La guerra d'indipendenza americana

NASCITA DELLE 13 COLONIE

Nell’aprile del 1607 alcune navi inglesi con circa 500 persone giunsero nell’odierna Virginia e fondarono l’insediamento di Jamestown, la prima colonia inglese nel nuovo mondo.

I coloni incontrarono molte difficoltà a sopravvivere, per via del territorio paludoso e degli attacchi da parte dei nativi americani.


Nel settembre del 1620 la nave Mayflower, dopo un viaggio durissimo, portò nuovi coloni, i cosìddetti Padri Pellegrini (puritani che scappavano dalle persecuzioni religiose -
52 uomini, 18 donne e 32 bambini). Fu così fondata la città di Plymouth nel Massachussets. L’autunno era alle porte e le terre circostanti deserte, selvagge e inospitali. Il primo inverno fu durissimo e oltre 40 persone morirono di stenti.

Negli anni successivi altri coloni raggiunsero le avanguardie. Nel 1630 fu fondata Boston e nacquero le prime 4 colonie della cosiddetta Nuova Inghilterra: Massachussets, New Hampshire, Connecticut e Rhode Island.

Oltre ai puritani, molto rappresentativa nella storia delle origini americane è la setta dei Quaccheri. Essi cercavano di realizzare le dottrine del fondatore George Fox, che ammettevano un’interpretazione individuale delle Scritture e il rifiuto dell’intermediazione sacramentale di qualsiasi Chiesa. La loro fede animò una congrega di fedeli con la “visione” di terre nuove e vita nuova nel Nuovo Mondo. Un progetto che si concretizzò quando il
Re Carlo II, per ripagare alcuni debiti, aveva concesso al figlio del suo creditore, il quacchero William Penn, un vasto territorio ricco di foreste che fu poi denominato Pennsylvania. In questo nuovo stato l'anno successivo fu fondata la città di Filadelfia, che fu costruita lasciando ampi spazi tra le costruzioni al fine di controllare meglio gli incendi.
Alla base di questo esperimento c’era la convinzione che, in nome dei principi quaccheri, si potesse amministrare un Paese, mantenere la pace e l’ordine senza guerre, in pace con gli Indiani (da cui oculatamente, però, il Governatore acquistò i diritti sulle terre) e realizzare una Chiesa priva di gerarchie, basata solo sulla libertà di coscienza.

Dal 1607 al 1732 furono fondate 13 colonie.

Nel 1621, dopo un’eccezionale annata di mais, di commercializzazione delle pellicce, e una copiosa esportazione di legname (eventi in cui furono visti i segni del favore divino), i puritani si associarono agli indiani per una festa chiamata Thanksgiving, il “Ringraziamento”, che da allora si festeggia sempre in autunno (quarto giovedì di novembre). La piccola colonia di Plymouth, che non superò mai i settemila abitanti, fu poi assorbita dal Massachussets, più popoloso e organizzato. I puritani, guidati dal capo carismatico John Wintrop volevano fondare la biblica “città in cima alla collina”. La fede religiosa conferì ai primi coloni la forza sufficiente a sopravvivere e a ingrandire gradualmente la dimensione degli insediamenti.

Nel complesso le colonie, prospere e gelose, della propria autonomia, non avevano contatti fra di loro. Furono due elementi esterni che portarono a far stringere i legami di solidarietà che prelusero alla guerra d’indipendenza: un comune nemico, la Francia, e un’errata politica fiscale adottata dal governo inglese. I francesi, acerrimi nemici dell’Inghilterra anche in Europa, premevano alle spalle dei monti Appalachi per ampliare i loro pur vastissimi possedimenti, allora genericamente chiamati Louisiana, estesi lungo la valle del Mississippi dalla regione dei Grandi Laghi e del San Lorenzo sino al Golfo del Messico.


