«In un’afosa giornata di luglio dell’anno 1505 un viaggiatore solitario avanzava a fatica sulla strada riarsa alle porte del villaggio di Stotterheim in Sassonia. Era un giovane, basso ma tarchiato, vestito da studente universitario. Mentre si avvicinava al villaggio, il cielo si rannuvolò; d’un tratto cadde un acquazzone che presto divenne uno scrosciante temporale. Un fulmine squarciò l’oscurità gettando a terra il viandante che nello sforzo di rialzarsi, gridò pieno di terrore: “Sant’Anna, aiutatemi! Mi farò monaco!”» (R. H. Bainton, Lutero, Einaudi, 1980).
Con queste
parole Roland Bainton ricorda un episodio fondamentale della vita di Martin Lutero, colui che avrebbe frantumato
l’unità religiosa del cattolicesimo.
Lutero era stato
educato con grave rudezza. Da bambino i genitori lo picchiavano a sangue per ogni
minima mancanza. A scuola ogni negligenza veniva punita a bastonate. I genitori
nutrivano, però, molte speranze in lui. Quando Lutero ottenne il grado di Magister Artium il padre gli donò una
copia del Corpus Iuris Civilis di
Giustiniano e non si rivolse più a lui dandogli del tu, ma del voi.
Nell’atmosfera
religiosa del tempo Lutero percepiva la sua vita come un breve periodo di prova
in vista della vita eterna. Il monachesimo sembrava garantire più di una
professione laica la salvezza eterna e non mancavano esempi di persone nobili e
ricche che avevano deciso di farsi monaci. Lutero stesso aveva potuto osservare il
principe di Anhalt, ridotto a pelle e ossa, percorrere la città portando il
sacco della questua (Bainton, op. cit. p. 12).
Lutero si
dedicava a veglie, preghiere e digiuni più di quanto fosse richiesto dalla
regola. Eppure non riusciva a raggiungere la sospirata tranquillità interiore. Non
poteva sapere se i suoi sforzi erano stati sufficienti ad annullare i peccati.
Nemmeno la confessione era capace di consolarlo, dato che gli sembrava
possibile non aver confessato peccati non ricordati o non riconosciuti tali.
Come monaco egli
proseguì i suoi studi universitari per ottenere un posto da lettore nell’ordine
agostiniano. Fu proprio nella lettura approfondita della Bibbia, e in particolare
nella lettura dell’apostolo Paolo, che egli trovò la risposta ai suoi dubbi:
l’unico requisito utile alla salvezza è la fede, non un’opera umana, dunque, ma
un dono di Dio.
Tale
giustificazione per fede sarebbe diventata il fondamento dell’intera teologia
luterana.
Lucas Cranach, Ritratto di Martin Lutero, 1529
|
Il bando delle indulgenze.
Alberto di Hohenzollern, che era già vescovo di Magdeburgo e
Halberstadt, desiderava ottenere anche l'elezione ad arcivescovo elettore di Magonza. Accumulare
benefici ecclesiastici significava disporre di larghissime entrate nonché, in
molti casi, il possesso di un potere politico. Alberto sapeva che per ottenere
il vescovato di Magonza doveva pagare 10 mila ducati che né lui, né la diocesi possedevano. Il papa pretendeva anche un supplemento per l’irregolarità
della richiesta. Proprio in quel tempo Leone X aveva bisogno di fondi per la
costruzione della nuova basilica di S. Pietro. Così fu possibile raggiungere un accordo:
la banca tedesca dei Függer avrebbe anticipato 10 mila ducati, il papa avrebbe
permesso ad Alberto di organizzare un’indulgenza nei suoi territori per
recuperare i soldi anticipati dai Fugger e per ripagarli degli interessi. Il
surplus sarebbe andato a Roma.
