In Italia, tra il ‘300 e l’inizio del ‘400 le lotte interne alle istituzioni comunali produssero una trasformazione dei comuni in signorie e principati. In Italia era dunque il signore, o un’oligarchia (come a Venezia) a farsi stato. «Ne derivò un carattere tendenzialmente autoritario delle istituzioni signorili, che restrinse l’area di partecipazione al governo e azzerò la dialettica sociale e politica fino ad alcuni decenni prima cuore dell’esperienza comunale in quegli stessi contesti» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.178).
A Verona la signoria degli Scaligeri costruì al principio del Trecento una grande potenza regionale che includeva Padova e gran parte del Veneto, ma si ridusse poi al solo controllo di Verona e Vicenza. Nel 1400 i Gonzaga, che mantenevano la signoria di Mantova, furono insigniti del titolo di marchesi.
I Visconti mantennero la signoria di Milano dal 1277 al 1447. Dal 1349 la signoria milanese aveva iniziato ad ampliare i suoi domini. Sul finire del ‘300, «Gian Galeazzo Visconti, che coltivava l’ambizioso progetto di unificare l’Italia in una grande monarchia nazionale con Milano capitale, continuò la politica di annessione territoriale, estendendo i confini del Ducato anche a parte della Toscana (Pisa e Siena, 1399) e dell’Umbria (Perugia, 1400). Ma il duca morì nel 1402, vittima della peste, e il suo programma svanì con lui» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.179).
«La città di Venezia, nata nel V secolo da un insediamento di pescatori che si erano rifugiati su un arcipelago di isole nella laguna per sfuggire alle invasioni barbariche, faceva inizialmente parte dei territori italiani sotto il dominio dell'impero romano d'Oriente. Tuttavia già dall'VIII secolo l'elezione del governatore, il doge, venne sottratta al controllo imperiale. Nonostante le ambizioni di alcune potenti famiglie aristocratiche che cercarono di trasformarla da vitalizia a ereditaria, la carica di doge rimase elettiva; a partire dal XII secolo, tuttavia, il suo potere, all'interno della forma di governo della repubblica, fu sempre più soggetto al controllo del Maggior consiglio, composto dai più importanti patrizi (cioè nobili) della città.Col passare dei secoli Venezia era intanto divenuta un'emergente potenza commerciale nel Mediterraneo. Nel 1082 una crisobolla dell'imperatore romano d'Oriente Alessio Comneno esentava Venezia dalle tasse imperiali cui erano soggetti tutti i porti del Mediterraneo, in cambio dell'impegno a fornire assistenza navale alla flotta bizantina. Grazie a questo privilegio Venezia, in nome di Bisanzio, poteva commerciare con profitto in Oriente svolgendo però di fatto una politica propria. Nel 1143, con l'istituzione del Consiglio dei saggi, una rappresentanza permanente chiamata ad affiancare il doge nelle decisioni di governo, Venezia si diede un assetto politico simile alle analoghe istituzioni comunali, segnando la nascita della repubblica. Nel 1172 l'assemblea, con il nome di Maggior consiglio, assunse poteri sovrani, compreso quello dell'elezione del doge.L'evoluzione istituzionale della repubblica culminò con la cosiddetta serrata del Maggior consiglio del 1297, che restrinse il diritto di partecipazione al massimo organismo politico veneziano a quanti vi avessero fatto parte negli ultimi quattro anni e a coloro che fossero stati proposti dal doge e dal suo Consiglio.(….) Nonostante, quindi, le forti limitazioni alla partecipazione agli organi di governo della città, l'aristocrazia veneziana seppe mantenere una struttura collegiale del governo e, a differenza di quanto accadeva in altri Stati regionali italiani, non si trasformò mai in una signoria personale» (G. Maifreda, Tempi Moderni, pp.180-181).
Per secoli la città di Venezia si era interessata esclusivamente al possesso di basi strategiche nel Mediterraneo ed era diventata un considerevole impero marittimo. All'inizio del XV secolo i veneziani iniziarono tuttavia ad espandersi anche nell'entroterra, in risposta alla minacciosa espansione del duca di Milano. «A partire dal 1378 la Repubblica estese il suo territorio su Treviso, Vicenza, Padova e Verona e di qui in Lombardia fino a raggiungere a metà Quattrocento la sponda sinistra dell’Adda» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.181).