LA CONQUISTA DEI TERRITORI INDIANI

Subito dopo il loro sbarco sulla costa americana, i coloni inglesi entrarono in contatto con la popolazione indigena; tra questi due gruppi umani si instaurò all'inizio un tipo parti­colare di rapporto che è stato definito dallo storico statunitense Francis Jennings «una pre­caria simbiosi». Con questa felice espressione, Jennings ha chiarito come, all'inizio del­le loro relazioni, ognuno dei due gruppi avesse trovato presso l'altro beni utilissimi, e quin­di avesse interesse a mantenere con esso relazioni amichevoli e pacifiche, di tipo commerciale. Gli indiani delle regioni costiere del Nord America praticavano su larga scala l'agricoltu­ra, producendo soprattutto mais; questo fatto si rivelò decisivo ai fini della sopravviven­za di vari insediamenti nel corso dei primi anni di permanenza in America, quando i con­tatti con l'Inghilterra erano saltuari e non si poteva ancora contare su regolari raccolti pro­dotti dalle terre lavorate dai coloni.

La precarietà della simbiosi consisteva nel fatto che, nel giro di poco tempo, l'equilibrio nelle relazioni si alterò profondamente, a danno degli indiani. Innanzitutto poiché gli indiani non avevano difese immunitarie di alcun tipo nei confronti delle ma­lattie di origine europea (prima fra tutte il vaiolo). Molte tribù furono decimate dalle epi­demie contratte a seguito delle relazioni instaurate con i coloni. Inoltre gli inglesi, nel giro di pochi anni dal proprio insediamento, non ebbero più bisogno del mais  proveniente dai campi coltivati dagli indiani; questi ultimi, viceversa, si abituarono in fret­ta all'uso di alcuni prodotti tipicamente europei come i tessuti (gli indiani non conoscevano il telaio), il rum, gli attrezzi in ferro e le armi da fuoco, che divennero indispensabili sia per la guerra sia per la caccia, relegando in secondo piano gli strumenti tradizionali.

Per acquistare i prodotti inglesi gli indiani furono costretti a procurarsi merci che potessero interessare gli europei; tra queste, il primo posto spettò alle pellicce (soprattutto di ca­storo), che i coloni esportavano con profitto in Inghilterra o in Olanda. Fra gli indiani, però, lo sforzo di procurarsi il maggior quantitativo possibile di pellicce provocò un no­tevole aumento della conflittualità fra le varie tribù, ognuna delle quali aspirava a essere l'interlocutore commerciale privilegiato dei coloni. Il colpo definitivo a questo complesso si­stema di relazioni, già decisamente sbilan­ciato a favore dei coloni, veniva inferto da­gli europei quando, a seguito dell'arrivo di nuovi immigrati o del naturale incremen­to demografico, le terre a disposizione non erano più sufficienti ad alimentare la po­polazione della colonia. Allora, si procede­tte senza troppi scrupoli all'occupazione dei territori indiani, e alla precaria simbiosi cen­trata sugli scambi commerciali si sostitui­rono le guerre di conquista. 


tredicicoloniestatiunit
Le 13 colonie - Fonte: https://italianostoriablogsite.wordpress.com/2017/06/21/le-13-colonie-inglesi-dellamerica-del-nord/


LO SVILUPPO DEMOGRAFICO ED ECONOMICO DELLE COLONIE

Le tredici colonie inglesi che furono fondate in America settentrionale erano tutt'altro che omogenee quanto a caratteristiche del clima e a risorse del territorio. Nel Settecento, le più fortunate apparivano la Virginia e il Maryland (nel Sud), ove era stato possibile im­piantare la redditizia coltivazione del tabacco. Il New England (nel Nord), da parte sua, esportava invece pesce e, soprattutto, prodotti navali come legname, catrame di legna, resina, canapa; con il tempo, assunse un notevole sviluppo anche l'industria cantieristica, che arrivò a pro­durre circa 100 vascelli all'anno; negli anni Set­tanta del Settecento, il 40% dell'intera flotta britannica era stato fabbricato oltreoceano. Nel Settecento, la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura; nelle città, il co­sto della manodopera era in genere molto elevato perché non ve n'era abbastanza a dispo­sizione; quasi tutti, infatti, potevano facilmente acquistare un pezzo di terra e diventare pic­coli proprietari. I piccoli proprietari erano presenti soprattutto nelle colonie delle regioni settentrionali, nelle quali si coltivavano prevalentemente cereali, in aziende agricole di pic­cola o media grandezza; nel Sud, invece, si diffuse la grande piantagione, che produceva, oltre al tabacco, il riso e l'indaco (utile come colorante)  per l'esportazione e che necessitava di una grande quantità di lavoratori per funzionare. Qui il problema della manodopera si rivelò fin dal principio critico.