Anche se la
vendita delle indulgenze era vietata a Wittemberg, residenza di Lutero, (in
Sassonia il principe elettore Federico, che giunse a possedere oltre 19 mila
reliquie, aveva il monopolio delle indulgenze), alcuni fedeli si misero in viaggio
per varcare il confine, che era distante pochi chilometri, e acquistarne una al
prezzo riservato per le persone meno abbienti, un fiorino d’oro. Come abbiamo
visto, secondo Lutero non c’era alcuna azione umana, e tanto meno l’acquisto di
un’indulgenza, che avrebbe potuto eliminare, agli occhi di Dio, la condizione
di peccatore. Quando il monaco seppe che il venditore, il domenicano Johann
Tetzel, aveva detto che che l’indulgenza papale avrebbe assolto un uomo che
avesse per ipotesi violato la madre di Dio, fu invaso da un furioso sentimento di
sdegno. Così, il 31 ottobre 1517, verso mezzogiorno, affisse alla porta della
chiesa del castello di Wittemberg 95
tesi in latino volte a criticare la dottrina delle indulgenze. Era il modo
normale in cui nel mondo accademico si dibatteva una questione controversa.
Cos’erano le indulgenze?
A grandi linee, secondo
la dottrina cattolica, il perdono dei peccati avveniva secondo quattro momenti
distinti: 1) la confessione del peccato commesso; 2) il perdono del peccato da
parte di Dio in virtù di un pentimento sincero; 3) l’imposizione di una pena da
parte del confessore; 4) la
riconciliazione del peccatore con la Chiesa.
In questo
contesto, dopo che la dottrina del purgatorio venne ufficializzata
(Concilio di Lione, 1274), la dottrina delle indulgenze assunse un ruolo importante nella dottrina cattolica. Solo Dio può rimettere
la colpa, ma le pene canoniche (distinte dalla pena eterna) erano considerate
competenza della Chiesa. Queste pene dovevano attestare la sincerità del
pentimento e consistevano normalmente in preghiere, digiuni, opere di carità e
pellegrinaggi.
É a questo punto
entrano in gioco le indulgenze. Ecco come le definisce il teologo valdese Paolo
Ricca:
«Che cos'è, allora, un'indulgenza? Lo dice la parola stessa: è un atto di (relativa) clemenza della Chiesa che, venendo a soccorso dei suoi «figli» come una madre compassionevole, attenua il rigore della disciplina penitenziale addolcendo la pena. Questo può avvenire, sostanzialmente, in due modi: o commutando la pena in un'altra opera buona che valga come atto penitenziale - per esempio, la costruzione di una strada pubblica, o di una chiesa, oppure un pellegrinaggio a Roma, o ancora la partecipazione a una crociata (le crociate hanno molto contribuito allo sviluppo delle indulgenze) - oppure commutando la pena in un'offerta di denaro. L'espressione «lucrare un'indulgenza», oggi ancora ufficialmente utilizzata, sembra riflettere il nesso possibile tra indulgenza e denaro. Questo nesso, sia chiaro, non è in alcun modo costitutivo dell'indulgenza. È però altrettanto chiaro che la vendita delle indulgenze divenne, in molti casi, la causa principale della loro promulgazione e fu, per la Chiesa rinascimentale, una grossa operazione finanziaria e una fonte importante di reddito» (Le 95 tesi di Lutero, P. Ricca, G. Tourn, Claudiana, p.28).
Secondo Lutero
la vendita delle indulgenze, dato che la gente comune identificava l’espiazione
della pena con l’estinzione della colpa, era una specie di spaccio di grazia a buon mercato. Le indulgenze rendevano irriconoscibile
il messaggio cristiano e costituivano una pericolosa illusione che metteva a
repentaglio la salvezza delle anime.
Per la dottrina
tradizionale il potere di concedere le indulgenze sarebbe stato giustificato
dai meriti eccedenti di Cristo e dei santi che la Chiesa avrebbe diritto di
amministrare. Una teoria sostenuta per la prima volta dal papa Clemente VI nel
1343 e valida ancora oggi presso la Chiesa cattolica. Nel ‘500 questa teoria
subì un evidente abuso quando sia la curia romana, sia quella tedesca, la
sfruttarono senza riguardi per fini molto terreni.
