Lo scenario internazionale
La Rivoluzione francese, proclamando l’uguaglianza di tutti gli uomini, aveva provocato la ribellione degli schiavi di Haiti (1791) che era culminata con la proclamazione del primo stato indipendente retto da neri (1804). Dopo aver fallito la riconquista di Haiti, Napoleone, sempre bisognoso di finanziamenti per le sue guerre, nel 1803 decise di vendere agli Stati Uniti la Lousiana (un enorme territorio che partiva dal Golfo del Messico per giungere fino alla frontiera canadese).
La mancanza di collegamenti tra Colonie Americane e Spagna durante le guerre napoleoniche favorì il processo di indipendenza delle Colonie, malgrado il fallimento del progetto di Simon Bolivar di creare una confederazione simile a quella degli USA. Il presidente statunitense Monroe, una volta terminate le guerre napoleoniche, si oppose ai progetti di Francia e Spagna di riconquistare i territori perduti (dottrina Monroe, 1823).
Nord e Sud: due mondi incompatibili
Nella Nuova Inghilterra e nelle altre regioni del nord-est c’era stato un netto progresso dei processi di industrializzazione e di urbanizzazione. L’aumento della popolazione era accentuato da una costante immigrazione dall'Europa. New York nel 1860 contava 800 mila abitanti.
Il decollo dell’industria statunitense era stato favorito dalle prime tariffe protezionistiche introdotte a partire dal 1816. L’industria americana era all’avanguardia e aveva introdotto alcune importanti invenzioni (seminatrice e mietitrice meccanica, macchina per cucire). Nel Nord-Est l'industrializzazione si accompagnava alla costruzione di strade, canali e ferrovie. Oltre il 70% della ferrovia, che nel 1861 aveva superato i 53 mila chilometri, era qui concentrata. In tutta Italia allora la ferrovia era di mille e ottocento chilometri. Il frastuono delle industrie e degli opifici stava rapidamente cambiando la fisionomia del territorio.
Il Nord era diventato la patria della democrazia, il simbolo di un mito amato o temuto in Europa. Il 90% dei bianchi sapeva leggere e scrivere. In quelle regioni tutti gli Stati della Federazione, ad eccezione del Rhode Island, avevano ormai il suffragio universale maschile già nel 1825. Erano assenti le diversità nei modi di vestire, di vivere, di comportarsi per mezzo delle quali in Europa si riconoscevano le persone di famiglia elevata da quelle del popolo. Era assente il gusto per gli ozi piacevoli, frutto di una lunga e civile tradizione, così diffuso nelle classi superiori inglesi, tanto da diventare parte integrante della loro mentalità. Tutti erano freneticamente attivi, presi nei loro affari grandi e piccoli con una intensità così univoca, così chiusa in se stessa, da considerare lo sport ed il giuoco come una inutile perdita di tempo (Carocci, pp.4-5).
Il Sud, chiamato anche Dixieland, tendeva a mantenersi elitario e quasi immobile nella sua antiquata agricoltura. Dalla Virginia in giù l’industria e l’inurbamento erano molto scarsi. «Alla vigilia della guerra civile inoltre gli investimenti industriali al Nord erano di 850 milioni di dollari quelli al Sud erano di appena 95 milioni, poco più di un decimo» (Carocci, p. 8).
Sul finire del ‘700 negli Stati Uniti era stata inventata una macchina sgranatrice (cotton gin) che favorì l’aumento esponenziale della produzione del cotone (e quindi anche degli schiavi necessari a coltivarlo). Il cotone divenne così il prodotto più rilevante (con orgoglio si parlava del “Re cotone”). «Il Sud produceva non solo cotone ma anche, in misura minore, riso nella Louisiana e tabacco nel Kentucky, coltivati anche questi da schiavi» (Carocci, p.10).
La tratta degli schiavi africani negli USA era stata vietata dal 1808, e questo faceva di loro una merce preziosa. Il divieto non aveva però impedito l’aumento del numero degli schiavi, dato che i loro figli ne ereditavano la condizione. Infatti essi, nella prima metà dell’800, erano più di 3,5 milioni.
