La peste nera

Dove la steppa asiatica raggiunge il Mar Nero, lungo la costa orientale della Crimea (oggi in Ucraina), sorge la città di Feodosiya, uno squallido insediamento con le fattezze tipiche della decadenza post-sovietica, ma nel 1340 si chiamava Caffa e il governatore genovese risiedeva in un sontuoso palazzo che si affacciava sul porto. I genovesi avevano mutato Caffa da un primitivo villaggio di pescatori in una graziosa città con un ricco mercato ed eleganti palazzi in pietra.
Nel 1346 Caffa fu assediata dai tartari che scagliarono con le catapulte una grande quantità di cadaveri di appestati sulla città nella speranza che il morbo e il fetore uccidessero gli abitanti.

La peste nera che da Caffa giunse in Europa dimostrò una vitalità straordinaria colpendo, nel giro di pochi anni, regioni lontanissime l’una dall’altra come la Cina, l’India, la Siberia, l’Iraq e l’Egitto. 

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Fonte: https://www.britannica.com/place/Crimea

Tra il 1347, anno dell’arrivo della peste in Sicilia e il 1352 quando giunse presso Mosca, l’Europa perse 25 milioni di persone, un terzo del totale della popolazione del tempo.

I contemporanei furono atterriti da un male straordinariamente letale, la speranza di vita crollò miseramente, l’apocalisse pareva annunciarsi.


La peste è una malattia tipica dei roditori e viene trasmessa loro dalle pulci. Gli esseri umani sono vittime collaterali. Le prede naturali della Yersinia Pestis sono dunque le marmotte, i ratti, gli scoiattoli ed altre numerose specie di roditori che cominciavano ad essere trasportati in località lontane dai mercanti che si muovevano numerosi tra l’oriente e l’occidente. Le città del secolo XIV, molto più popolate di un tempo, erano ben adatte alla diffusione della malattia.

Altro fattore importante del contagio erano le condizioni igieniche. Secondo le ipotesi più accreditate, sembra che il principale veicolo di infezione sia stato il topo comune, il Rattus Rattus, che si nutre dei rifiuti urbani e che popolava copioso le città del tempo.  “La città rende gli uomini liberi”, dicevano i tedeschi nel medioevo, tuttavia la concentrazione di esseri umani, topi, mosche e immondizie in uno spazio ristretto chiuso da mura faceva della città medievale una specie di fogna a cielo aperto. Nella Parigi medievale i nomi di molte vie derivavano dalla parola merde: Rue Merdeux, Rue Merdelet, Rue Merdusson, Rue des Merdons e Rue Merdière. Altre strade prendevano i nomi dagli animali che venivano macellati: Champ Dolet, l’ecorcherie. In ogni città c’erano vie in cui i macellai, sporchi di sangue, squartavano, tagliavano e segavano, in mezzo a frattaglie di ogni genere e ai gemiti degli animali agonizzanti. Il sangue degli animali sgozzati inondava le strade, ammorbava l’aria e attirava torme di topi.

Il tipico sistema fognario urbano iniziava con canali di scolo a cielo aperto che convergevano verso canali più profondi e finalmente si gettavano in un punto di raccolta (di solito un fiume). Quasi sempre il sistema faceva affidamento sulla forza di gravità e sull’acqua piovana. Il tempo secco e i grandi mucchi di escrementi si accumulavano nei canali e nemmeno i temporali, quando scoppiavano, riuscivano a convogliarli lontano.

Il corpo degli uomini del medioevo non erano in condizioni molto migliori delle strade cittadine. Edoardo II (1284-1327) scandalizzò Londra quando fece ben tre bagni in tre mesi! I greci consideravano la pulizia una virtù essenziale e i romani ritenevano tanto importante l’igiene che avevano eretto terme simili a templi. I cristiani rivoluzionarono questa visione e iniziarono a giudicare le terme un luogo di lussuria e peccato. Sembra che sant’Agnese (morta a Roma nel 304 all’età di 13 anni) e Caterina da Siena (1347-1380) siano morte senza aver mai fatto un bagno. Anche san Francesco si lavava molto di rado. Dagli studi effettuati a partire dalla fine dell'800 sembra che il primo veicolo del contagio sia stata la Xenopsylla Cheopis, la pulce dei topi. Non è da escludere che anche la pulce umana, la Pulex irritans, abbia avuto un ruolo importante.

