Luigi XIV di Borbone (Saint-Germain-en-Laye, 5 settembre 1638 – Versailles, 1 settembre 1715), regnò dal 14 maggio 1643 fino alla sua morte. Fu chiamato il Re Sole (in Francese Le Roi Soleil) o Re Luigi il Grande (in francese Louis Le Grand).
Aveva compiuto appena cinque anni quando suo padre morì. Luigi ereditò il trono di Francia, e fu nominata reggente la madre, Anna d'Austria, che gestì il potere assieme al Primo Ministro il Cardinale Mazzarino. Questi resse le sorti della Francia per molti anni e fu così influente che solo alla sua morte avvenuta il 9 marzo 1661, Luigi assunse effettivamente i pieni poteri.
Durante gli anni dal 1648 al 1652 la Francia, in particolar modo Parigi, fu
scossa dalle rivolte della Fronda, un movimento di opposizione nobiliare
alla politica del Cardinale Mazarino che iniziò nel 1648 e terminò nel 1653,
con la sconfitta dei nobili ribelli. L’angoscia sofferta da ragazzo durante
quei cinque anni di conflitto gli aveva lasciato un ricordo incancellabile e
senza dubbio fu quell’esperienza che gli instillò i principi del futuro
autocrate (C. Grimberg, Le guerre di religione e le grandi monarchie).
Dopo la morte del primo ministro, il
cardinale Mazarino, Luigi convocò i restanti ministri e comunicò loro che non
avrebbe nominato un nuovo primo ministro. Essi avrebbero dovuto esprimere le
loro opinioni solo quando gliele avesse chieste.
Luigi XIV considerava suo dovere controllare tutti i dettagli dell’attività
governativa, era gelosissimo delle sue prerogative e avrebbe ritenuto una colpa
di lesa maestà qualsiasi tentativo di interferenza.
Nel tentativo di conferire maggiore uniformità
al regno e superare il diritto consuetudinario locale, fu creato il Code Luis, un codice di procedura civile
valido per tutto il territorio francese.
La politica interna
Per centralizzare il governo della Francia fu creato un Consiglio supremo di stato, composto dai ministri del re, detti anche segretari (il segretario della Guerra, della Marina, degli Affari esteri, quello della “Casa del re”, che amministrava il patrimonio regio, e l'importantissimo controllore generale delle Finanze, che dirigeva la politica economica).
Venne modernizzata l'amministrazione finanziaria e ridotti gli abusi compiuti dagli esattori. Furono ridotti i proventi trattenuti dai riscossori delle tasse (dal 20 al 5%). La lotta all'evasione fiscale fu inasprita con lo smascheramento di truffatori vari e falsi nobili. Luigi varò inoltre nuove tasse che colpivano anche il clero e la nobiltà (capitazione). Con modalità sbrigative vennero cancellati - o fortemente ridotti - i debiti dello stato privi di sufficiente giustificazione. Si cominciò a redigere un bilancio preventivo.
Per aumentare le entrate furono anche varate una serie di tassazioni indirette sui beni di consumo, a cui i ceti
privilegiati non potevano sottrarsi.
Colbert fallì nel proposito di rendere più equo il sistema fiscale, in parte
per le forti resistenze che incontrava un simile proposito, in parte perché le
continue guerre, in cui il Re Sole prese ad impegnarsi, mandarono nuovamente a
picco i conti pubblici, tarpando le ali a riforme ambiziose.
La limitazione dei poteri locali e gli intendenti.
Per aumentare il potere centrale Luigi prese una serie di iniziative volte a limitare i poteri locali. I sindaci e gli amministratori delle maggiori città erano nominati direttamente dal re.
Luigi, inoltre, impose ai parlamenti di registrare gli editti senza poter esercitare il diritto di rimostranza. Tolse man mano potere ai vecchi governatori provinciali, che tuttavia non esautorò, e aumentò i poteri degli intendenti, in maggioranza provenienti dalla nobiltà di toga ma anche dalla borghesia. Gli intendenti avevano un incarico a tempo determinato e potevano essere destituiti in qualunque momento. Erano una nuova figura amministrativa istituita all’inizio del sec. XVII che costituiva il raccordo tra il centro e l’amministrazione provinciale. Si trattava di funzionari di sua fiducia che, posti a capo delle varie province e città, facevano applicare le leggi, presiedevano i consigli comunali, controllavano la riscossione delle tasse e l'amministrazione della giustizia.
