruta de las islas» (Baleari-Sardegna-Sicilia-Creta-Cipro) che conduceva dalla Catalogna in Oriente.

Giacomo riuscì a isolare diplomaticamente Pisa, a escludere un’intervento genovese e ad accattivarsi il favore del papa. In Sardegna era riuscito ad avere dalla sua parte, oltre al giudice d’Arborea Ugone II, i Doria e i Malaspina.
Quando il 13 giugno 1323 l’Infante Alfonso (figlio di Giacomo II e futuro Alfonso IV il Benigno) sbarcò a Palmas (presso S. Giovanni Suergiu) e iniziò la conquista dell’isola, l’impresa sembrava un’operazione tesa principalmente a liberare la Sardegna dai pisani.

Una volta sbarcati, gli Aragonesi si congiunsero con le truppe di Ugone II d’Arborea e cinsero d’assedio Iglesias. Dopo un'estate caldissima e un inverno rigido e piovoso che infiacchì entrambi i contendenti, il 7 febbraio la città si arrese per modum pactis, in virtù di un accordo che permetteva agli abitanti che non avessero voluto passare sotto il dominio aragonese di lasciare la città.
Secondo il racconto dello storico spagnolo del '500 Jèronimo Zurita, la metà degli assedianti era morta in battaglia o per malattia. Dopo la resa di Iglesias l’infante Alfonso si trattenne sette giorni e, dopo aver emendato il Breve, lasciò la moglie ad Iglesias e si diresse verso Cagliari, che era già sotto assedio. 

La conquista di Villa di Chiesa e il ripristino della zecca, che da qualche anno non stava funzionando, avrebbe contribuito a rifondere i debiti contratti per organizzare la campagna militare, a finanziare il nuovo apparato burocratico e a versare al pontefice il censo annuale. La nuova moneta fu chiamata Alfonsino d'argento, in onore dell'infante autore della conquista e futuro Alfonso IV.


Intanto il pisano Manfredi della Gherardesca aveva organizzato la difesa. L’esercito aragonese giunse presso Cagliari proprio nel momento in cui stava sbarcando un forte contingente di truppe inviato da Pisa. Lo scontro fu inevitabile e il 29 febbraio 1324 a Lucocisterna (presso l'attuale via del Fangario a Cagliari) gli Aragonesi sconfissero i Pisani.

 

Il castello di Cagliari fu assediato e gli aragonesi costruirono sul colle di Bonaria una nuova città; sembrava che si fosse creata una situazione senza uscita.

Intanto l’occupazione delle terre pisane nel giudicato di Cagliari e in Gallura procedeva e l'appoggio di Sassari sembrava consolidare la conquista. Il 19 luglio 1324, dopo l'arrivo di venti galee aragonesi cariche di armati, il castello capitolò e fu stipulata la pace con Pisa: il Comune avrebbe conservato il castello e parte dei suoi possedimenti come feudo della Corona d’Aragona. La pace però non poteva durare a lungo. La guerra riprese e Pisa dovette rassegnarsi ad accettare una nuova capitolazione e, il 24 aprile 1326, anche Cagliari fu unita al Regno di Sardegna sotto il controllo del re d'Aragona, svuotata dalla popolazione pisana e ripopolata con genti iberiche.

 
La guerra tra Arborea e Aragona

All’interno di una complessa situazione internazionale carica di forti tensioni (gli aragonesi si erano alleati con Venezia in funzione anti-pisana) il giudice d’Arborea Mariano IV, nel 1353, ruppe l’alleanza con gli aragonesi e scatenò una guerra. Qualcosa aveva rotto i buoni rapporti tra i due stati, anche se non é chiarissimo cosa; si sa che  Mariano provava del risentimento nei confronti del re Pietro IV che sembrava preferirgli suo fratello Giovanni. Il giudice abbandò il re d’Aragona, arrestò il fratello e lo fece morire in carcere, e ruppe gli accordi che il padre e il fratello avevano sottoscritto. Purtroppo i documenti arborensi sono stati distrutti dai vincitori e le uniche fonti sono catalano-aragonesi. La lunga durata del conflitto dimostra che non si trattò di pura volontà espansionistica da parte di Mariano, ma, come ha evidenziato F. C. Casula, di “uno scontro fra due stati che non potevano convivere nel ristretto spazio di un’isola, con l’Arborea che geograficamente tagliava in due e condizionava la vita del regno di Sardegna e Corsica, e che coltivava aspirazioni ed interessi diametralmente opposti a quelli degli Aragonesi.” (Francesco Cesare Casula, Profilo Storico della Sardegna Catalano-Aragonese)