Per Lutero,
invece, la remissione della pena, oltre che della colpa, era sempre opera di
Dio. La Chiesa non può amministrare i meriti eccedenti dei santi perché questi
non esistono (nessun uomo ha meriti che eccedono il premio della salvezza) o di
Gesù, perché questi ultimi sono indisponibili. L’unico tesoro di cui la Chiesa
può disporre è «il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio» (tesi 62). La
Chiesa può perdonare solo le pene da essa stessa inflitte (preghiere,
pellegrinaggi, elemosine, ecc.) ma non può certo estinguere le pene del
Purgatorio, né tantomeno annullarle per le persone già morte. Il perdono per
procura non esiste.
D’altra parte,
se il papa ha il potere di liberare le anime dal Purgatorio, obbietta Lutero,
perché non lo fa gratuitamente? (tesi 82). E ancora: «perché il papa le cui
ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi Crassi, non
costruisce una sola basilica di San Pietro con i propri soldi invece che con
quelli dei poveri fedeli?» (tesi 86).
Come abbiamo già
sottolineato le 95 tesi erano destinate esclusivamente a una cerchia di
persone dotte. Si trattava di un documento di studio e non di un manifesto
volto alla piazza. Lutero voleva semplicemente aprire un dibattito tra i
professori di teologia, non desiderava affatto lacerare l’unità della Chiesa. Egli,
infatti, ne mandò alcune copie ai teologi di varie università. Tuttavia, a sua
insaputa, le tesi vennero tradotte in tedesco e diffuse in lungo e in largo
grazie alla nuova tecnica di stampa inaugurata da Gutemberg. Erano i semi di
una riforma che sarebbe maturata nell’arco di qualche anno.
Lutero diviene riformatore
Le 95 tesi non
costituivano ancora un attacco diretto alla dottrina ma, piuttosto, al
malcostume. La Chiesa cattolica avrebbe potuto risolvere facilmente la
questione se solo avesse reagito con compostezza. Essa, sentendosi attaccata,
reagì con arroganza e violenza spingendo Lutero a rafforzare e ad approfondire
la sua visione.
Nel maggio del
1518, in occasione del raduno triennale dell’ordine agostiniano, Lutero sostenne
le cosiddette tesi di Heidelberg
sulla teologia della croce, vale a dire 1) la convinzione che Dio si manifesti in modo più compiuto seppur paradossale sul Golgota, «sotto apparenze contrarie»: la divinità nell'umanità, la gloria nell'ignominia, la pace nel tormento, ecc. 2) Il Dio nella croce é un Dio che salva, che giustifica il peccatore.
Le tesi luterane stavano conquistando molti illustri confratelli alla sua causa. Per intercessione del principe di Sassonia ottenne di essere interrogato in Germania piuttosto che a Roma. Ad Augusta, davanti al cardinale Caietano, inviato del papa, Lutero non indietreggiò di un passo, e non volle ritrattare nulla. Dato che l’università di Wittemberg non aveva sconfessato Lutero, il principe Federico si trovava in imbarazzo. Non voleva essere considerato dal papa un protettore di eretici, però desiderava che Lutero fosse smentito con argomenti convincenti. Così continuò a proteggerlo. L’anno successivo si svolse a Lipsia una disputa tra Lutero e il teolgo Giovanni Eck. In quell’occasione Lutero negò il primato del papa romano sull’intera cristianità ed evidenziò che i concili, contraddicendosi a vicenda, possono sbagliare. La popolarità di Lutero, in una Germania che guardava con ostilità alla massa di denaro risucchiata da Roma, era ormai dilagante.
Le tesi luterane stavano conquistando molti illustri confratelli alla sua causa. Per intercessione del principe di Sassonia ottenne di essere interrogato in Germania piuttosto che a Roma. Ad Augusta, davanti al cardinale Caietano, inviato del papa, Lutero non indietreggiò di un passo, e non volle ritrattare nulla. Dato che l’università di Wittemberg non aveva sconfessato Lutero, il principe Federico si trovava in imbarazzo. Non voleva essere considerato dal papa un protettore di eretici, però desiderava che Lutero fosse smentito con argomenti convincenti. Così continuò a proteggerlo. L’anno successivo si svolse a Lipsia una disputa tra Lutero e il teolgo Giovanni Eck. In quell’occasione Lutero negò il primato del papa romano sull’intera cristianità ed evidenziò che i concili, contraddicendosi a vicenda, possono sbagliare. La popolarità di Lutero, in una Germania che guardava con ostilità alla massa di denaro risucchiata da Roma, era ormai dilagante.