La politica economica
Il braccio destro di Luigi XIV fu per molti anni Jean Baptiste Colbert,
controllore delle finanze dello Stato, la seconda carica più importante dopo
quella regia; egli era fautore del mercantilismo, una politica economica
che prevalse in Europa dal XVI al XVII secolo, basata sul concetto che la
ricchezza di una nazione dipendesse dalla quantità di oro e d’argento
circolanti. Per aumentare la ricchezza occorreva dunque favorire l’ingresso di
moneta preziosa facendo prevalere le esportazioni di beni di lusso sulle
importazioni attraverso l’imposizione di alte tariffe doganali sui prodotti
esteri.
Le corporazioni frapponevano molti ostacoli
all'apertura di nuove iniziative economiche. Colbert li aggirò creando le manifatture
reali, degli stabilimenti - a volte di proprietà della corona, più
frequentemente di privati - a cui venivano concessi vari aiuti da parte dello
stato che potevano variare dai semplici sgravi fiscali, alle sovvenzioni
pubbliche, finanche alla concessione del monopolio in determinati settori.
Sorsero così le famose manifatture di Gobelins (arazzi), Saint-Gobain
(vetro) e Beauvais (tappezzerie), venne favorita l'industria della seta di
Lione, si tutelarono gli inventori, si proibì l'emigrazione degli artigiani
esperti, assumendone nel contempo dall'estero, come nel caso dei maestri
veneziani esperti nella fabbricazione degli specchi e del vetro (causando veri
incidenti diplomatici con la Serenissima Repubblica di San Marco che,
"colbertista" già da secoli, non vedeva di buon occhio simili
pratiche concorrenziali, facendo assassinare da sicari i maestri vetrai
espatriati in Francia). Tutte queste industrie del lusso servivano,
naturalmente, anche ai consumi della corte ed all'arredamento dei palazzi
reali.
Per favorire i commerci furono soppresse molte dogane interne, furono migliorate le strade e vennero creati importanti canali navigabili. Il più lungo, il Canal du Midi (Canale di mezzogiorno), collegava Bordeaux sull'Atlantico a Sète sul Mediterraneo, ed era lungo 240 chilometri.
La politica coloniale
Per rafforzare l’economia francese Colbert cercò di creare un impero marittimo simile a quello di Inghilterra e Olanda. A tal proposito favorì la nascita di grandi compagnie commerciali, di cui lo stato era il principale azionista, come la Compagnia delle Indie occidentali e la Compagnia delle Indie orientali, che avevano il monopolio dei commerci con le colonie.
Ben presto il protezionismo eccessivo, che
favoriva la produzione di beni nazionali, portò la Francia ad essere però
esclusa dai traffici commerciali europei e quindi al fallimento della politica
commerciale di Colbert. In definitiva egli non seguì altro disegno se non
quello di ostacolare le nazioni che facevano del commercio la loro arma
vincente (come le Provincie Unite olandesi).
La politica religiosa
La chiesa francese, in virtù della dottrina gallicana, era dotata di un’autonomia,
più o meno estesa, dall'autorità del Papato. Nel 1682 tra Luigi XIV e il Papa
Innocenzo XI (1676-1689) si accese un forte conflitto che sfociò nei quattro
articoli gallicani approvati da un'assemblea del clero francese i quali
affermavano che:
· Il Papa non aveva autorità sul potere temporale e il Re non era soggetto alla Chiesa in materia di cose civili.
· Il Concilio Generale aveva autorità sul Papa.
· Le antiche libertà della Chiesa francese erano inviolabili.
· Il giudizio del Papa non era inconfutabile.