Gli stati italiani nel 1494 (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Risorgimento)
Fra le grandi potenze cittadine, Genova fu quella che nel Trecento e nel Quattrocento ebbe la vita politica più agitata. Alla fine del Duecento aveva avuto la meglio su Pisa, sbaragliando la città rivale nella battaglia della Meloria (1284), al largo di Livorno. Genova condusse anche una lunga lotta contro Venezia per il predominio sul Mediterraneo, venendo però nettamente sconfitta nella guerra di Chioggia (1378). Nel corso del Quattrocento, l’espansione turca nel Mediterraneo orientale cacciò i genovesi da quella zona di mare. «A partire dal XV secolo i mercanti e i banchieri genovesi, progressivamente ritiratisi dai mercati orientali, rimasero tuttavia molto influenti nell’area mediterranea occidentale, dove rafforzarono legami finanziari e commerciali con gli emergenti regni di Aragona e Castiglia e continuarono ad essere un punto di riferimento finanziario per le piazze mercantili inglesi» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.182).
Alla fine del Duecento, si era stabilito a Firenze il regime politico più avanzato, nettamente antiaristocratico e fondato sulla partecipazione al governo delle corporazioni dei mercanti e degli artigiani. Un momento decisivo nella storia della Firenze medievale fu, tra il giugno e l'agosto del 1378, la rivolta dei ciompi. I ciompi erano dei salariati nell’industria della lana, ed erano esclusi dalle “arti”, vale a dire dalle corporazioni di mestiere, quelle associazioni nate per la difesa ed il perseguimento degli interessi comuni che riunivano gli appartenenti ad una stessa categoria professionale. I ciompi chiesero e ottennero la creazione di una loro associazione, ma in breve tempo le forze combinate delle altre arti riuscirono a spegnere la rivolta. L’episodio lasciò un ricordo di paura nell’oligarchia fiorentina, che instaurò un governo autoritario, forte anche dell’annessione di Pisa (1406) e di Livorno (1421), che permettevano due importanti sbocchi sul mare. Quando, nel 1433, i conflitti interni alla classe dominante divennero più acuti, la famiglia dei Medici poté trovare forti consensi fra le classi popolari nel suo tentativo di scalzare il potere del vecchio gruppo che faceva capo alla famiglia degli Albizzi. Anche Firenze era ormai una signoria.
Alla metà del Trecento l’assenza del pontefice da Roma aveva favorito l’affermazione di signorie locali, che determinarono un periodo di forte instabilità politica. Nel 1347 avvenne il tentativo fallimentare, compiuto da Cola di Rienzo, di sovvertire il dominio dei baroni per instaturare ordinamenti comunali ispirati all’antica repubblica romana. Più tardi il progetto di recuperare il potere del pontefice sui territori della Chiesa riuscì al legato papale Egidio Albornoz. Egli, nel 1357, emanò un corpo di leggi (Costituzioni egidiane) , valide per tutto lo stato del pontefice e rimaste in vigore sino al periodo napoleonico.
Accanto ai quattro stati principali (Milano, Venezia, Firenze, Roma), ne esisteva nella penisola italiana un quinto, il Regno di Napoli e Sicilia. Esso era stato costituito nel 1266 dalla spedizione del francese Carlo d’Angiò, ma già dal 1302 gli angioini avevano dovuto rinunciare alla Sicilia.
«Forte dell’appoggio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, nel 1442 Alfonso d’Aragona scalzò gli Angioini e riunificò le corone di Napoli e della Sicilia nella sua persona, con il titoli di rex utriusque Siciliae. Con l’estensione del dominio aragonese dalla Sicilia a Napoli, l’intera Italia meridionale entrava definitivamente nell’orbita politica spagnola, dove sarebbe rimasta fino all’inizio del Settecento» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.187).
