Uno dei problemi gnoseologici e metafisici più rilevanti con cui i pensatori medioevali hanno dovuto misurarsi è stato quello “degli universali”. In cosa consiste tale questione? Quando noi formuliamo proposizioni del tipo “ogni corpo è esteso”, oppure “ogni uomo è razionale”, utilizziamo dei termini, in questo caso “corpo” e “uomo”, non riferendoci ad alcun specifico corpo o uomo; quindi in simili proposizioni noi facciamo riferimento ad un “quid” che risulta essere predicabile di tutti i corpi e di tutti gli uomini. Gli “universali” sono proprio questi oggetti di pensiero che possono essere applicabili a più individui, o, come dicevano gli scolastici, “id quod aptum est praedicari de pluribus”.
La “questione degli universali” non consiste, dunque, se non nel chiedersi quale sia la natura di tali oggetti di pensiero, se essi siano solo parole o anche realtà e, in quest’ultimo caso, quale tipo di realtà.
Il filosofo greco Porfirio (233 - 305), allievo di Plotino e successore del maestro alla guida della scuola neoplatonica, fu l’iniziatore di questa disputa che esercitò una larga influenza sia sul pensiero neoplatonico successivo, sia sulla cultura medioevale. Egli nell’opera “Isagoge” [Quest’opera, il cui titolo in greco significa "introduzione", è nota anche con il titolo di: "Introduzione alle categorie di Aristotele"], affrontando concetti essenziali dell’ “Organon” aristotelico, dichiara apertamente di tralasciare di dare risposta a tre problemi:
- Gli universali esistono?
- Se esistono sono corporei o incorporei?
- Se incorporei, sono uniti o separati dalle cose sensibili?
Le principali soluzione del problema
Diverse furono le soluzioni adottate, per comodità dividiamo le svariate tendenze e denominazioni in due grandi categorie: il “realismo” e il “nominalismo”. La prima affermava che gli universali esistono in qualche modo fuori dall’anima, mentre la seconda lo negava. Realismo e nominalismo si divisero aloro volta in due tendenze, una moderata e una radicale. Eccone uno schema riassuntivoRealismo estremo | Es. Giovanni Scoto Eriugena (810 – 877) Anselmo d’Aosta (1033-1109) – |
Sulla scia di Platone, dei neoplatonici e di Agostino, identificano gli universali con le idee (modelli “ante rem”) tramite le quali Dio ha creato il mondo. |
Realismo moderato | Es. Guglielmo di Champeaux (1070-1121) - seconda fase del suo pensiero - Tommaso d’Aquino (1225-1274) |
Gli universali non esistono ante rem, ma soltanto “in re”, ossia individualizzati e incorporati nelle cose singole, come un principio organizzatore immanente (come in Aristotele). In genere per gli scolastici moderati se l'universale non esiste come cosa in sè, esiste tuttavia come modello nella mente divina. |
Nominalismo estremo | Es. Roscellino di Compiègne |
L’universale
altro non è che “flatus vocis”, cioè è un puro suono perché “nihil
est praeter individuum” e quindi gli universali non hanno alcun valore. È
questa una tesi chiaramente scettica che mortifica la ragione umana.
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Nominalismo moderato | Es. Guglielmo di Ockham (1285-1347) | L’universale non esiste nelle cose, ma soltanto “in intellectu”, essendo nient’altro che un segno mentale atto a raccogliere in una stessa classe una serie di individui aventi tra loro caratteristiche affini. L’universale non ha consistenza ontologica ma ha un valore logico-gnoseologico. |
Le implicazioni teologiche
La
disputa assunse ben presto connotazioni teologiche.
Roscellino, sostenendo il nominalismo estremo, affermava che come l'umanità non è nulla di per sé, poiché la sua vera realtà è costituita dagli uomini, questi sì reali, che la compongono, così la divinità non è qualcosa di comune alle tre persone. Ciascuna delle tre persone della Trinità –il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - è una realtà distinta dalle altre per quanto identiche per il potere e la volontà.
Accusato di triteismo da Anselmo d'Aosta e da
Abelardo, Roscellino, in quanto negatore del dogma della Trinità, fu condannato
dal Concilio di Soissons nel 1092: fu costretto ad abiurare e i suoi libri furono
bruciati. Roscellino, sostenendo il nominalismo estremo, affermava che come l'umanità non è nulla di per sé, poiché la sua vera realtà è costituita dagli uomini, questi sì reali, che la compongono, così la divinità non è qualcosa di comune alle tre persone. Ciascuna delle tre persone della Trinità –il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - è una realtà distinta dalle altre per quanto identiche per il potere e la volontà.
Naturalmente “la questione degli universali” non si chiude con la fine del medioevo, viene ripresa infatti anche dalla filosofia moderna che rivedrà il formarsi di due opposti schieramenti: gli empiristi, che sostanzialmente tenderanno al nominalismo, e i razionalisti, più vicini alle posizioni del realismo.
Le implicazioni filosofiche
L'evoluzione della disputa mette in luce un progressivo spostamento dell'attenzione dai problemi teologici a quelli gnoseologici e logici che denota un rinnovato interesse per il tema della conoscenza umana che verrà approfondito nel corso dell'età moderna. Come è stato osservato dai più recenti studi:
«(...) interrogarsi sul problema degli universali significò interrogarsi sui poteri stessi della ragione e sulla validità degli strumenti intellettuali di cui essa si serve per parlare del mondo. Storicamente parlando, questo atteggiamento può essere assunto come un segno del nuovo spirito che cominciò a pervadere la scolastica a partire dagli ultimi decenni dell'XI secolo. Prima di questo periodo nessun pensatore aveva potuto dubitare del fatto che i generi e le specie fossero idee archetipiche presenti nella mente divina e forme impresse alle cose da questa stessa mente. In questa prospettiva, il problema degli universali non aveva senso e porlo avrebbe voluto dire ammettere la possibilità di risolverlo anche in modo difforme rispetto alle dottrine che la prima scolastica aveva desunto dalla patristica. In altre parole, la riflessione sugli universali presuppose l'assunzione di un punto di vista non più soltanto teologico, ma filosofico, che vedeva in essi non solo gli strumenti dell'azione creatrice di Dio, ma anche e soprattutto gli strumenti, o le condizioni, delle operazioni conoscitive dell'uomo. In questo senso la formulazione del problema degli universali rappresentò l'instaurarsi di un punto di vista che guardava più all'uomo che a Dio.» (Abbagnano, Fornero, Con-filosofare, vol. 1b, pp. 219-20)
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