Molti abitanti del sud si stavano spostando verso l’ovest, al fine di trovare nuove terre su cui estendere le piantagioni. Grazie alla legge chiamata Homestead Act venivano assegnati, a chi ne faceva richiesta, 160 acri (65 ettari) di terra demaniale nelle terre selvagge al di fuori dei confini delle tredici colonie originali. Gli abitanti del nord, favorevoli a soddisfare il bisogno di terre dei contadini liberi, osteggiavano la diffusione del sistema schiavile all’ovest.
Nord e sud erano separati dalla cosiddetta Mason-Dixon line, che separava la Pennsylvania dal Maryland. Al nord la schiavitù era stata abolita tra il 1880 (la Pennsylvania fu il primo stato a stabilire una norma di graduale liberazione), e il 1886. Il sistema schiavistico del Sud era, al confronto di quello capitalistico del nord, un residuo anacronistico del passato, nettamente perdente dal punto di vista del rendimento. Se il surplus al nord poteva essere investito per aumentare la produttività, al sud le spese per gli schiavi divoravano ogni risorsa. Uno schiavo maschio e giovane costava 500 dollari nel 1831 e 1800 nel 1860. Cifre astronomiche (un bracciante ai tempi prendeva 8 dollari al mese) che però i proprietari erano costretti a spendere a causa del pressante bisogno di rifornirsi di manodopera. Così un piccolo farmer del Nord conduceva spesso una vita altrettanto agiata di quella di un proprietario di 30 o 40 schiavi del Sud.
Il dibattito sul protezionismo
Le frizioni tra nord e sud riguardavano anche la strategia economica. La richiesta degli stati del nord di tariffe doganali ancora più elevate fu soddisfatta nel 1832 dal governo federale. Gli stati del sud erano invece sostenitori del libero scambio, dato che i prodotti industriali che provenivano dall’Europa erano più convenienti di quelli degli stati del nord. L’innalzamento daziario del 1832 causò una prima crisi: il South Carolina si rifiutò di applicare le nuove tariffe e si sfiorò lo scontro armato. La tensione fu ricomposta attraverso un compromesso: le tariffe sarebbero state ridotte gradualmente sino a riportarle ai loro livelli del 1816 nell’arco di nove anni.
La condizione degli schiavi
Nel sud gli schiavi neri nel 1860 erano oltre tre milioni e mezzo ed i bianchi liberi intorno agli sette-otto milioni. Anche tra i bianchi c’erano nette differenze di classe. Erano solo 200 mila quelli che possedevano più di venti schiavi, mentre oltre sei milioni non ne possedevano affatto. I bianchi poveri, (chiamati spregiativamente white trash) erano numerosi.
Le condizioni materiali di vita degli schiavi del sud non erano peggiori di quelle degli operai del nord. Gli schiavi costituivano un investimento costoso che andava protetto. Avevano vitto, vestiti e alloggio, anche se quest’ultimo era in genere una semplice capanna. Le infrazioni degli schiavi, di norma, erano punite con la frusta e non mancavano trattamenti o punizioni disumani (come la separazione dei figli dalle madri) inflitte da padroni feroci. Un esempio che Carocci ricava dall’architetto Frederick Law Olmstead, autore di un ampio resoconto dei suoi viaggi nel sud schiavista, intitolato The cotton kingdom è il seguente:
Proprietaria di una grossa piantagione nel Mississippi era “una signora molto religiosa” (così dice la fonte) che i giorni feriali faceva lavorare i suoi schiavi dalle tre e mezzo del mattino spesso fino alle nove di sera e tutte le domeniche li trattava alternando prediche a frustate (Carocci, p.20).
Nella maggior parte dei casi, però, il trattamento era migliore. Gli schiavi lavoravano meno ore dei salariati del Nord, potevano tagliare legna, coltivare un orticello e allevare animali per integrare la propria dieta. Era ricorrente un certo affetto tra schiavi e proprietari, a patto che gli schiavi restassero al loro posto. Per evitare che essi avessero coscienza della propria condizione erano lasciati nell’analfabetismo e nell’ignoranza più completa. Chi avesse istruito dei neri era punito col carcere. Esistono tuttavia lettere scritte da schiavi, che testimoniano che non sempre il divieto era rispettato.