Per aumentare la manodopera si pensò quindi di deportare i condannati. Nel XVIII secolo, i codici penali britannici erano durissimi, in quanto prevedevano l'im­piccagione anche per numerosi reati minori. Fino al 1713 (termine delle guerre contro la Francia) ai criminali condannati a morte fu offerta la possibilità di arruolarsi nell'esercito. A partire dal 1717, il Parlamento approvò un atto che concedeva la grazia a chi avesse ac­cettato la deportazione nelle colonie e un lungo periodo di lavoro forzato. Tra il 1720 e il 1775 furono trasferiti in America circa 30.000 criminali: probabilmente, più di due terzi rag­giunsero la Virginia e il Maryland, dove venivano subito ingaggiati dai piantatori più po­veri. Qui, erano obbligati ad almeno sette anni di lavoro servile (quattordici in caso di commutazione di una pena di morte). Se erano ancora in vita alla scadenza di questo pe­riodo, diventavano uomini liberi.

Per tutto il Settecento, le colonie inglesi nel Nord America mostrarono una capacità straordinaria di attrarre emigranti e di conseguenza la loro  popolazione aumentò
vertiginosamente. Tra il 1700 e il 1760 la popolazione delle colonie americane aumentò del 600%, passando da 250 mila abitanti a un milione e settecento mila. Per fare un paragone, nello stesso periodo gli abitanti dell'Inghilterra e del Galles crebbero del 23%.


IMMIGRAZIONE DI MASSA E SERVITÙ

Solo una parte dei nuovi arrivati proveniva dall'Inghilterra; a partire dal secondo decen­nio del Settecento, infatti, arrivarono masse di tedeschi (sia di fede luterana, sia apparte­nenti a sette minoritarie perseguitate) e di irlandesi protestanti, originari dell'Ulster. Que­sti emigranti possono essere divisi in due grandi categorie; mentre alcuni di essi giunsero in America dotati di risorse sufficienti per acquistare un appezzamento di terreno o per in­traprendere qualche altra attività che permettesse loro di vivere, la maggioranza di coloro che partivano non aveva neppure di che pagarsi il viaggio. Non avendo nulla da perdere in patria, spesso erano ingannati dai reclutatori di manodopera con promesse di facili for­tune oltreoceano; per questi disperati persino la traversata in nave era un'espe­rienza durissima e durante il tragitto morivano a decine a causa della scadente alimen­tazione e delle pessime condizioni igieniche degli alloggi.

Una volta giunti in America, un periodo di lavoro servile attendeva i nuovi arrivati; in pagamento del prezzo del trasporto, i capitani del­le navi vendevano gli emigranti ai grandi proprietari, presso i qua­li dovevano lavorare come servi per circa quattro anni. Questo sistema di reclutamento della manodopera era detto indenture (cioè servitù a contratto) e poneva la persona in una condizione intermedia tra lo schiavo vero e proprio e il libero cittadino. Diversamente dallo schia­vo, il servo poteva possedere proprietà personali e ricorrere presso le autorità in caso di violenze o altri soprusi compiuti dal padrone nei suoi confronti; soprattutto, il servo bianco poteva, nel giro di tre o quattro anni, diventare un uomo libero. Tuttavia, gli studi com­piuti dagli storici su questo fenomeno dei servi bianchi a contratto hanno dimostrato che solo due su dieci, al termine del periodo di lavoro coatto, riuscivano a uscire dalla miseria e a inserirsi nella so­cietà coloniale assumendo una posizione sociale dignitosa. Il resto, o moriva nel periodo del lavoro servile (particolarmente duro, per i bianchi, nelle piantagioni delle colonie meridionali) o finiva per trasformarsi in mendicanti, assistiti dalla carità pubblica.