La guerra iniziò quando Alghero, fedele a Genova, dopo essersi arresa a una flotta catalano-veneziana (battaglia di Porto Conte – agosto 1353) si ribellò e chiese l’intervento del giudice Mariano IV al grido “Arborea, Arborea, morgen los catalanos!”(Arborea, Arborea, muoiano i catalani!”). Mariano, alleatosi coi Doria sardi, nell’ottobre riconquistò la città e proseguì la guerra con la strategia della terra bruciata. Anche Iglesias si ribellò e aprì le porte alle truppe arborensi. Quasi tutta l'isola era in mano ai sardi. Tuttavia l’anno seguente Pietro IV, giunto in Sardegna da Barcellona con una poderosa flotta, fece pace col giudice e riottenne Alghero. Cacciò quindi tutti gli abitanti e ripopolò la città di soli iberici.

Dopo una seconda pace firmata a Sanluri nel 1355, la guerra riprese nel 1365 con un carattere più nazionalista sancito dal voto della Corona de Logu. Mariano tentò senza successo di farsi assegnare il titolo di re di Sardegna e Corsica dal papa Urbano V, che avrebbe dovuto toglierlo a Pietro IV d'Aragona. Nel 1368 Mariano sconfisse in battaglia gli aragonesi che avevano marciato sino ad Oristano. Dopo che Ugone, il figlio di Mariano, ebbe conquistato Sassari anche Villa di Chiesa gli aprì le porte e il castello Salvaterra fu conquistato. Solo Cagliari, Alghero e poche altre piazzeforti rimanevano nelle mani aragonesi e la guerra pareva sul punto di concludersi in favore dei sardi del giudicato di Arborea quando, nel 1376, avvenne l'improvvisa morte di Mariano IV, forse per la peste.

Il progetto di unificazione nazionalista di tutti i popoli della Sardegna fu perseguito da Ugone III, figlio di Mariano IV, che continuò a sostenere con decisione la guerra. Essendosi urtato con l’aristocrazia isolana, nel 1383, fu pugnalato e, secondo una cronaca, gettato ancora vivo, con la lingua mozzata, in un pozzo. Con lui fu uccisa anche una sua figlia ancora bambina.

Iniziò il governo di una regina reggente (in nome del figlio minore Federico), Eleonora, che è il più noto dei personaggi del medioevo sardo. Sposata con Brancaleone, l’erede dei Doria sardi, Eleonora inviò a Barcellona suo marito per trattare la pace ma Pietro IV lo fece arrestare e portare prigioniero a Cagliari. Anche se un'effimera pace fu effettivamente sottoscritta (1388 a Cagliari) Brancaleone fu liberato solo nel 1391, dopo che Eleonora aveva restituito  al nuovo re Giovanni il castello di Posada (della Fava) e quello di Salvaterra a Iglesias.
 
Questo è il giudizio su Eleonora espresso da Francesco Cesare Casula, il più importante studioso della Sardegna giudicale:
Eleonora d'Arborea è un personaggio del tutto comune, sia dal punto di vista politico che diplomatico. Non partecipò ad azioni belliche perché, la sua, non fu una guerra guerreggiata ma, semmai, una serie di embarghi e di atti ostili antiaragonesi. Non ebbe una grande visione politica e non s'aprì all'esterno, al pari dei suoi predecessori, cercando di stringere alleanze con importanti casate dell'epoca e risolvere col loro appoggio il problema sardo. Anzi, per una serie di circostanze avverse fu costretta a cedere, nel 1388, quasi tutti i territori conquistati dal padre (...)
F. C. Casula, La Storia di Sardegna, vol. II, Carlo Delfino Editore, pp. 764-765



Giudicessa d'Arborea (dipinto di fantasia di Antonio Caboni, 1881, Municipio di Cagliari)


Dopo la sua liberazione Brancaleone riprese immediatamente la guerra e riconquistò i territori perduti. In meno di sei mesi il Regno di Sardegna era nuovamente ridotto alle sole città di Cagliari e Alghero, e a qualche castello isolato (F. C. Casula, op. cit. pag. 773).
Nel 1392 Eleonora promulgò il famoso codice chiamato “Carta de Logu”, una versione aggiornata ed ampliata della Carta emanata in precedenza da suo padre, che avrebbe regolato la vita giuridica sarda sino al 1827, quando fu promulgato il Codice di Carlo Felice (regno sardo-piemontese).