Anche se i nordisti erano perlopiù contrari alla schiavitù, «in quasi tutto il nord gli afroamericani non potevano far parte delle giurie né, nei processi contro imputati bianchi, salire sul banco dei testimoni; non potevano ricoprire cariche pubbliche, e se mai riuscivano ad accedere a ospedali, scuole e altre istituzioni pubbliche, in tali luoghi vigeva la più assoluta segregazione» (R. Mitchell, pp. 63-64).
Il dibattito sullo schiavismo
Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 la schiavitù era stata abolita in tutti gli stati del nord. Le idee di uguaglianza nate con l’illuminismo e la rivoluzione francese avevano diffuso la convinzione che la schiavitù fosse una pratica immorale e incivile. Essa era anche in palese contraddizione coi principi di uguaglianza sanciti dalla costituzione degli Stati Uniti.
Nel 1817 fu fondata l'American Colonization Society (ACS), un'associazione filantropica che intendeva aiutare gli ex-schiavi a ritornare nel loro continente d'origine. I suoi soci acquistarono delle terre a sud della Sierra Leone, in Africa, dove venne creata una colonia capace di ospitare gli ex-schiavi. Nacque così la Liberia, con la sua capitale Monrovia, dove nel 1850 erano stati trasferiti 10.000 afro-americani. In generale i nordisti, pur contrari alla schiavitù, nel profondo provavano ripugnanza per i neri e desideravano spedirli lontano dalla loro vista.
All’inizio degli anni ‘30 sorsero dei movimenti religiosi, come quello fondato dal giornalista William Lloyd Garrison, che consideravano la schiavitù un grave peccato e chiedevano con forza la liberazione di tutti gli schiavi.
Gli abolizionisti non promossero nessuna insurrezione di schiavi, ma ne aiutarono le evasioni ed organizzarono una rete clandestina soprannominata “ferrovia sotterranea” che proteggeva l'evaso riparato in uno Stato libero, gli forniva l'alloggio e ne manteneva la clandestinità (Carocci, p. 27).
In modo diametralmente opposto i religiosi del sud giustificavano la schiavitù con ampi riferimenti ai testi biblici. Gli schiavisti del sud, inoltre, non riuscivano a capire perché la schiavitù fosse da considerare un peccato, mentre il feroce sfruttamento del lavoro salariato non lo fosse.
Nei primi decenni dell’800 la frontiera degli Stati Uniti si era spostata ad ovest. Molte tribù indiane erano state massacrate e i superstiti erano stati rinchiusi nelle riserve. Al raggiungimento del numero di 60 mila abitanti si poteva dar luogo a un nuovo stato. La nascita di nuovi stati poneva però un problema molto delicato poiché, dato che ogni stato eleggeva due senatori, rompeva la parità di rappresentanza tra stati liberi e stati schiavisti. Gli abitanti del nord erano contrari ad introdurre la schiavitù nei nuovi territori, non tanto perché essi avessero a cuore il destino dei neri (al nord la gente, come abbiamo già visto, non era meno razzista che al sud), ma perché essa avrebbe limitato le possibilità di sviluppo della piccola impresa agricola a conduzione familiare (free soilers), diffusissima nel nord.
La questione sfociò in una vera e propria crisi nel 1820, quando il Congresso ratificò la nascita del nuovo stato del Missouri. Il Congresso si divise tra chi voleva che il Missouri fosse uno stato libero e chi lo voleva schiavista. Alla fine prevalse l’opzione schiavista ma, per evitare una prevalenza dei senatori schiavisti, fu creato un nuovo stato libero, il Maine, scorporato dal Massachussets. Il compromesso del Missouri stabilì, inoltre, che la schiavitù sarebbe stata vietata al di sopra del 36° parallelo, cioè a nord del confine meridionale del Missouri, che doveva restare l’unica eccezione alla regola.