GLI SCHIAVI NERI

Nel Settecento, si stima che in tutto il continente americano giungessero 10-20.000 schiavi ogni anno; i mercanti europei li acquistavano dai sovrani neri dei grandi regni dell'Africa co­stiera, i quali si rifornivano tramite razzie compiute a danno degli abitanti delle regioni del­l'entroterra. In cambio degli uomini da trasferire oltre l'Atlantico, i trafficanti bianchi offri­vano armi da fuoco, manufatti e rum (in genere un barile per ogni schiavo). Le testimonianze dei contemporanei segnalano con frequenza che i prigionieri provavano terrore di fronte al mare, ai mercanti bianchi e alle loro enormi navi; moltissimi, pertanto, erano i tentativi di suicidio al momento dell'imbarco o nel corso del viaggio, durante il quale i problemi prin­cipali erano di tipo igienico. Con tanti uomini stipati in un luogo chiuso e sporco (il pro­blema delle latrine, infatti, non trovò mai adeguata soluzione), il rischio più frequente era quello delle epidemie, che potevano sia uccidere buona parte dei prigionieri e rovinare l'affa­re al mercante, sia coinvolgere (soprattutto nel caso del vaiolo) lo stesso equipaggio. È possibile che i primi schiavi neri siano arrivati nel Nord America nell'agosto 1619, al­lorché una nave da guerra olandese ne scaricò venti sulle coste della Virginia, scambiandoli con vettovaglie. 

Anche se il fenomeno della servitù a contratto bianca continuò per tutto il Set­tecento, agli occhi dei proprietari delle grandi piantagioni l'im­portazione di schiavi neri parve decisamente più redditizia: lo schiavo poteva essere sfruttato con maggiore profitto, per tem­pi più lunghi e con minori difficoltà dei servi bianchi, molti dei qua­li, come si è detto, non riuscivano a sopportare le dure condizioni del lavoro di piantagione e morivano prima della scadenza del con­tratto.

Il XVIII secolo, pertanto, vide il costante aumento della popolazione nera nelle colonie inglesi del Nord America: nel 1700, i neri presenti erano già 28 mila (pari all' 1% della po­polazione globale); nel 1770, il loro numero era salito a 459 mila (corrispondente al 21,8% della popolazione complessiva).




VERSO LA GUERRA D'INDIPENDENZA

Alla fine della guerra dei Sette anni la Gran Bretagna risultò essere la maggior potenza economica e la dominatrice assoluta sui mari; nonostante ciò, la corona inglese si ritrovò a dover sostenere enormi spese di guerra e la responsabilità di amministrare e difendere i nuovi territori acquisiti in Nord America.

Nelle 13 colonie nordamericane della Corona Inglese esistevano condizioni di crescita sociale ed economica che non avevano riscontro in alcun paese europeo. L’eccezionale libertà in diversi settori (mercato, stampa, governo) aveva inoltre contribuito ad un sentimento d’orgoglio nazionale.

Tutte le colonie erano guidate da un governatore nominato da Londra. Questi aveva il potere esecutivo e poteva respingere le leggi decise da un consiglio e da un'assemblea elettiva
di americani. Le colonie erano sottoposte ai rigidi vincoli mercantilistici imposti dalla madrepatria. Il divieto di impiantare industrie che facessero concorrenza a quelle inglesi (che avevano provocato un bilancio negativo tra esportazioni e importazioni), i gravami fiscali e il diniego del permesso di espansione verso Ovest peggiorano il rapporto con Londra. 

LE PRINCIPALI CAUSE DELLA GUERRA

Nel 1764 il Parlamento inglese varò lo Sugar Act. Fu abbassato il dazio sulle melasse importate dalle Antille francesi ma fu esteso ad altri prodotti (zucchero, vino, caffè). I coloni erano abituati a pagare soltanto le imposte locali, e furono molto contrariati dalla nuova imposta.

 Nel 1765 il Parlamento di Londra  volle estendere alle colonie (per coprire le spese militari necesarie per la protezione delle stesse colonie) una tassa del bollo (Stamp Act), già in vigore nella madrepatria, per la quale ogni modalità d’uso della carta, nei giornali, nei documenti commerciali, negli atti legali, eccetera, era sottoposta a un tributo, che veniva pagato mediante l'apposizione di un bollo.

 
La protesta dei coloni fu sintetizzata nel motto “No taxation without representation”.
I coloni americani non avevano eletto alcun rappresentante nel lontano Parlamento inglese e ritenevano tutte le tasse  imposte da Londra come incostituzionali. Ben presto quindi prese piede il movimento di protesta antifiscale da parte degli americani.


