Forse non tutti sanno che i nomi dei continenti e dei luoghi geografici in generale sono stati decisi dagli europei. Australia, Asia, Patagonia, Colombia, Perù, Nigeria, sono i nomi con cui l'Europa ha chiamato quei luoghi. Questo è accaduto perchè è stata l'Europa a scoprire gli altri luoghi e ad imporre loro il proprio dominio per lungo tempo.
Ma come è stata possibile questa "scoperta"?
Perché avventurarsi tra gli oceani?
Nel 1368 i cinesi cacciarono i mongoli e i nuovi imperatori Ming chiusero agli stranieri l’accesso all’impero. La caduta di Costantinopoli, nel 1453, significò il blocco degli scambi commerciali tra l’Europa e l’Oriente attraverso il mediterraneo orientale. Nel corso dei secoli gli europei si erano abituati ad insaporire i cibi con le spezie orientali che, già agli inizi del ‘400, potevano essere acquistate a caro prezzo soltanto dai mercanti arabi. Questa nuova situazione spinse, quindi, gli stati Cristiani, soprattutto quelli bagnati dall’Atlantico, a prendere in seria considerazione lo studio di un itinerario alternativo per le Indie.
Il primo stato a impegnarsi seriamente in questo tentativo fu il Portogallo, soprattutto grazie all’impegno del re Enrico di Aviz detto Enrico il Navigatore. Nel 1414, quando aveva 21 anni, Enrico aveva convinto il padre, Giovanni I, a intraprendere la conquista di Ceuta, sulla costa nordafricana vicino allo Stretto di Gibilterra. Egli divenne nel 1419 Gran Maestro dell’Ordine di Cristo (creato dal re Dionigi di Portogallo nel 1318 coi tesori sottratti ai Templari) e utilizzò le grandi risorse economiche dell’Ordine per finanziare numerosi viaggi di esplorazione.
Il Rinascimento, con la sua brama di conoscenza diretta dei classici, aveva permesso di riscoprire le nozioni scientifiche degli antichi greci necessari per la navigazione nell’oceano. Un elemento indispensabile fu l’arte della cartografia che gli europei appresero leggendo l’opera di Tolomeo (II sec.). I navigatori europei utilizzarono strumenti come l’astrolabio (serve a calcolare la posizione degli astri rispetto all’orizzonte, e quindi a definire la latitudine), introdotto in Egitto ai tempi di Tolomeo e poi migliorato dagli arabi, e la bussola, ideata dai cinesi. Nel 1441 le spedizioni conobbero un ulteriore impulso quando i portoghesi introdussero un nuovo tipo di nave, la Caravella, lunga una ventina di metri, che poteva trasportare una ventina di uomini e reggere meglio delle altre navi del tempo l’Atlantico burrascoso. La nave possedeva due o tre alberi che permettevano di distribuire la trazione ed era caratterizzata da numerose vele quadrate e latine piú piccole rispetto alle navi precedenti in modo da renderla piú stabile e da poterla riparare più facilmente. Un serio problema per chi voleva navigare nell'oceano era costituito dai venti costanti che spingevano verso sud le navi che esploravano l’Africa. Nel viaggio di andata questo era un bel vantaggio ma il ritorno in Europa era gravemente ostacolato. La difficoltà fu superata con la scoperta di venti contrari che risiedevano nel centro dell’Atlantico e che permettevano un agevole rientro in Europa.
Bisogna anche ricordare che gli arabi dell’Africa del nord erano i principali rifornitori d’oro di un Europa che, a causa del grande sviluppo dei suoi commerci, ne aveva un estremo bisogno. Dato che gli arabi acquistavano l’oro dalle regioni sub-sahariane, i portoghesi erano molto interessati a saltare la loro intermediazione e procurarsi direttamente il prezioso metallo aprendo una rotta oceanica verso l’Africa nera. Essi erano convinti, ingannati dalle carte di Tolomeo (II sec.), che l’Africa fosse più corta e direttamente unita all’Asia.