Nel 1845 l’ingresso nell’Unione del Texas (creato su un territorio che 9 anni prima aveva dichiarato la propria secessione dal Messico) diede temporaneamente il primato agli stati schiavisti (14 contro 13). L’occupazione del Texas produsse, tra il 1846 e il 1848, una guerra contro il Messico, che avrebbe procurato agli Stati Uniti i territori dell’Arizona, del New Mexico e della California. Il New Mexico e l'Arizona ebbero lo statuto di “territorio” ed entrarono nell’Unione molto tardi. La scoperta dell’oro in California provocò un’eccezionale ondata migratoria e i suoi abitanti da 15 mila divennero 400 mila in pochi anni. La California fu unita all’Unione nel 1850, ma la schiavitù fu vietata, anche se lo stato si trovava al di sotto della linea di demarcazione definita col compromesso del 1820, che era ormai annullato.
Per compensare la nascita di un nuovo stato libero il Congresso votò una nuova legge (Fugitive Slave Law, 1850) che permetteva di ricercare gli schiavi fuggitivi che si erano rifugiati al Nord e che puniva con multe o col carcere chi li avesse aiutati o protetti. Lo stato del Massachussetts varò allora una legge che proteggeva legalmente i fuggiaschi, vietava la loro incarcerazione e rendeva difficile agli schiavisti dimostrare il loro possesso. «Ormai gli Stati Uniti erano come una persona che cammini su un terreno minato suscettibile di esplodere al minimo urto». (Carocci. P. 39)
Proprio la legge sugli schiavi fuggiaschi spronò Harriet
Beecher Stowe a scrivere il famoso romanzo La capanna dello zio Tom,
che divenne presto un best seller sia in America che in
Europa. Il romanzo, che narrava le infelici vicende dello schiavo Tom,
influenzò in modo potente il sentimento antischiavista al nord e scatenò un’ondata
di indignazione tra i sudisti (per i quali il quadro della schiavitù descritto
dal libro era sostanzialmente falso), acuendo il livello della conflittualità
che condusse alla guerra. Si racconta che quando il presidente Lincoln incontrò Beecher Stowe la salutò dicendo: «Così è lei la piccola donna che ha fatto scoppiare questa grande guerra!» (So, you are the little lady who started this great big war!)
Il problema della schiavitù nei nuovi stati si ripropose nel 1854 quando
i sudisti ottennero il cosiddetto “Kansas-Nebraska Act” che aboliva il compromesso del Missouri e attribuiva alle assemblee locali l’istituzione
della schiavitù nei nuovi stati. Nel Nebraska l’assemblea locale vietò la
schiavitù. Nel Kansas i sostenitori della schiavitù e gli immigrati ostili ad
essa elessero due assemblee in conflitto e arrivarono allo scontro armato con
gravi episodi di violenza. Più tardi, nel 1856, le elezioni furono ripetute e
fu eletta un’assemblea contraria alla schiavitù. Nel 1861 il Kansas fu accolto nell'unione come stato libero. Ormai gli stati liberi
erano superiori per numero rispetto a quelli schiavisti, e avrebbero potuto
abolire la schiavitù.
L’elezione di Abramo Lincoln
Nel 1854 fondato il Partito Repubblicano da ex esponenti dei Whig nonché da militanti di preesistenti movimenti antischiavisti. Esso, pur essendo portavoce degli industriali del nord, trovò appoggio anche tra gli agricoltori del medio-ovest. Il suo motto era “free soil, free labor, free men”, da qui il termine di freesoilers che designava i suoi aderenti. «I suoi membri erano i “veri americani”, tutti tesi a realizzare una grande Repubblica di liberi ostacolati da una proterva élite schiavista» (R. Luraghi, p. 712). I Repubblicani attingevano quindi i loro voti soprattutto al nord. Solo il partito democratico sembrava mantenere una parvenza di organizzazione politica nazionale, ma una divisione interna spaccò il partito e nel 1860 favorì la vittoria del candidato repubblicano Abrahm Lincoln (1809-1865), eletto Presidente con appena il 40% dei voti, tutti ricevuti nel nord. Lincoln era favorevole alla libertà di ogni essere umano ma capiva che un’improvvisa liberazione di quasi 3,5 milioni di schiavi avrebbe comportato lo scardinamento della società del sud. Egli immaginava che tale liberazione avrebbe potuto avvenire gradualmente grazie a progressivi indennizzi offerti dallo stato ai proprietari degli schiavi. Nonostante la sua cautela, la sua elezione fu considerata intollerabile dai sudisti.