La guerra dei sette anni aveva posto fine alla dominazione francese sui territori canadesi, cosicché i coloni non avevano più quella necessità di protezione che era stato uno dei principali motivi di attaccamento alla patria di origine. Inoltre, l'obbligo imposto ai coloni di commerciare soltanto con l'Inghilterra aveva provocato una grave situazione di deficit nella bilancia commerciale. Anche la limitazione della libera espansione territoriale dei coloni, che l'Inghilterra voleva in sostanza confinare a oriente dei monti Appalachi, in favore degli indigeni che abitavano il resto del territorio, fu percepita  come un atto di dispotismo e di inaccettabile limitazione della libertà dei coloni, che pretendevano di essere liberi.

Sia lo Sugar Act che lo Stamp Act furono presto annullati in seguito alle violente proteste ma il Parlamento votò una dichiarazione, il Declaratory Act, con cui affermava di avere il diritto di sottoporre a tassazione gli americani. Per coprire le entrate perdute dall'abolizione dello Stamp Act il Parlamento inglese varò una serie di imposte indirette su alcune merci (carta, vernici, piombo, tè) che le colonie importavano dall'Inghilterra, causando il perdurare delle proteste.

Nel 1773 la Compagnia delle Indie Orientali ottenne dal Parlamento (Tea Act, 1773) il diritto di vendere in esclusiva e mediante i suoi stessi agenti il tè che importava dalla Cina, tagliando fuori gli intermediari americani che avevano fino ad allora goduto di un ampio e fruttuoso giro di affari. Il primo passo verso la guerra fu la nascita di un vasto movimento di protesta antifiscale da parte degli americani. Il primo episodio di violenza avvenne quando, a seguito della legge sul tè (1773) alcuni militanti indipendentisti, saliti a bordo di una nave della Compagnia, gettarono in mare il suo carico di tè (Boston Tea Party). La risposta inglese non si fece attendere e così il porto di Boston venne chiuso, furono sciolte tutte le assemblee locali e fu imposto il trasferimento in Inghilterra degli imputati americani. 
I rapporti si inasprirono dopo che il Congresso continentale riunitosi a Filadelfia nell'autunno del 1774, con delegati di tutte le colonie, stabilì di rivendicare l'autonomia amministrativa dei coloni votando il boicottaggio sistematico delle merci inglesi, da imporre con la forza anche a quegli americani che non l'avessero praticato spontaneamente. 


SCOPPIO DELLA GUERRA

Nonostante nel Primo Congresso Continentale del 1774 fossero prevalse le posizioni moderate, di fatto gli eventi presto degenerarono e nelle diverse colonie si iniziarono a raccogliere uomini e armi con cui opporsi alle imposizioni della madrepatria, cercando di costituire un “esercito di liberazione“. Bisogna considerare che solo un terzo dei coloni era decisamente a favore dell'indipendenza, un terzo era contro e un terzo non sapeva prendere posizione.

Formalmente, l’apertura della Guerra d’Indipendenza e l’entrata in guerra ufficiale si ebbe il 10 maggio 1775, con un atto del secondo Congresso Continentale, riunito sempre a Filadelfia, il quale affidò il comando dell’esercito coloniale al generale George Washington. Di fatto, però, questo secondo Congresso, pur sancendo l’entrata in guerra contro l’Inghilterra, non dichiarò esplicitamente l’obiettivo dell’indipendenza dalla madrepatria. La reazione del re d’Inghilterra Giorgio III fu durissima: con il “Proclamation of Rebellion” ribadì le rigide posizioni inglesi in materia politica, sociale ed economica e dichiarò ribelli i patrioti americani. In tal modo anche i coloni più moderati si decisero ad unirsi all’”esercito di liberazione americano”.
La risposta americana alla Proclamation of Rebellion inglese arrivò nel 1776. Il Congresso elaborò un documento che fu discusso ed approvato dallo stesso il 2 luglio 1776 e promulgato il 4 luglio 1776. Era la famosa Dichiarazione di indipendenza, uno dei più importanti documenti di tutta la storia americana e del mondo occidentale.

Il punto storicamente più importante della Dichiarazione, ispirato alla filosofia di J. Locke, è il principio per cui ogni governo è formato e deve operare per l’esclusivo beneficio delle genti governate. Quando il governo non è più di beneficio per le genti governate, allora queste hanno il diritto di sostituirlo con un nuovo governo. La Dichiarazione era fondata si principi di uguaglianza e di libertà. Ammetteva inoltre in modo esplicito anche il diritto alla ricerca della felicità.