In pratica ciò si traduceva nel controllo dei sovrani francesi sulle nomine e
sulle decisioni dei vescovi. Il Gallicanesimo si opponeva all'ultramontanismo,
che favoriva la centralizzazione dell'autorità della Curia papale. «Il
documento aprì un conflitto con il pontefice Innocenzo XI, che durò per diversi
anni e si risolse nel 1692 con un compromesso: il papa accettò che i vescovi
nominati dal re avessero piena potestà religiosa (…); il re rinunciò a quelle
prerogative (come la superiorità del concilio) che minavano l’autorità
dottrinale della Chiesa. (Borgognone, Carpanetto, p.19)
Nel 1683 poi, appena morto Colbert che li
proteggeva, Luigi pensò bene di liberarsi dei protestanti (in Francia chiamati
ugonotti) colpendoli con gravi imposizioni fiscali, ostacolandoli
nell’esercizio delle professioni e tormentandoli con le “dragonnades”,
l’obbligo di ospitare nelle proprie case le truppe dei dragoni reali, soldati cattolici che
erano soliti esercitare ogni tipo di violenza sui protestanti che li
ospitavano. Con il pretesto che in Francia non esistevano più protestanti, fu revocato
l’Editto di Nantes (1685) e, nello stesso anno, approvato l'Editto di
Fontainebleau che obbligava i protestanti alla conversione (pena il carcere
o la morte) e ordinava l’abbattimento dei templi protestanti. Di
conseguenza ci fu un esodo (circa 300 mila ugonotti) di categorie
fortemente produttive verso l’Olanda, l’Inghilterra e soprattutto verso il
Brandeburgo, nucleo della Prussia, che ebbe risultati negativi sull'economia
francese sia direttamente, sia sul piano della concorrenza internazionale.
Alla questione gallicana e a quella anti-ugonotta se ne aggiunse un'altra, la persecuzione
della minoranza giansenista (dottrina teologica elaborata nel XVII secolo
da Giansenio (1585-1638), il quale riteneva che l'uomo è corrotto e quindi
destinato a fare il male, e che, senza la grazia di Dio, non può far
altro che peccare e disobbedire alla sua volontà), che tra l'altro portò alla
distruzione del monastero, cuore del giansenismo, di Port-Royal des Champs nel
1710.
La reggia di Versailles e la costruzione della gloria
Luigi fece costruire a Versailles, al posto della vecchia residenza di caccia di suo padre, una sfarzosa reggia che simboleggiava il potere della Francia. I nobili erano spinti alla carriera delle armi oppure erano invitati a trasferirsi a Versailles, lontano dai loro feudi, in una specie di "prigione dorata", affinchè si adagiassero nei piaceri e nelle mollezze e non si interessassero della politica. Fu istituito un complesso cerimoniale per tenerli in uno stato di subordinazione nei confronti del re.
Il re iniziò a risiedere a Versailles dal 1682 e qui fece traferire tutti gli uffici governativi. Nella reggia lavoravano circa 10 mila persone al servizio di un migliaio di nobili.
Luigi organizzò «una vera “fabbrica della gloria”, con lo scopo di plasmare nell’immaginario collettivo la figura carismatica del sovrano: il suo volto fu modellato nel marmo e nel bronzo de monumenti, nei dipinti, nelle monete, al fine di renderlo universalmente familiare ai sudditi» (Borgognone, Carpanetto, p. 22). Durante il suo lungo regno la cultura francese fu sovrana in Europa.
La politica estera
Poco interessato alle imprese
coloniali, Luigi condusse invece varie guerre. In questo periodo l’esercito
francese contava 200.000 soldati, molto di più di qualunque altro stato.
La Guerra di devoluzione (1667-68) fu combattuta per impadronirsi dei Paesi
Bassi spagnoli, sui quali Luigi riteneva di poter esercitare un dominio in
quanto sposato con Maria Teresa, figlia del re di Spagna Filippo IV. La Francia
occupò alcune città fiamminghe suscitando l’intervento di Inghilterra, Svezia e
Olanda, che si allearono con la Spagna. Con la Pace di Aquisgrana le conquiste
francesi furono ridimensionate, ma la Spagna cedette comunque alla Francia 12
città fiamminghe.