Per dieci anni, tra il 1424 e il 1434, le navi portoghesi tornarono indietro senza aver superato capo Bojador, appena più a sud delle isole Canarie. I marinai avevano paura perché si diceva da generazioni che oltre quel capo l’oceano non era navigabile perchè popolato da orribili mostri e perchè sotto i tropici l’acqua avrebbe iniziato a bollire. «L’antichità e il Medio Evo credevano, infatti, che la terra abitata finisse con i grandi deserti africani nella cosidetta “zona perusta”, la zona bruciata, dove né uomini né piante avrebbero mai potuto sopravvivere. Era la tradizione, la dottrina degli antichi saggi da Aristotele a Tolomeo» (S. Dini, Cristoforo Colombo, p.53). Nel 1434, però, Enrico il Navigatore, esasperato dagli insuccessi, ordinò di superare il capo a tutti i costi; il capo fu così oltrepassato con successo. La penisola di Capo Bianco fu raggiunta nel 1441, le foci del fiume Senegal e il Capo Verde nel 1444. Dopo si iniziò l'esplorazione della Guinea. Furono così raggiunte le stazioni commerciali a sud del grande Deserto del Sahara
A partire dal 1450, Alvise Cadamosto esplorò le coste africane dell'Atlantico arrivando al fiume Gambia nell'attuale Senegal e, tra il 1455 ed il 1456 scoprì (probabilmente avvistò le isole senza esplorarle) le prime cinque isole dell'arcipelago di Capo Verde che vennero colonizzate. A partire dal 1452 il flusso di oro giunto in Portogallo dall’Africa era sufficiente a coniare i primi cruzados d'oro. Nel 1460 la costa africana era stata esplorata fino all'attuale Sierra Leone. Ventotto anni dopo, Bartolomeo Diaz confermò che l'Africa era circumnavigabile, raggiungendo il punto più a sud del continente africano (oggi si chiama Capo di Buona Speranza). Nel 1498, Vasco da Gama, per primo, dal Portogallo raggiunse l'India. Fu un viaggio pericoloso; la piccola flotta navigò per sessantanove giorni consecutivi. Nel tentativo di doppiare il Capo di Buona Speranza le navi si trovarono in balia di una spaventosa tempesta e solo con grande fatica riuscirono a risalire le coste dell’Africa sud-orientale. Da Gama approdò in Mozambico e a Malindi. Il re del Malindi si mostrò benevolo e mise a disposizione dei portoghesi un pilota che, nel maggio del 1498, li guidò sino a Calicut (oggi Kozhikode). Da Gama fu ben accolto dal principe del Malabar, ma si accorse ben presto che gli indigeni non erano facilmente impressionabili e poco interessati ad acquistare le merci portoghesi. Dovette così rientrare in Portogallo. Da Gama tornò in India con una nuova flotta nel 1502 e dovette combattere una dura guerra contro i mercanti arabi per impadronirsi di una posizione stabile nell’Oceano indiano. Nel 1510 Alfonso de Albuquerque conquistò Goa, attaccò le regioni attorno al mar Rosso e conquistò Ormuz, chiave di accesso al Golfo Persico. I portoghesi fondarono poi altri centri fortificati nella penisola indonesiana riuscendo a realizzare una vera e propria talassocrazia (dominio del mare). Dopo la morte di Albuquerque però, l’India portoghese non ebbe più una guida forte e, quando il Portogallo fu unito alla Spagna nel 1580, i possedimenti orientali furono in gran parte soppiantati dagli olandesi e dagli inglesi.
I viaggi di Colombo
Il genovese Cristoforo Colombo si era convinto, leggendo l’Imago Mundi di Pierre D’Ailly (1485) e le carte di Paolo Toscanelli che il mondo fosse molto più piccolo di quanto non lo sia realmente. Quell’errore di calcolo gli diede l’audacia necessaria per provare a raggiungere l’Oriente navigando verso occidente. Dopo aver provato inutilmente a convincere Giovanni II del Portogallo a farsi finanziare il viaggio, le sue richieste furono respinte, nel 1486, anche dai sovrani spagnoli. Il 30 aprile 1492, però, Isabella di Castiglia accettò la sua proposta e il viaggio fu finanziato.
Colombo partì da Palos, in Spagna, il 3 agosto 1492 con una nave ammiraglia, la Santa Maria e due navi più piccole, la Niña e la Pinta guidate dai fratelli Pinzòn, cofinanziatori del viaggio. Dopo una sosta di circa un mese alle Canarie per rifornimenti e riparazioni delle navi (Colombo era riuscito ad ottenere soltanto delle imbarcazioni difettose), il viaggio riprese e il 12 ottobre la terra fu raggiunta. Colombo era giunto su un'isola che chiamò San Salvador (oggi Waitling) dell’arcipelago delle Bahamas. Gli spagnoli offrirono collanine di vetro e berretti agli indigeni (Taino) che si dimostrarono assai docili ma poverissimi. Non c’era traccia dei ricchi imperi orientali di cui aveva parlato Marco Polo. Colombo era consolato dalla bellezza lussureggiante delle isole e alla prospettiva di convertire gli indigeni al cristianesimo. Il 28 ottobre l’Ammiraglio arrivò a Cuba dove fu abbandonato dal capitano della Pinta, Martin Alonso Pinzòn, che aveva capito dai colloqui avuti con alcuni indigeni prigionieri che in un’isola vicina (Bohio, cioè Haiti) c'erano grandi quantità d’oro.
