3. La crisi iberica
Il Portogallo da quando era divenuto repubblica (1910) era
in una situazione di costante instabilità politica dalla quale uscì con la
nascita della dittatura (Estado novo) di Oliveira
Salazar, che si ispirava al fascismo italiano e dal quale riprese
l’ispirazione corporativa.
Spagna, una
democrazia fragile
Dal 1898 la Spagna era formalmente una democrazia
parlamentare a suffragio universale maschile, ma la diffusa corruzione e i
brogli elettorali la ponevano in costante pericolo di dittatura militare. Approfittando
di disordini indipendentisti accaduti in Marocco, nel 1923 il generale Primo de Riveira instaurò una fragile e
incompleta dittatura.
La struttura produttiva spagnola era fondata su un'agricoltura piuttosto arretrata e la Chiesa cattolica, favorita dal re
Alfonso XIII, possedeva una grande influenza sulla vita del paese.
Nel 1931 la crisi sociale ed economica e la sconfitta dei
candidati monarchici alle elezioni amministrative spinsero il re ad abbandonare
il paese. Nacque una repubblica. Alle elezioni politiche successive la vittoria
andò a socialisti e repubblicani che formarono un nuovo governo. Le misure
eccezionali assunte dal nuovo governo (espropriazione dei latifondi,
sottrazione del controllo della Chiesa sull’istruzione) scatenarono gravi
tensioni sociali e politiche. Le divisioni tra le sinistre favorirono la
vittoria di una coalizione di centro-destra nelle elezioni del 1933. Il nuovo
governo cancellò le riforme del governo precedente suscitando vaste proteste come
la sollevazione dei minatori nelle Asturie, repressa con violenza
dall’esercito.
Nel 1936 tutta le forze di sinistra si unirono e riuscirono a
vincere le elezioni. Nel governo del socialista Largo Caballero entrarono anche
i comunisti. Le radicali riforme del governo suscitarono aspri dissensi
soprattutto nel mondo cattolico. Le sinistre si sentirono in diritto di
esercitare una violenza diffusa, contro i preti e contro gli avversari politici
(il leader dell’opposizione José Calvo Sotelo fu ucciso). Tutto questo spinse
le forze conservatrici a insorgere contro il governo e ad iniziare una rivolta
militare (Alzamiento) che partì in
Marocco e giunse in Spagna sotto il comando del generale Francisco Franco. Solo alcune città (come Siviglia e Pamplona)
caddero sotto il controllo degli insorti e così il golpe militare si mutò
presto in una sanguinosa guerra civile.
Il fronte conservatore annoverava varie anime tra le quali i
falangisti (filofascisti), i carlisti (monarchici) e i cattolici. Quello
repubblicano annoverava socialisti, comunisti, repubblicani, anarchici ed
autonomisti. La repubblica ebbe l’appoggio dell’Urss e del Messico oltre a
quello delle Brigate internazionali, un esercito di volontari provenienti da
numerosi paesi, compresa l’Italia (tra questi c'erano ad esempio antifascisti come Palmiro Togliatti, Luigi
Longo, Pietro Nenni, Carlo Rosselli, Giuseppe Di Vittorio).
Per evitare un conflitto europeo Francia e Gran Bretagna
dichiararono la neutralità.
Nonostante alcune parziali vittorie, come quella di
Guadalajara (marzo 1937), le divisioni tra i gruppi repubblicani (soprattutto
tra comunisti ed anarchici) e gli aiuti militari giunti agli insorti
dall’Italia (75 mila uomini, aerei e navi) e dalla Germania (squadre di
bombardieri) favorirono la vittoria degli insorti.
I repubblicani resistettero sino all’inizio del 1939.
Barcellona cadde il 26 gennaio, Madrid il 28 marzo. Il 1° aprile la guerra, che
aveva provocato oltre mezzo milione di morti, terminò. La dittatura di F.
Franco sarebbe durata sino alla sua morte, nel 1975.
4 Il fascismo e lo
scenario internazionale
All’inizio degli anni ’30 l’imperialismo, tante volte
evocato da Mussolini come “legge eterna e immutabile della vita” divenne azione
concreta.
Negli anni 1929-31, il ministro degli esteri Dino Grandi inaugurò la politica del “peso determinante”, cioè del ruolo di
arbitro equidistante assunto dall’Italia tra la Germania di Hitler e l’asse
franco-britannico. I timori provocati dal nazismo favorirono così
l’avvicinamento dell’Italia a Francia e Gran Bretagna.
Nei primi anni trenta il potere italiano sulle colonie fu
consolidato. In Libia il maresciallo Rodolfo Graziani piegò la resistenza araba
con decine di migliaia di condanne a morte e deportazioni.