Lo scioglimento dell’Unione e la Guerra civile
Tra la fine del 1860 e l’inizio del 1861, il South Carolina e altri dieci stati uscirono dall’unione, fondarono gli Stati Confederati d’America (CSA) e, nel novembre del 1861 fu eletto Jefferson Davis come Presidente. Per gli stati del sud l’uscita dall’Unione era una liberazione come quella del 1776, data l’inconciliabilità tra il progetto liberista del sud e quello protezionista del nord. Lincoln reagì preparandosi ad un conflitto contro i ribelli.
I Confederati speravano invano in un intervento di Francia e Inghilterra, grandi importatori di cotone, e che gli abitanti del nord non ritenessero la conservazione dell’Unione così importante da accettare una guerra lunga e ricca di sacrifici. Ad ogni modo la scelta della guerra, per quanto ci possa apparire irrazionale, era coerente con la tendenza alla violenza che era insita nella mentalità aristocratica degli abitanti del sud. A questo propostito ha scritto Raimondo Luraghi:
«Lo stato irrazionale ed emotivo che trascinava i meridionali li stava conducendo verso quella che essi sentivano come una tragica scelta loro imposta: o vedere la loro civiltà soffocata lentamente o giocare tutto: la loro stessa vita, tutto il loro mondo, insomma tutto, sulla sola terribile carta della secessione e della guerra». (Luraghi, 2013)
Si trattava di scegliere tra una morte lenta e oscura e una breve e gloriosa.
Gli unionisti bloccarono i porti del sud e ciò determinò un vantaggio strategico insuperabile. Il nord aveva 22 milioni di abitanti contro i 10-11 milioni del sud (di cui 3,5 milioni di schiavi) e possedeva l’87 % del potenziale industriale.
I caratteri del conflitto
A causa delle nuove tecnologie, la guerra civile americana fu un conflitto completamente nuovo. È stata talora considerata come la prima "guerra totale", che investiva ogni risorsa industriale e umana, ma anche ideologica e psicologica. Il numero di soldati era infatti molto superiore a quello di qualsiasi guerra precedente. In virtù della coscrizione obbligatoria furono arruolati due milioni di soldati nel nord e un milione nel sud. La ferrovia permetteva un continuo e rapido rifornimento di uomini e mezzi e le nuove armi (fucili a canna rigata) rendevano molto difficile la tattica tradizionale, caratterizzata da attacchi frontali di fanteria e cavalleria. I nordisti avevano anche fucili a ripetizione e mitragliatrici. Per la prima volta furono costruite delle trincee e nelle battaglie navali comparvero le prime corazzate e dei rudimentali sommergibili.
I generali sudisti erano più esperti e per tal motivo le sorti della guerra furono abbastanza incerte sino al 1863. Gli stati del sud avevano creato molto rapidamente una serie di industrie controllate dal governo per produrre armi e strumenti bellici. Tuttavia il geniale generale Lee fu sconfitto a Gettysburg dopo tre giorni di disperata battaglia e l’esercito sudista dovette rinunciare al progetto di invasione della Pennsylvania. Poco dopo il generale Grant conquistò la città di Vicksburg da cui si controllava la valle del Mississipi, tagliando in due il territorio della Confederazione.
Col passare del tempo gli abitanti del sud iniziarono a patire la fame. Gli enormi sforzi della Confederazione non erano bastati a compensare la sproporzione dei mezzi. Il Sud si avviava ormai verso la fatale china della sconfitta.