La notte del 24 dicembre il mare era calmo. Colombo era stanco perché non dormiva da due giorni e una notte lasciò il timone a un suo subordinato che, contravvenendo agli ordini dell’Ammiraglio, lo lasciò a un giovane inesperto. La Santa Maria si incagliò in una secca e divenne inutilizzabile. Colombo fondò allora una colonia sull’isola di Hispaniola (Haiti) e quindi decise di rientrare in Spagna per comunicare le scoperte ai reali spagnoli. Dopo aver preso accordi col Cacicco locale ed essersi riconciliato con Alonso Pinzòn, Colombo riprese con lui, nel gennaio 1493, la via del ritorno ma il viaggio fu funestato da violente tempeste. Le due navi procedettero distanti e Colombo fu costretto a compiere un breve scalo alle Azzorre (appartenenti al Portogallo). Qui una parte dell’equipaggio fu arrestata con un tranello dal governatore dell’isola. Il 15 marzo riuscì finalmente a rientrare a Palos, dopo essere approdato in Portogallo per riparare i danni della nave. Pinzòn lo aveva preceduto, ma i reali non vollero riceverlo e aspettarono l’arrivo di Colombo. Due settimane dopo Pinzòn morì, qualcuno disse per il dolore di non essere stato ricevuto o, più probabilmente, per una malattia contratta in America.
Primo viaggio di Colombo - Fonte: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Viajes_de_colon.svg |
Se la prima volta Colombo aveva dovuto faticare per racimolare un equipaggio sufficiente, ora i marinai facevano a gara per imbarcarsi. Il secondo viaggio iniziò nel settembre 1493 ma non fu gioioso come i marinai si aspettavano. I pochi coloni lasciati ad Haiti erano tutti morti. Il forte (costruito coi legni della Santa Maria) era stato distrutto; gli spagnoli s'erano uccisi tra loro e quelli che erano rimasti erano stati trucidati dagli indios, i quali s'erano stancati di essere maltrattati e saccheggiati. Allora Colombo fondò una nuova colonia che chiamò Isabela (in onore della regina), che non ebbe una sorte migliore della prima e fu abbandonata dopo circa un anno e sostituita con Santo Domingo, fondata da Bartolomeo, uno dei fratelli di Colombo. Durante il secondo viaggio Colombo scoprì le isole di Puerto Rico e Giamaica, oltre a centinaia di isole più piccole, dove però non trovò la quantità d'oro che si aspettava. Navigando tra decine di isolette e pericolose secche, lasciò Giamaica e costeggiò la parte meridionale di Cuba arrivando a cento miglia circa dalla sua estremità occidentale, senza riuscire a completarne l’esplorazione a causa della mancanza di cibo. Convinto che si trattasse d'una penisola asiatica, fece firmare ai comandanti delle caravelle un giuramento con il quale si affermava che Cuba era parte del continente asiatico.
Il secondo viaggio di Colombo - From Wikimedia Commons, the free media repository |
Poco dopo a Tordesillas, in Castiglia, il papa Alessandro VI favorì un accordo tra Spagna e Portogallo per dividere le rispettive zone di influenza sul mondo. Il trattato di Tordesillas (1494) stabilì, quindi, che tutte le terre a ovest del meridiano posto a 370 Leghe (1.770 km) ad ovest delle Isole di Capo Verde (al largo della costa del Senegal, nell'Africa Occidentale), sarebbero appartenute alla Spagna e quelle ad est al Portogallo.
La divisione del mondo secondo il Trattato di Tordesillas / blogdebanderas.com
Colombo compì altri due viaggi che gli permisero di realizzare altre scoperte. Nel terzo viaggio (1498 al 1500) scese sino alle isole di Capo Verde e da lì si spinse verso sud ovest. Per otto giorni la temperatura si fece così alta che Colombo temette che le navi potessero bruciare. Quando ormai era a corto d’acqua e di viveri Colombo avvistò l’isola di Trinidad, popolata da indigeni timorosi e ostili. Più tardi giunse alla foce dell’Orinoco, in Venezuela, dove le navi furono investite da una specie di Tsunami che però non fu in grado di travolgerle. Quando vide l’Orinoco Colombo capì di non essere di fronte a un isola ma a un continente che poteva essere o un «Otro mundo» o la sede del Paradiso terrestre. L’Ammiraglio non riconobbe con assoluta certezza di non essere in Asia anche perché questo significava smentire la Bibbia, che non parlava del continente americano. Bisogna a tal proposito ricordare che la regina Isabella era a capo dell’Inquisizione, e andare contro la Bibbia poteva costare un’accusa di eresia.