La Francia, nel 1672, mosse guerra all’Olanda. Per Luigi XIV era intollerabile che la gloria del suo regno fosse ostacolato dalla piccola ma potente e ricca Repubblica delle Province Unite. La libertà di stampa delle Province Unite permetteva ai nemici del re di ripararvi e criticare Luigi mediante la stampa. Gli olandesi, per contrastare le tariffe doganali francesi, si erano rivolti ad altre nazioni per rifornirsi dei prodotti che di norma compravano in Francia (il sale in Spagna, il vino in Portogallo). Luigi XIV aveva così deciso di risolvere la guerra commerciale con un'aggressione militare e lanciò un esercito di 120 mila uomini contro la piccola nazione avversaria. Dopo aver subito l’occupazione militare di Utrecht, gli olandesi ruppero le dighe per impedire all’esercito francese di proseguire. Il governatore olandese (statolder) Guglielmo III d’Orange chiese e ottenne l’aiuto di diverse nazioni europee (Spagna, Austria, Brandeburgo). Nel 1678 fu firmata la pace di Nimega. Luigi, malgrado l’aiuto della Svezia dal 1775, non riuscì a vincere la guerra, anche se ottenne alcuni territori (tra cui la Franca Contea dalla Spagna), e fu costretto addirittura al ritiro della tariffa doganale decisa del 1667. L’Olanda uscì però prostrata dal conflitto e non poté riassumere l’importante ruolo che aveva avuto prima della guerra nel contesto economico europeo.
Con la guerra della lega d’Augusta (1689-97), Luigi, dopo aver combattuto una larga coalizione di stati (tra cui l’Inghilterra, l’Austria, la Spagna e le Province Unite), riuscì a ottenere soltanto la città di Strasburgo.
L’ultima guerra combattuta da Luigi fu quella chiamata di Successione
spagnola. Dopo la morte senza eredi di Carlo II D'Asburgo, aspiravano
alla successione Luigi XIV e l'imperatore Leopoldo I d'Austria, in quanto
sposati ciascuno ad una sorella di Carlo II. Dopo un lungo lavorio delle
diplomazie però, alla morte di Carlo II (10 novembre del 1700) era salito al
trono spagnolo il duca d'Anjou col nome di Filippo V, il quale venne
riconosciuto in tutti i domini della corona e trovò naturalmente un validissimo
sostenitore nel nonno Luigi XIV. La corte di Vienna, però, impugnò la validità del
testamento di Carlo II e, poiché le proteste erano inutili, cominciò a far
preparativi di guerra e si adoperò attivamente per cercare alleati contro la
Francia e il nuovo re di Spagna. La Spagna era una potenza indebolita e in
crisi finanziaria, ma aveva le risorse di un immenso impero. Non si poteva
concepire che fosse annessa, o quasi, alla Francia, e neppure all’Austria.
L’Europa sarebbe stata totalmente sconvolta, dominata, come all’epoca di Carlo
V, da un’unica superpotenza.
In breve contro Filippo V e Luigi XIV si costituì una potente lega di cui
fecero parte l'Inghilterra, l'Olanda, l'impero Austriaco e vari principi
della Germania; in favore della Francia e della Spagna si schierarono la
Baviera, il Portogallo e la Savoia (questi ultimi due, però, nel corso
della guerra passarono all’altra coalizione).
Dopo alterne vicende, il pretendente austriaco nel frattempo (1711) era
diventato imperatore, col nome di Carlo VI, succedendo a Giuseppe I, suo
fratello, e figlio maggiore del defunto Leopoldo I; quindi, se avesse vinto la
guerra, avrebbe anche lui riunito tra le sue mani un potere eccessivo. L’Inghilterra
cercò allora un accordo con Luigi XIV. Con la pace di Utrecht (1713) e di
Rastatt (1714) la guerra ebbe termine. Filippo d'Anjou venne
riconosciuto re di Spagna e accettò la separazione tra la sua corona e quella
di Francia. La Spagna cedette all’Austria i Paesi Bassi spagnoli, Milano, la
Sardegna e il regno di Napoli. L’Inghilterra ottenne Gibilterra, chiave del
Mediterraneo, e Minorca nelle Baleari. La Francia diede all’Inghilterra i
territori nordamericani di Terranova. Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne la
Sicilia. L’Inghilterra ottenne dalla Spagna l’asiento, cioè il
monopolio per 30 anni del commercio degli schiavi africani, più il diritto di
inviare ogni anno nelle colonie spagnole americane una nave mercantile di 500
tonnellate per vendere le sue mercanzie.
Nel 1720, dopo una nuova guerra contro la Spagna, la Sicilia passò agli austriaci e la Sardegna ai Savoia. In questo modo il duca Vittorio Amedeo II ottenne dall’imperatore Carlo VI il titolo di re di Sardegna.
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