Intanto nel 1519
il papato era distratto dall’elezione del nuovo imperatore, essendo morto
Massimiliano d’Asburgo. Dopo l’elezione di Carlo V però era giunto il tempo di
risolvere definitivamente la questione di Lutero.
Nel 1520
Lutero, prevedendo la probabile condanna da parte della Chiesa, pubblicò alcuni trattatelli. In quel periodo
Lutero si stava convincendo che il papa fosse l’anticristo e, nel libello intitolato Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, egli stuzzicò l'orgoglio dei nobili tedeschi, offesi dalla brama di potere della Chiesa di Roma, al fine di spingerli a porre un freno alla rapacità della curia romana in Germania. In un altro, intitolato Sulla cattività babilonese della Chiesa,
esaminò i sette sacramenti, accettandone soltanto due: battesimo, ed
eucaristia. Egli negava la transustanziazione, ovvero la trasformazione
del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo, affermando invece la consustanziazione, la presenza reale di
Gesù insieme al pane e al vino (come il fuoco che rende incandescente il
ferro). La confessione non
fu eliminata completamente. Lutero giudicava bella e salutare la confessione spontanea rivolta
a una persona qualsiasi, era per lui intollerabile imporla come obbligo. Egli
contestò anche il monachesimo e il celibato sacerdotale. Più tardi (1525)
avrebbe egli stesso sposato una ex monaca, Katharina von Bora, dalla quale avrebbe avuto sei figli. Ora la rottura era
diventata irreparabile. L’abolizione del sacramento del sacerdozio comportava la fine della distinzione tra
religiosi e laici, che per Lutero non aveva alcun fondamento biblico. Secondo
lui ogni battezzato era automaticamente sacerdote, nessuna categoria di persone
poteva presumere di essere più vicina a Dio di un’altra. Nacque così la
dottrina del sacerdozio universale. La
comunità avrebbe scelto tra le persone più esperte gli interpreti della
Scrittura, senza che questo conferisse loro alcun privilegio.
In
un terzo libro dall’intento conciliativo intitolato La libertà del cristiano, e che conteneva un’epistola
dedicatoria al pontefice, egli precisò che non sono le opere buone a rendere un
uomo buono, bensì è l’uomo buono che compie opere buone, proprio come è l’albero
fecondo a produrre i buoni frutti. Per poter compiere opere buone l’uomo deve
essere già buono, reso giusto dalla volontà di Dio. Sempre in quest’opera
Lutero consigliava al papa di evitare di definirsi “vicario di Cristo”, perché
si è vicari quando qualcuno è assente. Se il papa è vicario significa che
Cristo non c’è e allora non ci sono neanche cristiani.
Leone X in un ritratto di Raffaelo |
La vita del
cristiano non era più sottoposta al controllo di passaggi chiave, i sacramenti,
da parte delle gerarchie religiose. La fede nella parola di Dio rendeva il
cristiano un uomo libero. Partendo dalla questione relativamente marginale
delle indulgenze Lutero era ormai giunto a proporre il ripristino del
Cristianesimo originale.
Lo stesso anno
fu inviata a Lutero la bolla papale Exurge Domine, in cui gli si
concedevano 60 giorni per ritrattare. Lutero, in risposta al rogo dei suoi
libri compiuto a Roma e in altre città, bruciò in piazza la bolla con tutto il
codice di diritto canonico. Federico di Sassonia lo proteggeva ancora e ottenne
da Carlo V che il monaco fosse giudicato in occasione della dieta imperiale che
si sarebbe dovuta tenere a Worms. Nell’aprile, munito di un salvacondotto
concesso da Federico di Sassonia, si recò a Worms per essere ascoltato. Quando giunse a Worms, dopo un viaggio durato
vari giorni, fu accolto da una folla plaudente. La gente saliva sui tetti per
riuscire a vederlo. Di fronte alla Dieta con l’imperatore Carlo V che osservava
taciturno c’erano tutti i sette grandi elettori e gli altri principi minori.