Colombo faticò a farsi finanziare il terzo viaggio e durante i suoi due anni di assenza Francisco Roldan, l’alcade (governatore) di Isabela si pose a capo di una ribellione. I viveri scarsi, la vita faticosa e l’invidia nei confronti di Colombo e dei suoi due fratelli (Diego e Bartolomeo) produssero il diffondersi del malcontento e favorirono l’adesione di molti spagnoli ai piani di Roldan. Colombo fu arrestato da un inviato del re e portato in Spagna in catene. Il re Ferdinando lo liberò ma non rispettò gli accordi del 1492 e Colombo dovette rinunciare al ruolo di viceré.
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Nel quarto viaggio (1502 - 1504) Colombo aveva soltanto compiti esplorativi ma fu il viaggio più avventuroso e tormentato tra quelli compiuti dal grande navigatore. Giunto nei pressi dell’isola di Hispaniola, dove gli era vietato mettere piede, mandò un emissario per chiedere di poter attraccare. Una delle quattro caravelle aveva dei problemi e Colombo intendeva sostituirla a sue spese. L’Ammiraglio si era anche accorto che un tifone sarebbe presto giunto e, saputo che ad Haiti stava per partire una flotta di 28 vascelli per la Spagna, consigliò al governatore Nicolás de Ovando di ritardare la partenza. Ovando lo derise e gli vietò di scendere a terra, allora Colombo si rifugiò con le sue navi in una piccola insenatura vicina, mentre il tifone giunse improvvisamente investendo la flotta di Ovando e affondando 19 navi coi loro equipaggi, altre affondarono, ma alcuni marinai si salvarono. Solo 3 o 4 navi, molto malconce, riuscirono a sfuggire alla furia del tifone. Nella tempesta morirono molti di quelli che si erano ribellati durante il terzo viaggio, compreso Bobadilla, l’inquisitore reale che aveva arrestato l’Ammiraglio.
Colombo e la sua flotta esplorarono l'Honduras, il Nicaragua, il Costarica e il Panama. L’obiettivo dell’Ammiraglio era individuare uno stretto che conducesse finalmente in Asia. Cercato inutilmente un passaggio che non esisteva, Colombo trovò nell’attuale stato di Panama significativi giacimenti d’oro. Fallito il tentativo di fondare una città (S. Maria di Belén) egli perse due caravelle crivellate dalle teredini, dei parassiti del legno. Con le due rimastegli, anch’esse tarlate, si rifugiò nell’isola di Jamaica mentre tentava di raggiungere Haiti. Ovando gli negò qualsiasi aiuto, e solo dopo circa un anno, malato e semicieco, riuscì a raggiungere Haiti e ripartire per la Spagna. Durante la permanenza in Jamaica, Colombo dovette escogitare una trovata geniale per indurre gli indigeni a riprendere le forniture di vivande per gli spagnoli (interrotte a causa delle violenze di un gruppo di spagnoli che si erano ribellati a Colombo): utilizzando un’eclisse di luna che egli sapeva sarebbe accaduta a breve, disse agli indiani che quello sarebbe stato il segno della collera divina per la loro negligenza. Quando l’eclisse avvenne, gli indigeni terrorizzati ripresero a rifornire gli spagnoli.
Quarto viaggio di Colobo - From Wikimedia Commons, the free media repository |
Il navigatore fiorentino Amerigo Vespucci, con una serie di viaggi tra il 1498 e il 1504, fu il primo ad affermare con certezza che i territori scoperti non erano l’Asia. Fu il cartografo Martin Waldseemüller a utilizzare il nome America del suo nome latinizzato (Americus Vespucius), per indicare il nuovo continente in una carta del mondo disegnata nel 1507.
Nel 1980 Howard Zinn scrive People's History Of The United States nel quale racconta la storia statunitense partendo non dai presidenti o dalla classe dirigente, ma dalle persone escluse dalla storia, ovvero i poveri, i nativi americani, gli schiavi di colore, le donne. Nel capitolo dedicato a Colombo Zinn sottolinea con enfasi tutti i caratteri negativi dei suoi viaggi e le conseguenze nefaste che ebbero sui nativi. Cosa voleva Colombo? Si domanda Zinn. Nelle prime due settimane del diario di bordo c’è una sola parola che ricorre 75 volte: “oro”. Il libro ha scatenato aspre polemiche negli Stati Uniti ma non in Europa, dove la visione “gloriosa” delle scoperte geografiche è stata abbandonata da un pezzo. Zinn si schierò contro le celebrazioni di quei viaggi voluta dall’amministrazione Bush come corroboranti della sua linea di politica estera, secondo Zinn fortemente imperialistica.