Sin dal XIII e XIV secolo, gli stati italiani si dotarono di istituzioni politiche, giuridiche e amministrative. Per far fronte alle spese straordinarie, i sovrani europei erano costretti a contrarre prestiti a breve termine e ad altissimi tassi di interesse presso i banchieri italiani. Quando il sovrano non era in grado di far fronte ai suoi debiti, poteva dichiarare bancarotta perdendo la possibilità di ottenere nuovi prestiti. Gli stati italiani si rivolgevano, invece, a un mercato molto più ampio. Il prestito pubblico divenne una forma di investimento con un capitale non molto alto. Una seconda istituzione tipica degli stati italiani fu l’estimo. L’estimo consisteva nella stima delle effettive capacità contributive dei soggetti fiscali; questi denunciavano la loro ricchezza totale e, dopo il controllo dell’autorità pubblica, la denuncia era trasformata in imponibile netto sul quale si applicava l’aliquota d’imposta.
Dalle guerre di egemonia all’equilibrio italiano
«Le compagnie straniere introdussero in Italia alcune importanti innovazioni militari, come la combinazione tattica di fanteria e cavalleria, e contribuirono a rendere comune l’uso della balestra. Una importante evoluzione si ebbe quando gli stati italiani cominciarono a preferire il singolo condottiere. Il condottiere provvedeva ad arruolare e a pagare i soldati ed era imprenditore della guerra e capo unico dei contingenti militari. Nelle compagnie del XV secolo diminuirono gli inconvenienti di quelle della generazione precedente. Disciplina e lealtà dipendevano dalla puntualità con cui i committenti facevano i loro pagamenti e in ogni caso alla scadenza del contratto le compagnie erano libere di scegliersi un altro datore di lavoro. I condottieri assunsero un ruolo determinante nelle fasi più acute delle guerre di egemonia fra gli stati italiani. Dopo una nuova guerra l’equilibrio si impose nuovamente con la pace generale stipulata a Lodi nel 1454 con la quale Francesco Sforza veniva riconosciuto dai suoi nemici duca di Milano. La pace di Lodi venne formalmente rispettata per quarant’anni. Una figura come quella di Lorenzo il Magnifico impressionava molto gli italiani per la sua cultura e per la saggezza politica che gli consentì di tenere la signoria di Firenze. Fu precisamente nel corso degli anni Settanta e Ottanta che si affermarono in Europa nuove dinastie nazionali impegnate nella costruzione di entità statali ben più organiche e solide di quelle degli stati regionali italiani» (Fonte: http://trucheck.it/storia/33643-gli-stati-regionali-in-italia.html.
A Verona la signoria degli Scaligeri costruì al principio del Trecento una grande potenza regionale che includeva Padova e gran parte del Veneto, ma si ridusse poi al solo controllo di Verona e Vicenza. Nel 1400 i Gonzaga, che mantenevano la signoria di Mantova, furono insigniti del titolo di marchesi.
I Visconti mantennero la signoria di Milano dal 1277 al 1447. Dal 1349 la signoria milanese aveva iniziato ad ampliare i suoi domini. Sul finire del ‘300, «Gian Galeazzo Visconti, che coltivava l’ambizioso progetto di unificare l’Italia in una grande monarchia nazionale con Milano capitale, continuò la politica di annessione territoriale, estendendo i confini del Ducato anche a parte della Toscana (Pisa e Siena, 1399) e dell’Umbria (Perugia, 1400). Ma il duca morì nel 1402, vittima della peste, e il suo programma svanì con lui» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.179).