Alla richiesta di ritrattare Lutero, forse intimidito dalla maestà del luogo,
chiese un giorno di tempo per riflettere. Il giorno dopo ritrovò il suo spirito
battagliero e affermò che avrebbe ritrattato solo se lo si fosse convinto sulla
base della scrittura, e che è pericoloso per la salvezza dell’anima affermare
qualcosa contro coscienza. Qui sto saldo, concluse.
Federico il Saggio di Lucas Cranach il Vecchio (1532) |
Dieci mesi nel castello di Wartburg
Nella notte che
seguì la condanna furono affissi in città dei manifesti che minacciavano
l’intervento di quattrocento nobili e ottomila uomini in difesa di Lutero.
Siccome anche tra i principi elettori non c’era accordo sul da farsi, Carlo
decise di mantenere la sua promessa e permise a Lutero di ripartire per
Wittemberg. Sulla via del ritorno, però, il monaco fu rapito da emissari di
Federico che, per proteggerlo, lo portarono al castello della Wartburg, in
Turingia. Sotto il falso nome di cavalier
Giorgio Lutero si lasciò crescere la barba e i capelli per nascondere la
tonsura dei monaci ed evitare di essere riconosciuto. Durante il soggiorno nel
castello egli scrisse numerosi testi tra cui una traduzione in tedesco dei Nuovo Testamento, per realizzare la quale
egli risalì alle fonti greche originali, come avevano insegnato gli umanisti. La
traduzione è considerata un modello per la definizione della lingua tedesca, allora
suddivisa in vari dialetti,
come la Divina Commedia di Dante per l’italiano. Nel 1534 avrebbe completato la
traduzione dell’intera Bibbia. La possibilità di leggere la bibbia in tedesco stimolò un considerevole sforzo nell'organizzazione di scuole volte a diffondere l'alfabetizzazione.
Intanto Carlo V,
conclusa la dieta di Worms, dovette rientrare in Spagna a causa di alcune
rivolte e di un’imminente guerra contro la Francia. Egli non sarebbe tornato in
Germania che 9 anni più tardi. La sua assenza faceva perdere efficacia
all’editto di proscrizione su Lutero, anche perché il Consiglio imperiale a cui
Carlo lasciò il governo della Germania era composto “di 23 membri, dei quali
solo 5 nominati da Carlo V; gli altri 18 erano stati nominati dai principi
elettori, dai feudatari e dalle città libere.” (Federico A. Rossi di Marignano,
Martin Lutero e Caterina von Bora).
Nel Consiglio di reggenza le opinioni su Lutero non erano unanimi e la
possibilità di un’applicazione dell’editto era resa difficoltosa anche dal
clamoroso successo che le dottrine del monaco stavano riscuotendo in Germania.
In assenza di
Lutero a Wittemberg erano sorti dei tumulti iconoclastici, alcune chiese erano
state devastate, i preti aggrediti, la liturgia sovvertita e la poligamia aveva
iniziato a diffondersi. Lutero,
constatando che la riforma si stava volgendo in anarchia, decise di
rischiare il tutto per tutto e rientrò a Wittemberg ai primi di marzo del 1522.
In una settimana risolse il problema ripristinando il culto dei santi e
assumendo posizioni durissime contro i fanatici, che furono espulsi.
