Schopenhauer critica l'etica kantiana


Il proton pseudos (falsa premessa) di Kant sta nel suo concetto dell'etica stessa che troviamo espresso con la mas­sima chiarezza a p. 62 (R., p. 54): «In una filo­sofia pratica non si tratta di indicare le ragioni di ciò che accade, bensì le leggi di ciò che deve acca­dere anche se non accade mai». Questa é già una decisa petitio principii.  Chi vi dice che ci siano leggi alle quali le nostre azioni devono assoggettarsi? Chi vi dice che deve accadere ciò che non accade mai?

Chi vi autorizza a fare in anticipo questa ipotesi, e ad imporci poi un'etica, in forma imperativo-legi­slativa, come l'unica possibile? In opposizione a Kant dichiaro che il moralista e il filosofo in genere devono accontentarsi di spiegare e interpretare ciò che è dato, vale a dire ciò che realmente é o avviene, per arrivare a una comprensione, e dico che con ciò avranno abbastanza da fare, assai più di quanto fino ad oggi non si sia fatto dopo millenni. in confor­mità alla suddetta petizione di principio kantiana, nella prefazione, del tutto pertinente, si assume prima di qualunque indagine che esistono norme puramente morali; ipotesi che poi si ferma li ed é il princ­ipale fondamento di tutto il sistema.  Noi invece vogliamo prima di tutto esaminare il concetto di legge.  Il vero e proprio e originario significato di essa si riduce alla legge civile (lex, nomoV), a una istituzione umana fondata sull’umano arbitrio. Il concetto di legge ha un secondo significato, derivato, traslato, metaforico, nella sua applicazione alla natura, i cui procedimenti, in parte conosciuti a priori, in parte desunti empiricamente, e sempre uguali a se stessi, chiamiamo per metafora leggi di natura. Per la volontà umana esiste, è vero, anche una legge in quanto l’uomo fa parte della natura, e precisamente una legge ben dimostrabile, inviolabile, senza eccezioni, incrollabile, che comprende la necessità, non vel quasi (come se, tanto per dire) come l’imperativo categorico, ma realmente: è la legge della motivazione, una forma della legge di causalità, cioè la causalità trasmessa dalla conoscenza. È l’unica legge dimostrabile per la volontà umana alla quale questa sia soggetta come tale. Essa avverte che ogni azione può aver luogo soltanto in seguito a un motivo sufficiente. (pp.118-119)
Ogni «tu devi» ha senso soltanto in rapporto a una minaccia di castigo o a una promessa di premio.  (……) Dunque ogni dovere é necessariamente condizionato dalla punizione o dal premio e quindi, per parlare la lingua di Kant, è essenzialmente e inevitabilmente ipo­tetico e mai, come egli asserisce, categorico.  Se però si pensano eliminate quelle condizioni, il concetto di dovere rimane senza senso, sicchè un dovere asso­luto é una contradictio in adiecto (contraddizione in termini)Una voce impe­rante, venga dal di dentro o dal di fuori, non la si può assolutamente pensare altro che minacciosa o promettente (….). Questo concetto, fondamentale per l'etica di Kant, del dovere assoluto é del tutto impensabile e assurdo e nel suo sistema entra più tardi, cioé nella Critica della ragion pratica, come un veleno segreto che non può rimanere nel­l'organismo, ma deve infine manifestarsi e trovare uno sfogo.  Il dovere assoluto postula poi una condi­zione, e persino più di una, cioé un premio e per giunta l'immortalità del premiando e uno che con­ferisce il premio.  Certo ciò é necessario una volta che si siano fatti, del dovere e dell'obbligo, concetti fondamentali dell'etica, dato che questi sono concetti essenzialmente relativi e hanno un significato sol­tanto col castigo minacciato o col premio promesso. (pp.121-122)
L’impulso morale deve essere assolutamente, come ogni motivo che muove la volontà, tale da annunciarsi da sé e perciò da agire positivamente, dev’essere quindi reale: e siccome per l’uomo ha realtà soltanto ciò che è empirico o è presupposto come eventualmente empirico, l’impulso morale deve effettivamente essere empirico e come tale annunciarsi spontaneo, venire a noi senza aspettare la nostra richiesta, e con tanta violenza da poter superare almeno i giganteschi motivi egoistici che si oppongono. La morale ha a che fare con le azioni reali dell’uomo, non con castelli di carta eretti a priori, i cui risultati, nella seria urgenza della vita, non importerebbero a nessuno, il cui effetto perciò sulla tempesta delle passioni sarebbe quanto quello di una cannula da clistere in un incendio. (pp.142-143)
Dunque, la massima che posso volere sia seguita da tutti coloro che agiscono, sarebbe il vero prin­cipio morale.  Il mio poter volere é il cardine sul quale gira la massima impartita.  Ma, a rigore, che cosa posso volere e che cosa no? Per poter deter­minare che cosa posso volere a proposito di quanto si é detto, ho evidentemente bisogno di un altro regolamento: e soltanto con questo avrei, simile a un ordine suggellato, la chiave della data istruzione. Ma dove lo trovo questo regolamento? Certo non altrove che nel mio egoismo, in questa norma pros­sima, sempre pronta, originaria e viva in ogni atto di volontà, che su qualunque principio morale ha in più almeno l'ius primi occupantis (diritto del primo occupante)L'istruzione contenuta nella suprema norma di Kant per trovare il vero e proprio principio morale si basa sulla tacita premessa che io possa volere soltanto ciò che é il meglio per me.  Ora, siccome stabilendo una mas­sima che sia da seguire universalmente devo considerarmi necessariamente non solo la parte attiva, ma anche quella eventualmente e talvolta passiva, il mio egoismo decide, sotto questo angolo visuale, per la giustizia e l’amore del prossimo; non perché abbia voglia di esercitarli, ma perché ne vuol fare l’esperienza, come quell’avaro che dopo aver ascoltato una predica sulla beneficenza esclama: «Che svolgimento profondo, e come bello! Quasi quasi andrei a mendicare».

estratto da: “Il fondamento della morale”, Laterza 1995,  

pp.156-157 

 

Mappa riassuntiva del brano


 


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