Nel 1992 Maurizio Parenti e Marco Tangheroni scrivono sulla rivista “Cristianità” l’articolo “Cristoforo Colombo, ammiraglio genovese e defensor fidei". In questo articolo cercano di parare i colpi che provengono dai critici di Colombo. Essi riscoprono il Colombo religioso, esportatore della fede e perfettamente convinto della bontà, agli occhi di Dio, delle sue imprese. Essi sottolineano come sia assurdo pretendere da Colombo un atteggiamento e una mentalità moderni, diversi da quelli tipici del suo tempo. Colombo non va giudicato col nostro metro.
L'Oceano Pacifico
Nel 1513 gli spagnoli videro per la prima volta l’Oceano Pacifico. Vasco Nuñez da Balboa era un avventuriero che proveniva da Haiti e che aveva dato mostra di atroce crudeltà facendo divorare una quarantina di indigeni sospettati di omosessualità dai suoi cani. Egli aveva attaccato numerosi villaggi indigeni per catturare schiavi e aveva stretto patti di amicizia con altre tribù. Il figlio di un capo indigeno suo alleato nell’istmo di Panama, rimproverando l’avidità d’oro degli spagnoli, aveva detto loro: “se siete venuti fin qui per amore dell’oro, sopportando tante pene e saccheggiando le nostre terre, vi dirò di un posto dove potrete saziare la vostra fame”. Indicando il sud, parlò quindi di un paese, oltre un grande mare, dove abitava un popolo che possedeva enormi quantità d’oro.Balboa pungolato dal racconto riuscì, con enorme fatica, ad aprirsi un varco nella foresta vergine e a raggiungere per primo le coste dell’Oceano Pacifico, che chiamò mare del sud. Qualche anno dopo, in quel luogo, venne fondata la città di Panama.
Il Viaggio di Magellano
Nell’autunno 1516 un ufficiale si inginocchia di fronte al suo re, senza troppa convinzione. Il re è Manuel I di Portogallo, l’ufficiale è Ferdinando Magellano. Magellano prende la parola: “ho trentasei anni, sono otto anni che esploro, che navigo, che combatto per il Portogallo. Sono otto anni che servo la Corona, in Africa e nelle Indie. Ho ricevuto tre ferite gravi, sono diventato zoppo per un colpo di lancia al ginocchio, e sono rimasto senza un soldo. Sire, almeno aumentatemi la pensione”. – No, risponde Manuel – “Datemi almeno il comando di una caravella, mandatemi nelle Indie, lì posso rifarmi una vita!” – No, risponde Manuel – “Allora almeno autorizzatemi a seguire un altro re!” – Non m’importa dove andate, dice Manuel. Finalmente un “no” che significa “sì”. Magellano può guardarsi attorno e rivolgersi altrove (A. Scafi, Alla scoperta del paradiso: un atlante del cielo sulla terra, Sellerio,2011, pp.187-188).
Dopo aver accertato che l’America era un continente tra l’Europa e l’Asia, occorreva trovare un varco per giungere all’Oceano Pacifico. Magellano era un nobile portoghese che aveva partecipato a una spedizione verso le Indie nel 1505. Egli immaginò di poter giungere alle Molucche che, secondo l’accordo di Tordesillas del 1494, appartenevano al Portogallo. Le Molucche erano per gli europei di allora le leggendarie Isole delle Spezie. L'Occidente sapeva che lì si trovava la fonte delle più pregiate spezie come la noce moscata o i chiodi di garofano, che potevano produrre dei guadagni favolosi. Si parlava allora di uno stretto in America che avrebbe portato dritto alle isole delle spezie e Magellano era convinto che l'avrebbe trovato.
Di questo famoso e meraviglioso viaggio ci è rimasta una preziosa testimonianza lasciata dall’italiano Antonio Pigafetta, che intraprese il viaggio come passeggero pagante, spinto dalla sua curiosità di visitare terre misteriose e sconosciute.