Gli effetti politici: i cavalieri e i
contadini si ribellano
Nel 1522, un
gruppo di cavalieri (la piccola nobiltà guerriera erede delle antiche
tradizioni della cavalleria medievale) guidati dai suoi seguaci, l’umanista Ulrich von Hutten e il militare Franz von Sickingen, dopo che a Worms Lutero era stato messo al
bando, avevano deciso di rovesciare il regime dei principi cattolici per
ripristinare i valori del cristianesimo delle origini, nonché le loro
prerogative che erano state messe in discussione dai nuovi eserciti mercenari,
dall’uso delle armi da fuoco nonché dalla borghesia in ascesa. Sickingen, con 7000
lanzichenecchi e 1500 cavalieri, aveva attaccato senza successo la città
arcivescovile di Treviri. L’anno seguente l’arcivescovo e i suoi alleati espugnarono i castelli dei cavalieri ribelli compreso quello di Sickingen,
che morì nel corso dello scontro. Hutten, che non aveva partecipato all’assedio
di Treviri, fuggì a Zurigo, accolto dal riformatore Zwingli, dove, malato di
sifilide, si spense qualche mese dopo.
Molto più grave
fu la rivolta dei contadini. Nel
maggio del 1524
le insurrezioni contadine, che saltuariamente si ripetevano in Europa da almeno
due secoli, divennero una vera e propria ribellione che si diffuse in tutta la
Germania meridionale e centrale. I contadini avevano accolto il messaggio
religioso di Lutero come un proclama politico di uguaglianza tra gli uomini.
Essi protestavano contro una condizione insostenibile dovuta principalmente
alla scarsità della terra e all’esosità dei tributi. «Sebastian Lotzer, un
pellicciaio di Memming, aveva redatto una lista di rivendicazioni che era stata
detta dei Dodici punti. Al primo punto si trovava il diritto dei contadini di
eleggere il parroco e di poterlo, al caso, deporre. Si chiedeva poi
l’abolizione della servitù della gleba, una limitazione delle decime, la
libertà di caccia e di pesca, il libero sfruttamento dei pascoli, la riduzione
delle corvées, dei canoni d’affitto e di altri abusi, la restituzione dei campi
appartenuti in precedenza alle comunità locali, l’abolizione dell’odiosa
consuetudine detta del caso di morte, per la quale si toglievano alle vedove e
agli orfani superstiti i diritti acquisiti dal defunto». (Federico A. Rossi di
Marignano - Martin Lutero e Caterina von
Bora, iBooks, p. 366)
Lutero
inizialmente si schierò coi contadini in uno scritto intitolato Esortazione alla pace a proposito dei dodici
articoli dei contadini di Svevia, sostenendo che almeno alcuni dei 12 punti
erano pienamente giustificati. Più tardi però, quando i contadini inascoltati
si abbandonarono a violenze e atrocità, egli ne prese le distanze ed esortò i
principi tedeschi alla distruzione delle "bande brigantesche ed assassine
dei contadini". Per Lutero non c’è rivoluzione cristiana, il cristiano
deve patire il torto senza rivendicarlo con la violenza, deve limitarsi a
pregare Dio affinché egli ristabilisca la giustizia.
Durante le
rivolte contadine del 1525 emerse la figura di Thomas Müntzer, un riformatore apocalittico (pensava la fine del
mondo imminente) che predicava la rivoluzione cristiana. Müntzer negava ogni
tipo di battesimo e caldeggiava una Chiesa di eletti che, guidati da un nuovo
Elia (Müntzer stesso) avrebbero dovuto sterminare gli empi. Egli esortò i contadini
della Sassonia alla rivolta considerandoli il braccio armato di Dio. Lutero
respinse con forza il tentativo di Müntzer, perché a suo giudizio non si poteva
tradurre il Vangelo in un programma
politico, bisognava evitare che la Chiesa diventasse un regno di questo
mondo.