«La città di Venezia, nata nel V secolo da un insediamento di pescatori che si erano rifugiati su un arcipelago di isole nella laguna per sfuggire alle invasioni barbariche, faceva inizialmente parte dei territori italiani sotto il dominio dell'impero romano d'Oriente. Tuttavia già dall'VIII secolo l'elezione del governatore, il doge, venne sottratta al controllo imperiale. Nonostante le ambizioni di alcune potenti famiglie aristocratiche che cercarono di trasformarla da vitalizia a ereditaria, la carica di doge rimase elettiva; a partire dal XII secolo, tuttavia, il suo potere, all'interno della forma di governo della repubblica, fu sempre più soggetto al controllo del Maggior consiglio, composto dai più importanti patrizi (cioè nobili) della città.Col passare dei secoli Venezia era intanto divenuta un'emergente potenza commerciale nel Mediterraneo. Nel 1082 una crisobolla dell'imperatore romano d'Oriente Alessio Comneno esentava Venezia dalle tasse imperiali cui erano soggetti tutti i porti del Mediterraneo, in cambio dell'impegno a fornire assistenza navale alla flotta bizantina. Grazie a questo privilegio Venezia, in nome di Bisanzio, poteva commerciare con profitto in Oriente svolgendo però di fatto una politica propria. Nel 1143, con l'istituzione del Consiglio dei saggi, una rappresentanza permanente chiamata ad affiancare il doge nelle decisioni di governo, Venezia si diede un assetto politico simile alle analoghe istituzioni comunali, segnando la nascita della repubblica. Nel 1172 l'assemblea, con il nome di Maggior consiglio, assunse poteri sovrani, compreso quello dell'elezione del doge.L'evoluzione istituzionale della repubblica culminò con la cosiddetta serrata del Maggior consiglio del 1297, che restrinse il diritto di partecipazione al massimo organismo politico veneziano a quanti vi avessero fatto parte negli ultimi quattro anni e a coloro che fossero stati proposti dal doge e dal suo Consiglio.(….) Nonostante, quindi, le forti limitazioni alla partecipazione agli organi di governo della città, l'aristocrazia veneziana seppe mantenere una struttura collegiale del governo e, a differenza di quanto accadeva in altri Stati regionali italiani, non si trasformò mai in una signoria personale» (G. Maifreda, Tempi Moderni, pp.180-181).
Per secoli la città di Venezia si era interessata esclusivamente al possesso di basi strategiche nel Mediterraneo ed era diventata un considerevole impero marittimo. All'inizio del XV secolo i veneziani iniziarono tuttavia ad espandersi anche nell'entroterra, in risposta alla minacciosa espansione del duca di Milano. «A partire dal 1378 la Repubblica estese il suo territorio su Treviso, Vicenza, Padova e Verona e di qui in Lombardia fino a raggiungere a metà Quattrocento la sponda sinistra dell’Adda» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.181).
Gli stati italiani nel 1494 (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Risorgimento)
Fra le grandi potenze cittadine, Genova fu quella che nel Trecento e nel Quattrocento ebbe la vita politica più agitata. Alla fine del Duecento aveva avuto la meglio su Pisa, sbaragliando la città rivale nella battaglia della Meloria (1284), al largo di Livorno. Genova condusse anche una lunga lotta contro Venezia per il predominio sul Mediterraneo, venendo però nettamente sconfitta nella guerra di Chioggia (1378). Nel corso del Quattrocento, l’espansione turca nel Mediterraneo orientale cacciò i genovesi da quella zona di mare. «A partire dal XV secolo i mercanti e i banchieri genovesi, progressivamente ritiratisi dai mercati orientali, rimasero tuttavia molto influenti nell’area mediterranea occidentale, dove rafforzarono legami finanziari e commerciali con gli emergenti regni di Aragona e Castiglia e continuarono ad essere un punto di riferimento finanziario per le piazze mercantili inglesi» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.182).
Alla fine del Duecento, si era stabilito a Firenze il regime politico più avanzato, nettamente antiaristocratico e fondato sulla partecipazione al governo delle corporazioni dei mercanti e degli artigiani. Un momento decisivo nella storia della Firenze medievale fu, tra il giugno e l'agosto del 1378, la rivolta dei ciompi. I ciompi erano dei salariati nell’industria della lana, ed erano esclusi dalle “arti”, vale a dire dalle corporazioni di mestiere, quelle associazioni nate per la difesa ed il perseguimento degli interessi comuni che riunivano gli appartenenti ad una stessa categoria professionale. I ciompi chiesero e ottennero la creazione di una loro associazione, ma in breve tempo le forze combinate delle altre arti riuscirono a spegnere la rivolta. L’episodio lasciò un ricordo di paura nell’oligarchia fiorentina, che instaurò un governo autoritario, forte anche dell’annessione di Pisa (1406) e di Livorno (1421), che permettevano due importanti sbocchi sul mare. Quando, nel 1433, i conflitti interni alla classe dominante divennero più acuti, la famiglia dei Medici poté trovare forti consensi fra le classi popolari nel suo tentativo di scalzare il potere del vecchio gruppo che faceva capo alla famiglia degli Albizzi. Anche Firenze era ormai una signoria.