Partita da Siviglia il 10 agosto 1519 la flotta, composta da 5 navi nere come una notte senza luna, raggiunse il 6 dicembre il Brasile dove i marinai si riposarono per qualche settimana in una magnifica baia. Gli americani si mostrarono particolarmente ospitali, offrirono alloggio e cibo. Le donne si concessero senza remore agli europei. Quando la ricreazione finì e bisognò salpare, il viaggio verso sud si rivelò periglioso a causa delle tempeste e del freddo. Il 31 marzo 1520 Magellano decise di passare l’inverno nel golfo di San Julian, in Argentina, ma le scarse razioni di cibo e la paura di andare verso la morte causò un tentativo di ammutinamento che Magellano punì con ferocia, facendo uccidere due dei maggiori responsabili e abbandonandone altri due sulla riva. La flotta rimase ferma per qualche mese per riparare le navi (una affondò dopo essersi incagliata). Nel novembre del 1520, lo stretto, il passaggio verso il grande mare, finalmente si rivelò. Il freddo era glaciale, le correnti fortissime. Una nave si ammutinò e rientrò in Spagna. Le terre sembravano disabitate, il mare di una profondità spaventosa, un nebbioso labirinto di tortuosi bracci di mare e di falsi stretti. Quando però, dopo tre settimane di navigazione, uscì dallo stretto e vide le acque pacifiche dei mari del sud, Magellano, l’uomo di ferro, non riuscì a trattenere una lacrima.
Magellano battezzò il nuovo mare “Pacifico” poiché gli sembrò tranquillo. L’assenza di tempeste era però un’eccezione, le acque del Pacifico sono, in genere, piuttosto agitate. Allora le restanti navi viaggiarono per quasi quattro mesi senza disporre di cibi freschi, i marinai dovettero nutrirsi di gallette piene di vermi. Molti di loro si ammalarono di scorbuto e una ventina morirono. Nel marzo 1521 le navi giunsero alle Marianne e infine alle Filippine, dopo un viaggio di 20 mila chilometri! Gli indigeni furono molto cordiali e interessati alle merci degli spagnoli. Magellano però, nel tentativo di convertire con la forza uno dei capi locali, morì ucciso dagli indigeni. Altri 30 uomini furono poi uccisi dagli indigeni già "convertiti". Successivamente i sopravvissuti giunsero alle Molucche dove trovarono finalmente le spezie tanto agognate. Dopo varie vicissitudini una sola nave, la Victoria, riuscì a rientrare in patria seguendo la rotta africana, sotto la guida di Juan Sebastián Elcano, nel settembre 1522. Solo 18 uomini, esausti e macilenti, erano sopravvissuti dei 237 partiti. Avevano compiuto il più grande viaggio marittimo mai concepito. Era la prova empirica della sfericità del pianeta. La vendita del carico bastò a coprire tutte le spese e a fornire notevoli utili. Elcano ebbe una pensione vitalizia.
La conquista del Messico
Fernando Cortès aveva contribuito alla conquista di Cuba e come bottino aveva ricevuto una grande estensione di terre. Nel 1519 venne inviato dal governatore di Cuba, Diego Velasquez, sul continente, per estendere il dominio spagnolo. Egli disponeva di poche centinaia di uomini e di qualche centinaio di servi indigeni. Dopo aver combattuto con le popolazioni messicane ricevette un ambasceria dell’imperatore azteco Montezuma, che gli aveva inviato dell’oro chiedendogli di non cercare di incontrarlo. Cortès, invece, bramoso di ricchezze fece di tutto per trovare la via per la capitale azteca. L’esercito di Montezuma cercò di sbarrare la strada a Cortès ma la cavalleria e i cannoni permisero agli spagnoli di prevalere e di ottenere il passo. Giunti a Tenochtitlan gli spagnoli furono ospitati da Montezuma e potevano circolare liberamente. Il pericolo di una reazione violenta degli aztechi indusse però gli spagnoli a prendere prigioniero Montezuma per ottenere l’oro tanto bramato. Quando Cortes seppe che 18 navi spagnole erano giunte sul continente per cercarlo, dovette fuggire, coi suoi uomini, dalla città. Nella battaglia Montezuma morì, e gli spagnoli, pur con molte perdite, riuscirono a fuggire. Più tardi, nella primavera del 1521, Cortes ritornò e, con l’utilizzo di una flottiglia armata di cannoni, riuscì a isolare la città sino ad ottenerne la resa. I cronisti del tempo parlando della città conquistata, la paragonano alla Gerusalemme del 1099. Tutto era ricolmo di cadaveri, di teste e di arti mozzati. Il successore di Montezuma fu bruciato vivo. Gli spagnoli occuparono un vasto territorio che si spingeva sino alla California. La rapidità della conquista fu facilitata dalla debolezza del regno azteco, caratterizzato da un feroce dominio sulle altre etnie, le quali strinsero con molto favore una decisiva alleanza con gli spagnoli. Nacque così la Nuova Spagna.
Pizarro conquista l’impero Inca
La conquista dell'impero Inca avvenne gradualmente negli anni successivi al gennaio 1531 per mano di avventurieri spagnoli, guidati da Francisco Pizarro e Diego de Almagro, che con un colpo di mano riuscirono a cancellare un impero vasto e consolidato.