Da Caffa alle giungle del Vietnam anche la guerra ha sempre favorito la diffusione delle malattie. Infatti essa crea rifiuti che attirano i topi, i corpi sporchi attirano le pulci, lo stress indebolisce il sistema immunitario.

Il ruolo della malnutrizione è tuttora controverso. Comunque nelle pestilenze di India e Cina agli inizi del ventesimo secolo l’esperienza ha mostrato che la malnutrizione costituisce un fattore di rischio, in quanto danneggia il sistema immunitario del feto, causando una vulnerabilità che dura tutta la vita.


Per la Xenopsylla Cheopis il passaggio dal topo all’uomo è il frutto della disperazione. Il sangue umano non le è particolarmente gradito ma, se tutti i topi sono morti, non le resta altra scelta se non vuole morire di fame. La Xenopsylla Cheopis può sopravvivere per sei settimane senza cibo, quanto basta per essere trasportata per centinaia di chilometri. Una pulce infetta non può digerire bene il sangue che ha succhiato, così, afflitta da fame cronica, continua a mordere incessantemente diffondendo rapidamente il bacillo.


Negli esseri umani la peste può assumere due forme cliniche:

Peste bubbonica è  la più comune e viene trasmessa dalla pulce e ha un periodo di incubazione che varia dai due ai sei giorni. Il principale segno caratteristico è il bubbone ovoidale che si sviluppa nella regione dell’inguine, nelle ascelle e sul collo.  Febbre acuta, vomito, diarrea, bava, vesciche, foruncoli la caratterizzano. Chi ne è colpito, a volte dà segni di delirio o altra pazzia, a volte cade in letargo, la pelle si cosparge di segni cinerei. Sembra che la peste medievale rendesse l’alito estremamente maleodorante. Il bubbone era terribilmente doloroso. Non curata ha un tasso di mortalità di circa il 50/60 %.

Peste polmonare: Può accadere che, in qualche caso, i bacilli della peste creino delle metastasi nei polmoni, causando la peste polmonare. La vittima tossisce e sputa sangue e il virus si diffonde per via aerea. Questa forma, se non curata, raggiunge un tasso di mortalità superiore al 99%.

Ecco come il Boccaccio, nel Decameron, descrive i sintomi della malattia:

[...] nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.


Tutte le galee in fuga da Caffa divennero il palcoscenico di spettacoli orrendi. Ovunque c’erano persone che deliravano, che macchiavano i pantaloni con perdite anali sanguinolente; alcuni invocavano la madre, la moglie e i figli, altri maledicevano Dio. C’era chi trasudava pus dalle piaghe, altri erano colti da letargia mentre corpi enfiati di cadaveri  rotolavano avanti e indietro sui ponti scossi dal rollio della nave.


Nell’ottobre del 1347 dodici galee genovesi attraccarono al porto di Messina, la peste nera era arrivata in Europa. In quel tragico autunno, a Messina molti morirono senza avere accanto un familiare, un prete che ne ascoltasse la confessione o un notaio che prendesse nota delle ultime volontà. Solo i cani rimanevano fedeli ai padroni ammalati. In pochi mesi la peste raggiunse tutta l’isola uccidendo almeno un terzo della popolazione.

Con le stive piene di morti e agonizzanti i genovesi, espulsi da Messina, continuarono a navigare verso altri porti e così l’Europa occidentale iniziò a infettarsi senza rimedio. Genova stessa (che aveva provato a respingere le navi infette) era stata colpita a fine anno. Nei mesi successivi furono colpite Venezia, Firenze, Siena, Pistoia, Perugia, Orvieto solo per citare le città più importanti. Nel gennaio del 1348 la peste arrivò ad Avignone, nell’estate giunse a Roma.


