Il viaggio simbolico verso la verità.
Un ampio frammento contiene il proemio del poema in cui il filosofo racconta del viaggio che ha compiuto, sotto la guida delle Eliadi (le figlie del sole),
verso la porta dalla quale si separano la via della luce, del giorno - da cui
si accede al dominio della verità - e la via delle tenebre, della notte,
dell'errore (vedremo poi che esiste anche una problematica terza via).
Si tratta di un viaggio iniziatico, che ha come meta l'acquisizione di un
sapere profondo, non accessibile a tutti.
Perché l'immagine del viaggio?
Perché chi si mette per via accetta di confrontarsi con una serie di eventuali
imprevisti lungo il percorso, di mettersi alla prova in situazioni diverse, maturando
gradualmente la sua esperienza (così come nel modello dell'insegnamento
iniziatico si procede per tappe successive verso il vero sapere). Inoltre il
viaggio allude, in forma simbolica, allo sforzo intellettuale del pensatore che
si distacca dal mondo dell'esperienza quotidiana e arriva alla conoscenza della
verità, indicatagli, nella rappresentazione letteraria, dalla bocca di una dea.
La stessa rappresentazione solenne della partenza del filosofo in compagnia di
fanciulle divine accentua l'idea del distacco dalla vita usuale.
A prima vista, può
sembrare che Parmenide, facendo riferimento alla dea guida da cui apprende la
verità, si ricolleghi al modello dei poemi antichi, dove l'autore, accingendosi
al racconto, invoca l'ispirazione della Musa. Ma nei contenuti il proemio
parmenideo annuncia qualcosa di nuovo: mentre nei poemi antichi il poeta si
affidava alla divinità perché lo aiutasse a narrare i fatti accaduti, qui la
dea è presentata come portatrice di un messaggio che definisce ciò che può
essere legittimamente detto e pensato dagli uomini (e insieme ciò che non può
essere detto e pensato). La dea indica perciò a Parmenide la via che dovrà
percorrere, la via della luce, accanto alla quale si aprono altre due vie:
l'una impercorribile, la via delle tenebre e dell'errore, l'altra illusoria e
ingannevole, ma di fatto percorsa dagli uomini (la quale nella prima parte del
poema resta in ombra).
Indicare la via significa
indicare un metodo per arrivare a una meta; dunque la dea insegna a Parmenide
il metodo per procedere verso la verità, mostrandogli al tempo stesso come riconoscere
la via impercorribile, cioè la via dell'errore.
L'opposizione essere-non essere.
La via della luce dice «che è e che non è possibile che non sia»; la via delle
tenebre, all'opposto, dice «che non è e che è necessario che non sia, perché il
non essere non lo puoi pensare né esprimere».
Proviamo a sciogliere il
non facile linguaggio parmenideo, denso però di rilevanti contenuti filosofici.
Innanzitutto osserviamo che nelle scarne formule dei discorsi che
contraddistinguono le due vie si enunciano dei predicati verbali di cui non è
precisato il soggetto; di qui l'emergere dell'opposizione radicale: è-non è.
Prendiamo ora in esame le
parole inerenti alla via della luce, la via percorribile: dire che qualcosa è e
che non è possibile che non sia, significa riconoscere la necessità di una
certa affermazione e l'impossibilità dell'affermazione opposta.
Essere e non essere sono qui considerati come assolutamente disgiunti, estranei
l'uno all'altro.
II non essere assoluto.
Quanto alla seconda via, quella impercorribile delle tenebre, che dice
"che non è", bisogna tenere presente che il discorso di Parmenide si
riferisce al non essere in senso assoluto, senza specificazioni.
Ricorriamo a un esempio
per spiegare che cosa significa non essere assoluto. Se dico «il libro non è
sul tavolo», con il predicato "non è" intendo che il libro non è (non
si trova) in una certa posizione, ma non che il libro non è assolutamente, cioè
non esiste. Allora, "non è" può voler dire sia non essere in qualche
modo (non è sul tavolo) sia non essere assolutamente (non esistere).