Gli spagnoli avevano iniziato già nel 1524 e nel 1526 ad esplorare la regione delle Ande. Pizarro e i suoi compagni avevano così scoperto che sulla cordigliera delle Ande, a un’altitudine di migliaia di metri, si era sviluppata una civiltà doviziosa. In quel momento l’impero era diviso tra i due figli del precedente imperatore, Huascar e Atahualpa.
Pizarro era rientrato a Panama nel 1528, dopo aver ottenuto dal re Carlo V il consenso a una spedizione verso sud lasciò Panama nel 1531 con 180 uomini e 37 cavalli. Nel frattempo era scoppiata una guerra tra Huascar e Atahualpa. Pizarro aveva capito di dover intervenire nella contesa, se voleva guadagnare la fiducia di uno dei due contendenti. Il primo dei due Inca in lotta a interessarsi degli Spagnoli fu Atahualpa.
L’incontro avvenne nei pressi della città di Cajamarca, nell'attuale Perù. L’inca comparve con un fastoso seguito sulla piazza del mercato dove gli spagnoli lo attendevano. Un delegato di Pizarro iniziò a spiegare ad Atahualpa ciò che gli spagnoli volevano. L’inca ascoltò con impazienza il discorso, di cui capiva bene solo la richiesta di sottomissione. Quando un prete gli mostrò la Bibbia Atahualpa la sfogliò per un attimo e poi la gettò a terra con disprezzo. Subito scoppiò il finimondo. Gli spagnoli, iniziarono a sparare coi cannoni e coi fucili e gli indiani, folli di terrore si sparpagliarono da ogni parte. Nella confusione l’imperatore venne preso prigioniero. In carcere Atahualpa promise, in cambio della sua libertà, di far riempire d’oro la stanza in cui era prigioniero. Gli spagnoli accettarono e subito l’imperatore spedì corrieri in ogni punto per far portare l’oro. La stanza fu incredibilmente riempita. Atahualpa chiese agli spagnoli di rispettare i patti ma Pizarro in tutta risposta portò l’inca davanti a un tribunale e lo fece condannare al rogo. Quando fu fatto salire sulla catasta di legna per essere bruciato Atahualpa accettò di convertirsi al cristianesimo. Venne battezzato poi gli passarono un filo metallico sul collo che fu stretto sino a soffocarlo.
Pizarro scese quindi sino a Cuzco e colonizzò l’ormai destabilizzato impero inca fino alle regioni meridionali del Cile.
Il confronto tra due civiltà, quella europea - provvista di armamenti avanzati - e quella Inca - ancora all'età del bronzo - non poteva che risolversi a vantaggio della prima.
La "Distruzione" delle Indie
La Conquista delle Indie fu, dal punto di vista degli americani, una tragedia di colossali proporzioni.
La schiavizzazione forzata degli indigeni americani e le spaventose violenze a cui furono sottoposti (molti indigeni si suicidarono per non cadere vittime degli europei) furono tra le cause dell’immane genocidio compiuto dagli europei in America. A partire dal XVI secolo (Leggi di Burgos del 1512 e Leggi nuove del 1542) fu adottato dagli spagnoli uno strumento di colonizzazione denominato “encomienda”.
L' encomienda coloniale consisteva nell'affidare a degli encomenderos spagnoli determinati territori abitati con un gruppo di indigeni "in dotazione", da colonizzare e cristianizzare. L'encomienda fu quindi un'istituzione che permise di consolidare la colonizzazione dei nuovi territori, attraverso l'assoggettamento fisico, morale e religioso delle popolazioni precolombiane. Gli encomenderos abusavano sistematicamente dei loro encomendados, facendoli lavorare in modo disumano, senza preoccuparsi di nutrirli. In tal modo gli americani, indeboliti dalle fatiche finivano per morire di fame. Essendo data assoluta libertà di governo a questi encomenderos, gli abusi di potere erano all'ordine del giorno e atroci le condizioni di vita degli autoctoni. Le cronache raccontano di stragi di indigeni inermi, di bimbi strappati alle madri per essere dati in pasto ai cani sotto i loro stessi occhi. Il gusto di uccidere, di infliggere impunemente violenza si era impadronito di molti spagnoli.