Nel Medio Evo la settimana santa era tradizionalmente il periodo in cui si scatenava la violenza contro gli ebrei. A mano a mano che, nel corso dell’estate del ’48, la peste dilagava verso est attraverso la Francia, la Germania e la Svizzera, cominciò a diffondersi la voce che l’epidemia fosse frutto di un complotto ordito dagli ebrei. Tra l’estate del 1348 e l’inizio del 1349, fu sterminato un numero imprecisato, ma comunque molto elevato, di ebrei europei. Alcuni furono bruciati vivi, altri arrostiti su griglie, mazzolati o chiusi in botti di vino e gettati nel Reno. Si parlò di un patto segreto tra ebrei e musulmani per sterminare i cristiani. L’ovvia obiezione che di peste morivano anche gli ebrei non valeva nulla per il popolaccio teso alla ricerca di un capro espiatorio e bramoso di mettere le mani sulla ricchezza degli ebrei. Alcuni governanti difesero le comunità ebraiche ma altri, temendo rivolte popolari, lasciarono che la plebaglia sfogasse la sua violenza.


Il papa, Clemente VI, aveva aperto ad Avignone un nuovo cimitero, concesso l’assoluzione dei peccati ai morenti, tolto il divieto dell’effettuazione delle autopsie affinché i medici potessero indagare la causa del male, condannato gli attacchi contro gli ebrei con una bolla dai toni durissimi. Il papa si rifugiò in una tenuta fuori città e trascorse parecchio tempo nelle proprie stanze seduto in mezzo a due fuochi scoppiettanti. I fuochi erano stati accesi su consiglio dei medici, convinti che il calore avrebbe purificato l’aria infetta. Il sistema funzionò perché i fuochi tenevano lontane le pulci.


Un altro fenomeno inquietante fu quello dei flagellanti, che dilagarono nell’Europa centrale tra la fine del 1348 e l’inizio del 1349.  Essi offrivano alle folle la loro “sacra rappresentazione” di sangue, dolore e redenzione. Nell’avvicinarsi a ogni città o villaggio, la schiera si annunciava con un impressionante coro di voci profonde. Alla vista dei flagellanti – scalzi, incappucciati, con mantelli bianchi ornati di croci rosse – la gente implorava: “salvateci!” Alcuni spettatori piangevano, donne in estasi si stringevano le mani al petto, alcuni portavano i loro morti per farli benedire. Gli ebrei si nascondevano dal momento che i flagellanti erano violentemente antisemiti. Entrati nella chiesa, i flagellanti si spogliavano sino alla cintola e si colpivano violentemente sulla schiena nuda. Quindi il Maestro si aggirava tra i caduti colpendo alla cieca con una frusta dotata di punte di ferro affilate come aghi. Talvolta accadeva che una punta si conficcasse così profondamente nella carne che poteva essere estratta solo con un violento strattone. Al termine, i presenti si aggiravano tra i penitenti singhiozzanti e sanguinanti, appoggiando i fazzoletti sulle ferite aperte.

La flagellazione come espiazione di colpe collettive ebbe inizio in Italia nel 1260, quando la penisola fu colpita da una serie di carestie, epidemie e guerre. Dall’Italia il fenomeno si diffuse in Germania. Nel 1349, il papa Clemente VI dichiarò eretico il movimento, intuendone la pericolosità politica (i flagellanti si credevano santi e non obbedivano più alla gerarchia). Tuttavia le bande di flagellanti tedeschi continuarono a comparire più volte. Essi uccidevano gli ebrei ovunque riuscissero a trovarne. Così le autorità si decisero a stroncare il fenomeno con la forza.


Impotenza della medicina
La medicina del tempo era impotente di fronte alla peste. I medici seguivano ancora gli insegnamenti del greco Ippocrate per il quale la salute era condizionata dall’equilibrio nel corpo umano dei suoi quattro elementi costitutivi (sangue, bile nera, bile gialla e flegma). L’aria cattiva era considerata pericolosa perché rompeva l’equilibrio degli umori del corpo. Così, prima di effettuare una visita, i medici si coprivano la testa con una maschera simile alla testa di un pellicano. Nel lungo becco veniva posto un profumo che avrebbe dovuto contrastare gli effetti dei miasmi.

Per i luminari cattedratici di Parigi la causa principale della peste era una sfavorevole congiunzione astrale. Per il medico John Colle il rimedio contro l’aria infetta era un’aria ancora più infetta. Così molte persone iniziarono ad accovacciarsi ai bordi delle latrine puzzolenti per inalare i miasmi. Un altro medico musulmano Ibn Khatimah (che, ligio alla credenza islamica, non credeva al contagio) consigliava di sottoporsi a salassi per purgare le impurità del corpo. Per Gentile da Foligno i salassi dovevano durare sino allo svenimento!