Ritratto di Thomas Müntzer, di |
Sviluppi della riforma
Attraverso una
fitta propaganda composta di vignette e opuscoli, Lutero e i suoi seguaci
riuscirono a estendere la riforma alla
maggior parte della Germania del Nord. Quasi tutte le oltre 200 città imperiali che si reggevano sui propri ordinamenti abbandonarono il cattolicesimo, al fine di consolidare la propria autonomia. «Tutti gli abusi nella vita esteriore
della Chiesa cattolica erano facili temi di satira; e parimenti sfruttato era
il soggetto molto comune del contrasto tra Cristo ed il papa» (R. H. Bainton,
Lutero, p.269). Il vescovo venne sostituito con un sovrintendente. La messa era celebrata in tedesco e consisteva sulla lettura di passi biblici, sul canto di inni sacri e sul sermone del pastore. Le chiese vennero rese più austere e private delle statue, dei crocefissi, delle madonne e delle candele. I preti
cattolici che rifiutavano la riforma furono esonerati e, se vecchi, gli fu
erogata una pensione. Lutero era contrario alla condanna a morte per chi
abbracciava fedi diverse ma non si oppose alla loro espulsione. Siccome il
bando doveva essere effettuato dall’autorità temporale si finì, anche senza
volerlo, per sottomettere la Chiesa allo stato.
Nelle diete
imperiali convocate dopo il 1522 si mise
in evidenza l’adesione di un numero crescente di principi che avevano aderito alla riforma per liberare i propri territori dalla sudditanza nei confronti della curia romana.
Questo impedì che si potesse dar corso alle decisioni di Worms e mettere a
morte Lutero. Durante la seconda dieta
di Spira (1529) si decise che il luteranesimo doveva essere tollerato in
quelle regioni dove non poteva essere soppresso senza provocare pericolosi
tumulti, mentre dove la maggioranza era cattolica non si doveva concedere ai
luterani la libertà di culto. Contro tale disposizione i principi luterani protestarono.
Da questa protesta nacque il nome di «protestanti».
Nel
1529, su iniziativa del langravio Filippo
d'Assia, si tenne a Marburgo un
convegno finalizzato a trovare un accordo tra i luterani e i riformatori della
Svizzera e di Strasburgo sulla questione della Santa Cena. Vi parteciparono
Lutero e il suo seguace Melantone, oltre a H. Zwingli, G. Ecolampadio e M.
Bucero. Zwingli non volle accettare la
dottrina luterana della consustanziazione e l’incontro si risolse in un fiasco.
Nella
dieta di Augusta del giugno 1530 Carlo V fu di nuovo presente. Egli si sentiva
forte per aver chiuso la guerra contro la Francia e aver umiliato il papa (nel
1527 c’era stato il sacco di Roma). Carlo intendeva costringere i principi
protestanti a convertirsi. I luterani
risposero con la Confessione augustana,
redatta da Filippo Melantone, che confessava la fede del luteranesimo unito.
Contro la minaccia di guerra Lutero (che non aveva potuto partecipare alla
dieta) rivolse un appello ad Alberto, l’arcivescovo di Magonza. Il suo
consiglio di pace fu seguito soltanto perché l’imperatore per altri quindici anni venne
distratto da altre difficoltà e non potè usare l’esercito contro i protestanti.
IL CALVINISMO E LA RIFORMA PROTESTANTE IN
EUROPA
La Riforma ebbe
un ulteriore impulso grazie ad altri riformatori come Ulrich Zwingli (1484-1531)
a Zurigo e Giovanni Calvino (1509-64) a Ginevra. Nel suo libro, L’Istituzione
della religione cristiana, pubblicato a Basilea nel 1536, Calvino considerava (sulla scia di Zwingli) i sacramenti come semplici atti simbolici di una fede interiore. Egli dedusse
dalla dottrina luterana della salvezza l’idea della predestinazione. Se ogni uomo deve a Dio
la salvezza eterna, quest’ultima deve essere stata decisa sin dalla sua
nascita. Dio, dunque, conosce il destino di ognuno, anche se gli uomini lo
ignorano. Per questo ogni credente deve vivere come se fosse un eletto,
cercando di portare a maturazione i propri talenti e la propria vocazione. Occorre
quindi impegnarsi ad avere successo, specialmente nel campo del lavoro e degli affari, dato che proprio
il successo costituisce il segno della grazia divina. Calvino, sempre nel 1536,
si trasferì a Ginevra dove il consiglio cittadino lo nominò predicatore e
pastore della città. A Ginevra Calvino per un periodo di circa 20 anni (sino alla sua morte) riuscirà ad imporre un regime
teocratico intollerante (fondato però su regolari elezioni) in cui tutti, con le buone o con le cattive, dovevano praticare la
virtù. I teatri e le osterie vennero chiusi, i balli e i giochi d'azzardo furono vietati, l'adulterio era punito con la morte. L'organo supremo di governo era il Concistoro, un consiglio formato da dodici
laici e da nove pastori, al quale spettava regolare la disciplina e la vita pubblica. Per ragioni puramente religiose furono mandate a morte 48 persone, tra cui il medico e teologo spagnolo Michele Serveto, che fu arso vivo.