La maggior parte delle morti si deve, però, alle malattie che, a partire dal 1492, gli europei trasportarono involontariamente in America. Malattie come il morbillo, il vaiolo, l'influenza, la varicella, ecc., erano pressoché inesistenti nelle Americhe; la maggioranza di questi virus e batteri era presente nei corpi degli animali da soma come cavalli, bovini o suini, che furono trasportati dagli Europei. Nel continente antico questi virus erano presenti da millenni, per cui le popolazioni di Europa, Asia e Africa avevano sviluppato adeguati anticorpi. Nel Nuovo Mondo invece questi mammiferi non erano presenti e gli indigeni erano stati pressoché isolati dal continente antico per più di 40 millenni. Si stima che circa l'80% della popolazione indigena delle Americhe controllate dagli spagnoli perì in un periodo di tempo che va dal 1491 al 1550. Questo è anche il motivo dell'inizio della tratta dei neri africani; i conquistadores, non avendo più lavoratori indigeni da sfruttare, importarono schiavi dall'Africa. Anche gli europei furono colpiti da una malattia nuova, la sifilide. Essa si diffondeva normalmente per contagio sessuale e, a causa dell'assenza di cure adeguate, era spesso mortale.
Una figura rilevante, a proposito del problema della distruzione delle Indie, fu il domenicano Bartolomé de Las Casas - in taluni testi italiani riconoscibile anche come Bartolomeo (484 –1566) - è stato un vescovo spagnolo, impegnato nella difesa dei nativi americani. Nel 1542 l'imperatore Carlo V chiese al domenicano di redigere una sintesi dei memoriali che aveva presentato sulla situazione degli indios. L'opera venne pubblicata quello stesso anno, con il titolo Brevísima relación de la destrucción de las Indias, ebbe subito grande risonanza ed ebbe una indubbia influenza sulla liberazione per legge degli indios decretata dall'imperatore con le Leyes Nuevas del 1542-43. L'applicazione della nuova legislazione fu tuttavia resa difficile dalla resistenza dei conquistadores, che arrivarono ad uccidere i messi del re che cercavano di farla rispettare. In ogni caso, la condizione degli indigeni nei territori dominati dagli spagnoli risultò diversa da quella dei vicini territori portoghesi, dove la schiavitù rimase pienamente in vigore.
In uno dei suoi ritorni in Spagna, Las Casas fu protagonista del grande dibattito del 1550, voluto da Carlo V, che aveva convocato allo scopo la Giunta di Valladolid. Avversario di Las Casas era il rappresentante del pensiero colonialista, l'umanista Juan Ginés de Sepúlveda, che sosteneva che alcuni uomini sono servi per natura, che la guerra mossa contro di loro è conveniente e giusta a causa della gravità morale dei delitti di idolatria, dei peccati contro natura e dei sacrifici umani da loro commessi e che, infine, l'assoggettamento avrebbe favorito la loro conversione alla fede.
Las Casas si dichiara, invece, a favore di una pacifica conversione e afferma la naturale bontà degli indios ("senza malizia né doppiezza"), dando origine al cosiddetto mito del buon selvaggio: gli stessi sacrifici umani non sono tanto negativi, secondo il Las Casas, se li si considera "indotti dalla ragione naturale", al punto che i nativi avrebbero peccato se non avessero onorato i loro dei. Il processo e le discussioni durarono ben cinque giorni.
Tutto ciò non produsse tuttavia la fine della schiavitù. Come abbiamo già detto era partita la tratta degli schiavi africani, che divennero dei perfetti sostituti degli indios. Gli schiavi neri acquistati in Africa e rivenduti nelle Americhe, nel periodo che inizia nel '500 e ternina all'inizio dell'800, furono diversi milioni. Essi erano considerati dagli europei pienamente uomini, ma siccome al momento del loro acquisto erano già schiavi, si riteneva che il problema non sussistesse.
Conseguenze del contatto. Lo "scambio colombiano"
La scoperta dell'America modificò pesantemente i commerci mondiali. Inizialmente gli europei concentrarono le loro ricerche sull'oro, che era però difficile da trovare. Nei decenni successivi alla scoperta fu invece un altro metallo a divenire il fulcro dell'interesse economico e il vero motore del potere commerciale: l'argento. Le miniere di Potosì, in Bolivia, fornirono un continuo flusso di argento che facilitò il sorgere di un commercio mondiale. Con l'argento, ad esempio di potevano acquistare le porcellane cinesi che iniziarono ad invadere il mercato europeo.
L'incontro tra Europa ed America produsse il cosiddetto "scambio colombiano", cioè un vasto scambio di prodotti alimentari, animali, malattie ed elementi culturali. Dalle Americhe giunsero patate e mais, senza i quali l'Europa non avrebbe potuto compiere un deciso salto demografico dal '700 in poi. L'Europa portò in America il vino e gli alcolici, causa di un diffuso alcolismo, e portò dall'America la coca e i suoi derivati da cui furono create varie droghe.
Riassumiamo in tabella i principali elementi dello scambio colombiano
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