Quando Parmenide usa il
verbo "non essere", gli dà un significato assoluto: non essere, senza
specificazioni equivale a non esistere. Ma ciò che non esiste assolutamente è
il nulla. In questo senso allora risulta impossibile dire che qualcosa non è,
perché equivarrebbe a dire (e a pensare) il nulla. La via delle tenebre è impercorribile
per il pensiero appunto perché non è possibile né dire né pensare ciò che non è.
L'essere assoluto.
Ma anche l'essere, il predicato "è", viene inteso da Parmenide in
senso assoluto, senza specificazioni. Ci sono cose - come la penna - delle
quali posso in qualche modo dire che non sono (la penna non è sul tavolo, non è blu, ecc,), pur essendo esistenti. L'essere di cui parla Parmenide è invece
necessariamente (non è possibile che non sia). Questo comporta di conseguenza
che le cose mutevoli (che ora sono, ora non sono) non appartengono all'essere e
come tali non esistono. Eppure noi vediamo un mondo popolato di cose che
divengono, che nascono, si trasformano e muoiono; in che modo si concilia
l'affermazione dell'essere come ciò che è assolutamente (escludendo la realtà
del divenire) con l'esperienza comune? Secondo Parmenide in nessun modo; il
rigore del pensiero - che afferma che l'essere è e non può non essere -
costringe ad affermare che l'essere è assolutamente (che è l'opposto del
nulla), mentre le cose mutevoli che appaiono nell'esperienza sono pura
illusione.
Essere, pensiero, linguaggio.
Il modo in cui Parmenide imposta il suo discorso sull'essere e il non essere sottolinea
il legame profondo che sussiste tra l'essere, il pensiero e il linguaggio (un
legame che deve essergli parso tanto evidente da darlo in qualche modo per
scontato). Esso costituisce il fondamento dell'intera riflessione parmenidea.
Solo ciò che è, ciò che
non è non essere, può essere detto e pensato e, viceversa, solo ciò che può
essere detto e pensato è. Come si potrebbe pensare il non essere, il nulla? Come
si potrebbe dire il nulla? Pensare il nulla non è la stessa cosa che non
pensare, annullare il pensiero?
Con l'affermazione dello
stretto rapporto fra essere, pensiero e linguaggio si afferma un principio che,
da Parmenide in poi, costituisce un elemento-base del discorso filosofico: è
sempre e pienamente vero solo ciò che è necessario, ovvero ciò il cui opposto è
impossibile. La proposizione «L'essere è» è sempre vera, mentre la proposizione
opposta «L'essere non è» - data la disgiunzione radicale tra essere e non
essere – dichiara qualcosa di contraddittorio, impossibile.
Gli attributi dell'essere.
Quali caratteristiche contraddistinguono l'essere che si mostra sulla via della
luce? Per definirle Parmenide ricorre a una forma di ragionamento, la
confutazione, che, ammettendo il contrario di quello che vuole dimostrare, fa
risaltare le contraddizioni, gli errori e le incongruenze che discendono
dall'avere accolto determinate premesse iniziali.
Attraverso questo
procedimento Parmenide dimostra che l'essere è uno, immobile (non sottoposto a
movimento), immutabile, eterno, indivisibile. Per esempio, se si ammette che
l'essere è molteplice, ciascuno di questi molteplici non è gli altri molteplici
e quindi in qualche modo non è. Oppure, se si ammette che l'essere muta, passa
cioè attraverso stati diversi (da caldo diventa freddo, da piccolo grande
ecc.), al termine del processo di trasformazione esso non è quello che era
prima o è quello che non era prima. Per non cadere in tali contraddizioni è
dunque necessario concludere che l'essere è uno, immutabile, ingenerato, eterno, omogeneo e immobile.