A questo punto gli obiettivi e i principi ispiratori erano stati espressi e la guerra era stata dichiarata. Si trattava di combatterla e vincerla in nome di questi principi.



LA VITTORIA FINALE

L’esercito coloniale, affidato a George Washington, contava circa 8-9 mila uomini, senza uniformi, mal pagati, poco armati, poco nutriti, prevalentemente volontari (cioè disoccupati e sbandati, senza famiglia e senza casa). La più grande difficoltà era inoltre quella di far prevalere l’interesse globale del Congresso rispetto ai singoli interessi delle Colonie e dei gruppi di volontari combattenti.
Davanti a questa situazione, non sorprende la convinzione degli inglesi di poter facilmente e rapidamente sbaragliare l’esercito americano, infliggendo una “sonora lezione” a questi “coloni ribelli e arroganti”.

L’esercito inglese riportò nel corso del 1776 una serie di vittorie, le più clamorose furono l’occupazione inglese di New York e di Filadelfia. Tuttavia, Washington cambiò presto tattica e con un’accorta ed oculata tecnica fatta di imboscate e piccoli attacchi a sorpresa, riuscì a disorientare l’esercito avversario e, nell’ottobre del 1777, circondò e costrinse alla resa 5000 inglesi a Saratoga.

Questa prima inaspettata vittoria servì a sbloccare la situazione, a ridare coraggio alle truppe americane e, soprattutto, a convincere alcune potenze europee dell’importanza di questo conflitto dall’esito tutt’altro che scontato.

Dopo pochi mesi, infatti, la Francia entrò in guerra contro gli inglesi, sostenendo le posizioni degli americani. Le ragioni di questa mossa francese vanno ricercate da un lato nel desiderio di rivendicare la sconfitta della guerra dei Sette Anni, dall’altro dalla pressione degli intellettuali illuministi francesi che vedevano per la prima volta le loro idee di libertà e uguaglianza concretamente in via di realizzazione. La flotta francese riuscì a tenere “occupata” la flotta inglese, impedendo di fatto a quest’ultima di applicare il minacciato e temutissimo “embargo“, cioè il blocco dei porti e di ogni sorta di commercio nelle Colonie. Se la Francia non fosse entrata in guerra, molto probabilmente le Colonie non avrebbero potuto resistere molto a lungo isolate e private di ogni possibilità di commercio con il resto del mondo.

L’anno seguente (1779) dichiarò guerra agli inglesi anche la Spagna e, nel 1780, l’Olanda. Questa “coalizione europea” a favore degli americani decretò senza ombra di dubbio l’esito finale della guerra. L’esercito di Washington ebbe infatti in questo modo la possibilità ed il tempo per organizzarsi meglio e migliorarsi. La storica battaglia finale di Yorktown (16-19 ottobre 1781) vide la vittoria definitiva dell’esercito americano di Washington, sostenuto dalle truppe francesi comandate dal generale francese La Fayette. Gli inglesi si arresero e si ritirarono.

Due anni dopo, il 3 settembre 1783, venne firmata la pace, nota come Pace di Versailles o Trattato di Parigi, in cui l’Inghilterra riconosceva l’indipendenza delle Colonie dalla costa atlantica fino al confine del Mississippi. Alla Francia andarono i possedimenti nelle Antille e il controllo della costa del Senegal, mentre la Spagna ottenne la Florida e Minorca.
La guerra era vinta, l’indipendenza ottenuta, ma ora si presentava un problema ancora più difficile: come organizzare e come gestire la tanto desiderata libertà?