Come ha osservato Paola Sirigu:

Dalla lettura della Carta de Logu emergono molti tratti in comune col codice barbaricino, ad esempio la durezza e la crudeltà delle pene inflitte e la norma assolutoria in caso di omicidio per legittima difesa. Accanto alle pene pecuniarie trovavano spazio le mutilazioni della persona, i trascinamenti a coda di cavallo, l'amo sulla lingua se non il taglio della stessa.
(Il Codice barbaricino, D. Zedda Editore,  2007, pp. 20-21)


Nel 1405 morì Eleonora, così come il suo giovanissimo figlio Mariano V nel 1407. Brancaleone dovette interrompere l’assedio di Longonsardo (presso Santa Teresa di Gallura) e l’accerchiamento di Cagliari; si preparava la successione sul trono d’Arborea dei discendenti di Beatrice, la sorella di Eleonora.

Il nipote di Beatrice, Guglielmo III di Narbona, divenne giudice d’Arborea mentre il re di Sicilia Martino il giovane, figlio del re aragonese Martino II, dopo aver convinto suo padre, andava preparando una grande spedizione per attaccare la Sardegna e conquistarla.

In attesa dell’arrivo di Guglielmo III, le funzioni di giudice di fatto erano state attribuite a Leonardo Cubello, discendente da Nicola, uno dei fratelli di Mariano IV; questa soluzione aveva alienato alla causa giudicale il vecchio Brancaleone che si era chiuso a Castelgenovese (oggi Castelsardo) dove, dopo aver tentato una pace separata con gli Aragonesi, fu fatto prigioniero e ucciso nel 1409.

Martino era sbarcato a Cagliari nell’ottobre del 1408 e aveva iniziato con vigore a predisporre la sua campagna; intanto Guglielmo III preparava il suo arrivo in Sardegna stringendo alleanze con Genova, coi Malaspina e con i Doria.

Guglielmo III fu incoronato nel gennaio del 1409; fallito un estremo tentativo di pace, i due avversari passarono alle armi e il 30 giugno 1409 a Sanluri i loro eserciti si scontrarono. Fu una battaglia cruenta, che segnò il definitivo tracollo della potenza d’Arborea. Guglielmo III si ritirò e Sanluri fu conquistata. Pochi giorni dopo cadeva Iglesias.

 La battaglia di Sanluri, 1409 - Da: F. C. Casula, La Sardegna aragonese 2, La nazione sarda, Chiarella, 1990


Martino il giovane morì improvvisamente, proprio quando si apprestava a dare il colpo finale all’avversario, probabilmente stroncato dalla malaria, mentre Guglielmo si recava in Francia per trovare aiuto.

Fu così che in un clima di estrema confusione la migliore organizzazione degli Aragonesi ebbe il sopravvento nei confronti dei Sardi, sempre più soli e sempre più stanchi di una guerra che appariva senza fine.

Dopo aver conquistato Bosa, gli aragonesi misero sotto assedio Oristano. La capitolazione del giudicato fu firmata il 29 marzo del 1410 da Leonardo Cubello e Pietro Torrelles: al Cubello, in cambio di 30 mila fiorini d'oro, veniva assegnata in feudo, col titolo di marchese, Oristano con i tre Campidani di Cabras, Milis e Simaxis. Solo poche curadorie non si arresero agli aragonesi.
Dopo alterne vicende, col ritorno in Sardegna di Guglielmo III, la resa definitiva avvenne nel 1420. Guglielmo accettò la cessione di tutti i diritti per la cifra di 100 mila fiorini d'oro. Finiva così l’ultimo Stato sardo indipendente, dopo quasi cento anni il Regnum Sardiniae era in mano aragonese.

Fonti: La Sardegna aragonese, Francesco Cesare Casula, Chiarella, Sassari, 1990 

Profilo Storico della Sardegna Catalano-Aragonese, Francesco Cesare Casula, Della Torre, 1982




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