Le idee
calviniste ottennero un grande successo non soltanto presso la borghesia ginevrina,
ma anche nella vicina Francia (dove i calvinisti erano chiamati ugonotti), nei Paesi
Bassi, in Inghilterra (dove erano chiamati puritani), in Scozia e nelle colonie
americane.
La Riforma fu
perfettamente consonante con l’indebolimento dei poteri universali (papato e
impero) e il successo degli stati nazionali.
La dottrina
calvinista che considerava il successo terreno un segno di elezione divina
spinse alcuni studiosi, e in particolare il tedesco Max Weber (1864-1920), a ipotizzare che la religione calvinista,
con la sua valorizzazione del lavoro (considerato come un sacro dovere) e del successo economico, abbia favorito lo sviluppo del capitalismo. In effetti le aree riformate
si dimostrarono più dinamiche di quelle cattoliche (Italia, Spagna, Portogallo,
ecc.) dove la cappa della controriforma impediva ogni dibattito, e furono
teatro di alcuni eventi cruciali (indipendenza dei Paesi Bassi, Rivoluzione
inglese e americana) per il futuro del mondo occidentale.
La nascita della Chiesa anglicana
Enrico VIII era
salito al trono d’Inghilterra nel 1509, all’età di diciotto anni. Dalla prima
moglie Caterina d’Aragona non era riuscito ad avere un figlio maschio vivente,
ma solo una femmina, Maria. Allora cominciò a corteggiare una dama di corte che
si chiamava Anna Bolena. Insoddisfatto di Caterina e consigliato dal cardinale Wolsey, cercò di avviare trattative con il papa
Clemente VII per ottenere l’annullamento del suo matrimonio. Clemente VII,
però, non poteva concedere l’annullamento per timore delle reazioni dell’imperatore
Carlo V, nipote di Caterina.
A questo punto Enrico decise di rompere con Roma e, nel
1534, pubblicò l’Atto di Supremazia,
che segnò la separazione della Chiesa inglese dal Vaticano, attribuendo al
sovrano il ruolo di capo della Chiesa inglese, anche se il capo
spirituale era l’arcivescovo di Canterbury. Il Re riuscì così a sposare Anna
Bolena che però gli diede un’altra femmina, la futura regina Elisabetta. Enrico
si stancò presto di Anna e così, dopo averle lanciato una serie di pretestuose
accuse, riuscì a farla mettere a morte e a sposare Jane Seymour, da cui ebbe il
tanto sospirato figlio maschio. Nel 1536 il Parlamento votò una legge che espropriava i
possedimenti dei monasteri minori, procurando ingenti ricchezze per le casse
dello stato. I vescovi divennero funzionari regi.
La
svolta in senso protestante avvenne però dopo la morte di Enrico, sotto il regno del figlio Edoardo VI (1547-53). Tale svolta
avvenne anche per l’influenza di uno zio di Edoardo, che reggeva il regno per
conto del nipote minorenne, e per quella dell'arcivescovo di Canterbury Thomas
Cranmer. Fu infatti sotto la loro pressione che nel 1549 Edoardo VI promulgò il
Book of Common Prayer, che divenne
la base della nuova confessione. La Chiesa anglicana, pur accogliendo alcuni
elementi calvinisti, mantenne una forma di culto abbastanza simile a quella
cattolica ed anche un’organizzazione gerarchica.
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