A Winchester i cittadini chiesero che fosse scavata una fossa fuori dalle mura per seppellire i cadaveri che impestavano l’aria, ma il vescovo si oppose perché il giorno della resurrezione i morti avrebbero rischiato di essere dimenticati.

Gli unici consigli utili furono la dieta (solo perché favoriva il funzionamento del sistema immunitario) e il fuoco (perché teneva lontane le pulci). Il consiglio medico più efficace veniva chiamato la "pillola dei tre avverbi": «cede cito, longinquus abi, serusque reverte». Gli uomini avevano capito che la peste era contagiosa ed evitavano i contatti con gli ammalati e con i loro oggetti, che spesso venivano bruciati.


Un bel giorno, dopo che Mosca fu devastata dall'epidemia nel 1352, la cristianità scoprì che la peste se n’era andata. Vita e allegria, che per tanto tempo erano state bandite, chiesero a gran voce di rifarsi. I superstiti bevevano fino ad ubriacarsi, fornicavano spudoratamente, spendevano con prodigalità, mangiavano con ingordigia, si vestivano in modo stravagante.  Matteo Villani, il cronista fiorentino, scrisse: “Ci si sarebbe aspettati che coloro che la bontà divina aveva risparmiato…sarebbero diventati migliori, più umili, virtuosi e devoti (…). E invece… accadde esattamente l’opposto.”

Eppure la festa non durò a lungo. Nel 1361 ci fu una nuova e grave epidemia di peste, così una terza scoppiò nel 1369 e in avanti sino al 1720 l’Europa fu colpita, a intervalli quasi regolari da nuove ondate della malattia. Eppure nessuna di queste epidemie fu grave come quella del 1347.


La peste aveva sterminato, nel 1352, un terzo della popolazione europea. Le città divennero più piccole e i campi non coltivati numerosi, così come i ponti pericolanti, le fattorie abbandonate, i frutteti invasi dalle erbacce. Ovunque il segno della morte e della desolazione. Le “danze macabre”, cerimonie in cui la morte appariva come una scanzonata danzatrice desiderosa di danzare con chiunque, furono il segno di un nuovo rapporto con la morte. L’uomo tardo-medievale si aspettava di morire presto e dopo una lunga e atroce agonia. Il senso della fugacità della vita si acutizzò.



La danza della morte (1493) di Michael Wolgemut - Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre#/media/File:Danse_macabre_by_Michael_Wolgemut.png

Viaggiare per l’Europa durante un’epidemia di peste nera era un’esperienza inquietante. Navi alla deriva vagavano per il mediterraneo lasciandosi trasportare dalle onde. I raccolti rimanevano intonsi e gli animali domestici incustoditi. I lupi affamati si arrischiavano sino a Parigi, lottando contro cani, gatti e maiali per accaparrarsi i morti insepolti (Il quarto cavaliere, A, Nikiforuk).

Dopo la peste un mondo più ricco
Eppure l'arrivo della peste non era stato per tutti un male. Molti avevano ereditato beni dal valore cospicuo dai parenti morti. La peste li aveva resi improvvisamente ricchi.
Un altro effetto della cronica mancanza di lavoratori fu che il costo della manodopera e di tutto ciò che era frutto del lavoro crebbe terribilmente. Verso il 1375 i prezzi dei generi alimentari si stabilizzarono e quindi iniziarono a scendere, vista la diminuzione della domanda. Tutti gli altri generi continuarono ad aumentare o si stabilizzarono in alto. La nobiltà terriera fu la classe sconfitta, poiché i “proletari” scoprirono che la loro unica merce di scambio, il lavoro, aumentava di valore e di conseguenza aumentava anche il loro tenore di vita. I contadini, se non erano soddisfatti delle condizioni proposte dal feudatario, potevano spostarsi in altri luoghi, certi di trovare proposte migliori.

Nel mezzo secolo successivo alla peste nera le rendite agricole salirono poichè, ormai, si coltivavano solo le terre più fertili.