Alla metà del Trecento l’assenza del pontefice da Roma aveva favorito l’affermazione di signorie locali, che determinarono un periodo di forte instabilità politica. Nel 1347 avvenne il tentativo fallimentare, compiuto da Cola di Rienzo, di sovvertire il dominio dei baroni per instaturare ordinamenti comunali ispirati all’antica repubblica romana. Più tardi il progetto di recuperare il potere del pontefice sui territori della Chiesa riuscì al legato papale Egidio Albornoz. Egli, nel 1357, emanò un corpo di leggi (Costituzioni egidiane) , valide per tutto lo stato del pontefice e rimaste in vigore sino al periodo napoleonico.
Accanto ai quattro stati principali (Milano, Venezia, Firenze, Roma), ne esisteva nella penisola italiana un quinto, il Regno di Napoli e Sicilia. Esso era stato costituito nel 1266 dalla spedizione del francese Carlo d’Angiò, ma già dal 1302 gli angioini avevano dovuto rinunciare alla Sicilia.
«Forte dell’appoggio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, nel 1442 Alfonso d’Aragona scalzò gli Angioini e riunificò le corone di Napoli e della Sicilia nella sua persona, con il titoli di rex utriusque Siciliae. Con l’estensione del dominio aragonese dalla Sicilia a Napoli, l’intera Italia meridionale entrava definitivamente nell’orbita politica spagnola, dove sarebbe rimasta fino all’inizio del Settecento» (G. Maifreda, Tempi Moderni, p.187).
Sin dal XIII e XIV secolo, gli stati italiani si dotarono di istituzioni politiche, giuridiche e amministrative. Per far fronte alle spese straordinarie, i sovrani europei erano costretti a contrarre prestiti a breve termine e ad altissimi tassi di interesse presso i banchieri italiani. Quando il sovrano non era in grado di far fronte ai suoi debiti, poteva dichiarare bancarotta perdendo la possibilità di ottenere nuovi prestiti. Gli stati italiani si rivolgevano, invece, a un mercato molto più ampio. Il prestito pubblico divenne una forma di investimento con un capitale non molto alto. Una seconda istituzione tipica degli stati italiani fu l’estimo. L’estimo consisteva nella stima delle effettive capacità contributive dei soggetti fiscali; questi denunciavano la loro ricchezza totale e, dopo il controllo dell’autorità pubblica, la denuncia era trasformata in imponibile netto sul quale si applicava l’aliquota d’imposta.
Dalle guerre di egemonia all’equilibrio italiano
«Le compagnie straniere introdussero in Italia alcune importanti innovazioni militari, come la combinazione tattica di fanteria e cavalleria, e contribuirono a rendere comune l’uso della balestra. Una importante evoluzione si ebbe quando gli stati italiani cominciarono a preferire il singolo condottiere. Il condottiere provvedeva ad arruolare e a pagare i soldati ed era imprenditore della guerra e capo unico dei contingenti militari. Nelle compagnie del XV secolo diminuirono gli inconvenienti di quelle della generazione precedente. Disciplina e lealtà dipendevano dalla puntualità con cui i committenti facevano i loro pagamenti e in ogni caso alla scadenza del contratto le compagnie erano libere di scegliersi un altro datore di lavoro. I condottieri assunsero un ruolo determinante nelle fasi più acute delle guerre di egemonia fra gli stati italiani. Dopo una nuova guerra l’equilibrio si impose nuovamente con la pace generale stipulata a Lodi nel 1454 con la quale Francesco Sforza veniva riconosciuto dai suoi nemici duca di Milano. La pace di Lodi venne formalmente rispettata per quarant’anni. Una figura come quella di Lorenzo il Magnifico impressionava molto gli italiani per la sua cultura e per la saggezza politica che gli consentì di tenere la signoria di Firenze. Fu precisamente nel corso degli anni Settanta e Ottanta che si affermarono in Europa nuove dinastie nazionali impegnate nella costruzione di entità statali ben più organiche e solide di quelle degli stati regionali italiani» (Fonte: http://trucheck.it/storia/33643-gli-stati-regionali-in-italia.html.
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