La sconfitta del sud
Il primo gennaio del 1863 Lincoln abbandonò la sua linea gradualistica e proclamò l’emancipazione dei neri negli stati ribelli per rafforzare il consenso della popolazione del nord attorno al conflitto e destabilizzare la struttura economica dei Confederati. Molti schiavi iniziarono a fuggire. Tra questi una buona parte (200 mila) furono arruolati nell’esercito nordista. Naturalmente l'emancipazione era solo teorica e la schiavitù restava pienamente legale negli stati del sud che non si erano ribellati e in quei territori che i nordisti erano riusciti ad occupare.
La campagna del 1864 fu lenta e molto cruenta. Nell’estate il generale nordista William T. Sherman attaccò la Georgia, conquistò e fece incendiare la città di Atlanta. Poi inflisse gravissime devastazioni al territorio nel tragitto di oltre 400 kilometri che conduceva verso il porto di Savannah, al fine di obbligare la Confederazione ad arrendersi. Questi successi contribuirono alla rielezione di Lincoln nel novembre.
Il 3 aprile del 1865 l’esercitò nordista
conquistò Richmond (in Virginia), capitale della
Confederazione; la guerra era praticamente finita. Il 9 aprile il
generale Lee si arrese al generale Grant ad Appomattox. La lunga guerra era costata oltre 600
mila morti (più dei morti statunitensi nelle due guerre mondiali), ma era
nata una nazione moderna e più omogenea.
La fine della schiavitù
Il 14 aprile del 1865 Lincoln fu assassinato con un colpo di pistola da un noto attore di teatro che simpatizzava per il sud. I suoi propositi di moderazione vennero accantonati dai suoi successori e al sud fu imposta una pace cartaginese. «L’aristocrazia sudista era stata schiacciata nella polvere ed espropriata più radicalmente di quanto non lo fossero state la nobiltà e il clero nella Rivoluzione francese» (Luraghi, 2013) Quasi tutta la popolazione maschile, colpevole di aver combattuto, fu privata del diritto di voto.
Il 18 dicembre 1865 fu approvato il XIII
emendamento della costituzione che sancì la completa abolizione della
schiavitù. Con il XIV (1866) e con il XV emendamento (1870) agli ex schiavi
furono riconosciuti i diritti di cittadinanza e di voto. Proprio nel 1870 fu
eletto in senato il primo candidato nero. Tutti i cittadini erano teoricamente
uguali davanti alla legge (nel 1869, nel Wyoming, anche le donne poterono
votare).
La guerra aveva fortemente danneggiato l'economia del sud. Le piantagioni
furono suddivise in piccoli lotti affidati a bianchi poveri o ad ex schiavi.
Per molti bianchi, però, l’idea che un nero potesse votare o testimoniare in
tribunale contro un bianco era inaccettabile. Nel 1865 nacque il Ku
Klux Klan, un’organizzazione segreta che voleva difendere i privilegi dei
bianchi colpendo con violenza tutti i tentativi di emancipazione dei neri. Il
progetto di Lincoln di suddividere tra i neri i grandi latifondi cadde nel
vuoto.
Il diffuso razzismo impedì con mille cavilli (ad esempio il requisito dell’alfabetizzazione e l'obbligo di pagare una tassa prima di votare) ai neri l’esercizio del voto, e i principali stati meridionali attivarono una politica di rigida separazione razziale. Ad Atlanta bianchi e neri giuravano su bibbie distinte! La suprema Corte di Giustizia, nel 1896, ratificò il sistema dei “servizi separati ma uguali”. Tali discriminazioni sopravvissero sino agli anni ’60 del ‘900.
Bibliografia:
F.M. Feltri, M.M. Bertazzoni, F. Neri, I giorni e le idee, vol. 2: Settecento e Ottocento
Giampiero Carocci. “Storia della guerra civile americana”. iBooks.
Reid Mitchell, La guerra civile americana, Il Mulino, 2003
Raimondo Luraghi, La secessione del Sud e la guerra civile americana, La Storia, Biblioteca di Repubblica, vol. 11
Raimondo Luraghi, La guerra civile americana, 2013, IBooks
American slavery: history in an hour, Kat Smutz, Harper presso, 2011
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