Tra le proprietà
dell'essere Parmenide include anche la finitezza. Se l'essere fosse infinito
(non finito) sarebbe incompiuto e quindi mancante di qualcosa; ma se è privo di
qualcosa significa che non è ciò di cui è privo. Anche in questo caso, dunque,
ne verrebbe che l'essere in qualche modo non è, contro la disgiunzione assoluta
tra "è" e "non è" che la via della verità impone. L'essere
finito è descritto da Parmenide come una sfera compatta, la cui figura ben
rappresenta il carattere di compiutezza, omogeneità e totalità che appartiene
all'essere. Questa sfera perfetta - dice Parmenide nel poema - è avvinta,
bloccata con robusti legami dalla Giustizia (Dike), che in tal modo le
impedisce di allontanarsi da sé, cioè di divenire.
La terza via.
Oltre alla via della verità e a quella dell'errore se ne apre una terza, lungo
la quale si incamminano per lo piú gli uomini e che per certi aspetti si
sovrappone alla via delle tenebre. Infatti nei discorsi dei mortali, i quali
parlano delle cose molteplici e del loro divenire, si ammette sia la possibilità
di dire "che è", sia la possibilità di dire "che non: " (la penna è sul tavolo e non è nella borsa), identificando cosí l'essere e il non
essere.
Tuttavia - afferma la dea
nella rappresentazione poetica - è opportuno conoscere anche le opinioni comuni
e a questo argomento Parmenide dedica la seconda parte del poema sulla natura,
di cui rimangono però pochissimi frammenti; di qui la difficoltà a ricostruirne
le linee.
Forse, come ha suggerito il filosofo Karl Popper, era intento di
Parmenide mostrare le piú accreditate tra le opinioni degli uomini, anche se
non vere nel senso della verità piena che ha per oggetto l'essere immutabile, facendo
riferimento al modo corrente di pensare e a ciò che appare agli uomini nel loro
rapporto quotidiano con il mondo fisico: la molteplicità e le differenze, la
nascita, la trasformazione e la morte delle cose.
Forse, insomma, Parmenide
voleva dire che non tutte le opinioni sono uguali, ma alcune sono migliori di altre.
Ad esempio, l’opinione che la luna è un corpo opaco è migliore di quella che la
pensa come dotata di luce propria. Esiste una verità assoluta, ma nella vita
umana, fondata sul divenire, ha spazio solo l’opinione; per questo è importante
scegliere le opinioni migliori.
Alétheia e doxa.
La contrapposizione tra la verità e le opinioni dei mortali è espressa
attraverso due temini: alétheia (ciò che non è nascosto) e dóxa (ciò che
sembra).
Alétheia indica la verità
innegabile e necessaria a cui si giunge mediante la ragione (la quale costringe
a negare la molteplicità e il divenire perché contraddittori); dóxa sono le opinioni
dei mortali, i quali accettano come realtà autentica quello che è loro
illusoriamente mostrato dai sensi (appunto la molteplicità e il divenire),
identificando in tal modo l'essere e il non essere. La differenza radicale tra
essere e non essere, da un lato, tra verità e opinione, dall'altro, apre un
grave problema che occuperà a lungo la scena filosofica greca, mettendo alla
prova i successori di Parmenide. Parmenide ha affermato che il mondo dei sensi è illusione, ma anche l'illusione "è". Compare qui una contraddizione di difficile soluzione.
La filosofia successiva avrebbe cercato di rispettare il rigore della ragione che afferma l'impossibilità di identificare essere e non essere, e nello stesso tempo "salvare" i fenomeni dell'esperienza (come, ad esempio, in Democrito).
La filosofia successiva avrebbe cercato di rispettare il rigore della ragione che afferma l'impossibilità di identificare essere e non essere, e nello stesso tempo "salvare" i fenomeni dell'esperienza (come, ad esempio, in Democrito).
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