LA NASCITA DELLA COSTITUZIONE

Ottenuta l'indipendenza, alle tredici colonie si presentava il bisogno di costruire il nuovo stato federale.
Infatti le colonie non avevano un governo unitario, una divisione delle competenze e dei poteri, ma non avevano nemmeno abitudini e usi comuni!
Il Secondo congresso continentale aveva redatto gli Articoli di Confederazione nel 1779 (15 novembre), che  garantivano al Congresso (il parlamento) uno scarso potere. Il  compito di costruire la nuova confederazione era reso difficile da una molteplicità di opinioni differenti. Si aprirono alcune questioni importanti riguardanti il commercio, duramente provato dalla guerra d‘indipendenza. La pratica della schiavitù era accettata in certe colonie e rifiutata da altre. Le finanze erano state duramente provate dalla guerra, e vigeva uno stato di elevata incertezza al riguardo della competenza di tassazione (federale o locale?) e alla distribuzione delle terre conquistate.  I grandi proprietari terrieri erano generalmente schierati su posizioni antifederaliste, mentre i ceti mercantili, timorosi di limitazioni al libero mercato, erano a favore della nascita di un potere federale forte. La tappa più importante fu  la Convention degli stati si riunì a Philadelphia nell’estate del 1787, dove parteciparono i delegati provenienti da dodici delle tredici colonie. George Washington fu eletto presidente della Convention all’unanimità. I lavori miravano a formalizzare e strutturare il nuovo governo centrale, ed in particolare definire le competenze e le modalità di esercizio dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. I problemi incontrati furono numerosi, in particolare relativamente alla rappresentanza presso l’organo legislativo. Alcune colonie più grandi infatti sostenevano una rappresentanza proporzionale alla popolazione, mentre le colonie più piccole proponevano che ogni stato godesse dello stesso numero di rappresentanti. La soluzione adottata, nota come “Great Compromise” (Grande Compromesso, del 16 luglio 1787), fu quella di istituire due assemblee, una Camera dei rappresentanti (United States House of Representatives) con un numero di deputati proporzionale alla popolazione di ciascun stato, e un Senato (United States Senate) composto da due membri per ogni stato.
Ogni stato avrebbe potuto darsi propri ordinamenti nel rispetto del supremo potere federale. I temi della difesa, delle finanze e della politica estera sarebbero comunque stati monopolio del potere centrale.

 
LA DIVISIONE DEI POTERI
Il Grande compromesso stabilì la divisione dei poteri auspicata da filosofi come Montesquieu. Il potere legislativo era dunque esercitato da due Camere: la Camera dei rappresentanti, eletta proporzionalmente al numero degli abitanti degli stati. Viene rinnovata ogni 2 anni ed è sua competenza esclusiva la proposta di leggi fiscali, che però possono essere emendate dal Senato. Può mettere il Presidente sotto accusa (impeachment) e chiederne la destituzione. 

Il Senato è formato con due rappresentanti per stato (26 senatori). In origine i senatori erano eletti dai parlamenti degli stati; a partire dal 1913 (XVII emendamento)  sono votati direttamente dal corpo elettorale. Spetta al Senato giudicare un Presidente messo sotto accusa dalla Camera, ma servono 2/3 dei voti per condannarlo. Il mandato di un senatore dura 6 anni, ma ogni due anni viene rieletto un terzo dell'assembea.

Il potere giudiziario è governato dalla  Corte suprema federale composta da giudici vitalizi, nominati dal presidente con l’assenso del senato,
ha il compito di interpretare e valutare la costituzionalità delle leggi federali e di risolvere le controversie sorte dalle stesse norme. I giudici della Corte suprema non possono esser rimossi se non per  "impeachment", nel caso il Congresso accerti un tradimento.

Il potere esecutivo è detenuto da un Presidente eletto in forma indiretta (ogni 4 anni) da un’assemblea di grandi elettori (538) che votano a scrutinio segreto. Nel caso i grandi elettori non riuscissero ad eleggerlo (parità di voti) l'elezione spetterebbe alla Camera, mentre il Senato eleggerebbe il vice-Presidente. Il  Presidente è a capo del governo, delle forze armate, nomina i giudici della corte Suprema, possiede il diritto di veto per le leggi approvate dal Congresso (le camere possono però riapprovarle con una maggioranza di 2/3) e può concedere la grazia ai condannati. Il Presidente può anche promulgare atti con valore di legge, in virtù di una delega del Congresso o in eccezionali situazioni di crisi.

Progressivamente, dal 1787 (processo concluso nel 1959) aderirono agli Stati Uniti diversi nuovi stati, grazie ad una rapida espansione dalla costa dell’Atlantico a quella del Pacifico. All’inizio si mossero i cacciatori, poi gli agricoltori ed infine prese forma una società stabile ed organizzata, naturalmente a danno delle popolazioni indigene. Gli stati membri che via via si aggiungevano resero tuttavia la dinamica politica molto più complessa e, nella seconda metà del '700, avrebbe provocato gravi tensioni che sfociarono in una sanguinosa guerra civile.

















































































Commenti