I nobili reagirono imponendo leggi che rendessero illegale rifiutare un impiego o rompere un contratto di lavoro. Essi aumentarono, inoltre, le tasse dei contadini causando gravi rivolte contadine. In Francia, la rabbia e la disperazione dei contadini diede luogo alla jaquerie del 1358. In Inghilterra, il predicatore John Ball, nel 1381 ,esortò i contadini a massacrare i signori che avevano calpestato l'originale eguaglianza di tutti gli uomini.

Il brusco declino della forza lavoro costituì uno stimolo per la costruzione di nuovi strumenti che permettessero di risparmiare sulla manodopera. Gli alti salari fecero impennare il costo dei libri (un libro costava quanto una casa) proprio in un periodo, il 1400, che ne richiedeva in quantità. L'urgente bisogno di libri fu causa determinante del'invenzione dei caratteri a stampa di Gutemberg. Nel settore minerario nuove pompe consentirono a un minor numero di minatori di scavare gallerie più profonde, nuovi sistemi di salatura consentirono ai pescherecci di stare più a lungo in mare con un equipaggio più piccolo.

Anche lo sviluppo delle armi da fuoco deve essere, almeno in parte, spiegata come un sistema per sfruttare meglio l’efficacia dell’azione dei soldati, i cui salari erano aumentati. I mulini, che prima erano usati solo per la macina dei cereali, vennero usati anche per altri scopi, come la follatura dei tessuti e il taglio della legna.

Anche gli ospedali cominciarono ad assumere l’aspetto moderno. Prima della peste gli ospedali servivano soltanto ad isolare gli ammalati. Dopo l’epidemia tentavano, perlomeno, di curarli. Un importante innovazione furono le corsie. I pazienti affetti dalla stessa malattia furono sistemati negli stessi locali. Anche l’igiene pubblica venne controllata meglio. Si istituì la “quarantena”.

Il lungo periodo di epidemie ebbe profondi effetti sulla religiosità. La gente, delusa dall’incapacità delle autorità ecclesiastiche di opporsi all’epidemie, iniziò a desiderare un rapporto più diretto e personale con Dio. Nuove sette ereticali, come i Lollardi in Inghilterra, fecero al loro apparizione. Questo “disinganno” nei confronti dell’autorità ecclesiastica favorì i germi che avrebbero portato, più tardi, alla riforma protestante.

Nell’autunno del 1347, quando la peste giunse in Europa, il continente era stretto nella morsa di un immobilità economica e intellettuale. La grande disponibilità delle risorse per i sopravvissuti, il bisogno di sostituire con nuovi sistemi la manodopera mancante scacciò l’inerzia. L’Europa emersa dalla spaventosa carneficina della peste nera era un continente rinnovato e purificato.



La peste in Sardegna

La peste giunse in Sardegna alla fine del 1347 o all’inizio del 1348 e fece molte vittime nel cagliaritano. Dopo la Sicilia la nostra fu una delle prime terre occidentali ad essere colpite dal morbo e, forse, proprio a causa di ciò i Doria, vincitori ad “Aidu de Turdu” (presso Bonorva) dei Catalano-Aragonesi, desistettero improvvisamente dall’assedio di Sassari e tornarono, i più, a Genova, permettendo al governatore del regno di Sardegna, Rambaldo de Corbera, di rientrare a Sassari. Nel 1375 ci fu una nuova pestilenza che produsse grosse perdite demografiche ed alla quale si deve la morte di Mariano IV d’Arborea. Pare che anche la morte di Eleonora d’Arborea, nel 1403, fosse dovuta alla peste. Numerose altre pestilenze colpirono nei secoli successivi la Sardegna. La più documentata fu quella del 1652. Portata da una tartana catalana che attraccò nel porto di Alghero, dilagò in tutta la parte settentrionale dell’isola e giunse, in seguito, anche a Cagliari. Il suo ricordo sta nella sagra di S. Efisio che si rinnova ogni anno il 1° maggio per il voto pronunciato l’11 luglio 1652 dai consiglieri della città di Cagliari. Ancora oggi nella via del Fossario si può visitare un ampio sotterraneo scavato nella roccia in cui venivano gettati i corpi dei morti di peste.



Fonti utilizzate:

John Kelly, “La Peste nera”, ed. Piemme

Nikiforuk Andrew, “Il quarto cavaliere. Breve storia di epidemie, pestilenze e virus”, ed. Mondadori

F. C. Casula, “Dizionario Storico Sardo”, ed. Carlo Delfino

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