Dopo essersi
riavvicinato a Francia e Gran Bretagna Mussolini tentò di ottenere da questi
paesi il via libera per l’occupazione dell’Etiopia, governata dal negus Hailé
Selassié. La Francia accennò un ambiguo consenso, mentre il governo britannico, condizionato
dall’opinione pubblica contraria, diede parere contrario.
«Nonostante il quadro diplomatico sfavorevole, il 3 ottobre 1935
Mussolini si lanciò nell'impresa
coloniale, con il duplice obiettivo di aumentare il prestigio intemazionale del
Paese e di trovare uno sbocco alla produzione industriale e alla sovrappopolazione agricola. Dopo una campagna condotta con
grande dispendio di uomini e di mezzi e con l'impiego inedito di gas tossici (vietati dalle convenzioni internzazionali),
il 6 maggio 1935 l'invasione si concluse con la presa
di Addis Abeba e la fuga di Selassiè.
Nasceva così l'impero dell'Africa orientale
italiana (Aoi) e Vittorio Emanuele III aggiunse al titolo di re d'ltalia quello di imperatore di Etiopia. Gli
etiopi, tuttavia, mantennero attiva una fiera guerriglia, che
non potè mai essere completamente debellata.
La Società delle nazioni comminò all'Italia pesanti
sanzioni economiche: a tutti i Paesi aderenti era fatto
divieto di esportare armi e materie prime per l'industria bellica italiana e importare merci italiane. Le
sanzioni esclusero però merci di grande importanza strategica come ferro, acciaio, zinco e petrolio, e vennero
revocate dopo la vittoria italiana.
Nel complesso, nonostante
la propaganda del regime ponesse grande enfasi retorica
nell'annunciare la nascita dell'impero, la conquista dell'Etiopia ridimensionò le aspettative di Mussolini di esercitare un
"peso determinante" nelle vicende diplomatiche europee.»
(Tempi Moderni, Maifreda, p.223).
La guerra di Etiopia registrò un innalzamento del
consenso interno verso il regime fascista. Il 18 dicembre 1935 la popolazione
fu invitata a donare l’oro alla Patria, per rimpinguare le casse dello stato
danneggiate dalle sanzioni della Società delle Nazioni. Gli italiani,
soprattutto le donne (col dono delle fedi nuziali), risposero prontamente
all’appello e furono raccolte 33 tonnellate d’oro e 93 d’argento.
Negli anni ’30 Mussolini accentuò il processo
dell’autarchia al fine di rendere il paese autosufficiente in caso di guerra.
Furono così messi a punto numerosi surrogati autarchici (carburanti, fibre
tessili, prodotti alimentari, ecc.). La borghesia, sempre meno libera di
esercitare la sua azione sui mercati interni ed esteri, iniziò a manifestare un
velato dissenso che indusse il duce a muovere nel 1938 una violenta campagna
antiborghese, mirante a recuperare l’anticapitalismo del fascismo delle
origini.
Le leggi
razziali
Nel 1937 nei territori coloniali fu varato un
sistema di separazione tra bianchi e indigeni e I matrimoni misti furono
vietati.
«Nel 1938 il regime
promosse una martellante campagna di stampa antisemita, sia sui
quotidiani nazionali sia su riviste con ambizioni scientifiche, come "La
difesa della razza", diretta
da Telesio Interlandi. Il 14 luglio apparve sui "Giornale d'ltalia" il documento II fascismo e i problemi della razza,
noto anche come Manifesto degli scienziati razzisti, che ammantava di pretese scientifiche dichiarazioni razziste e antisemite.
In autunno vennero infine approvate
gravissime leggi discriminatorie contro gli ebrei. Queste, unitamente
ad altri provvedimenti emanati nel corso del 1939, prevedevano per gli italiani ebrei il divieto di matrimonio con i non
ebrei, l'esclusione dal servizio militare e dalle cariche pubbliche,
l'esclusione dalle scuole pubbliche e dall'insegnamento
anche universitario, la limitazione nell'esercizio di attivita economiche e di libere professioni.
Fu inoltre vietato agli ebrei
stranieri di trasferirsi in Italia e per tutti fu disposta l'annotazione dello stato di razza ebraica nei
registri dello stato civile. I vergognosi provvedimenti
confermavano il carattere razzista del fascismo: miravano infatti, come in Germania, a escludere gli ebrei dalla
comunità e a provocarne l'emigrazione, limitando
le opportunitò di lavoro e d'istruzione e riducendo i diritti di cittadinanza.»
(Tempi Moderni, Maifreda, p.227-28).
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