La rivoluzione industriale

Per rivoluzione industriale si intende un processo di trasformazione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad uno industriale caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di combustibili fossili.

Come è noto la Rivoluzione industriale avvenne in Inghilterra. Vedremo più avanti i fattori che permisero che questo decisivo cambiamento del modo di produrre.

 

Prima e seconda Rivoluzione industriale

Spesso si distingue fra prima e seconda Rivoluzione industriale. La prima, caratterizzata  dall'introduzione della macchina a vapore, ebbe inizio intorno alla metà del ‘700 e riguardò prevalentemente il settore tessile-metallurgico. Secondo la delimitazione di Thomas S. Ashton (1948), si compì fra il 1760 e il 1830. La seconda viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880, con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Il periodo vittoriano (1831-1901), nel quale avvenne la seconda rivoluzione industriale, fu per l'Inghilterra l'apogeo del proprio sviluppo  economico, archetipo del sistema capitalista-industrializzato. Talvolta si parla di terza rivoluzione industriale in riferimento alla nascita, soprattutto a partire dagli anni ’70, dell'elettronica e dell'informatica nell'industria e all’utilizzo di nuove fonti energetiche come quella atomica. 

La rivoluzione industriale comportò una profonda ed irreversibile trasformazione che partiva dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico nel suo insieme e l'intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modificò i rapporti fra gli attori produttivi. Nacque così la classe operaia che riceveva, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorse anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mirava ad incrementare il profitto della propria attività.

La prima rivoluzione industriale si estese in seguito ad altri stati, in particolare: Francia, Germania, Stati Uniti e Giappone fino a coinvolgere l'intero Occidente e, nel XX secolo, parte di altre regioni del mondo, prime fra tutte l'Asia. Ogni paese ha seguito un proprio percorso verso la propria rivoluzione industriale e la stessa si è realizzata in modo differenziato. Così se in Inghilterra il processo prese avvio nel settore tessile, in altri paesi la rivoluzione industriale fu letteralmente trainata dall'introduzione della locomotiva a vapore, inventata nel 1803 e utilizzata per il trasporto dei passeggeri a partire dal 1825.
In Inghilterra la prima rivoluzione industriale sorse spontaneamente e fu alimentata dall'iniziativa privata (pur sostenuta e favorita da atti legislativi emanati dal Parlamento, come quelli relativi alle recinzioni e alle strade), mentre in altri paesi lo stato diede contributi maggiori e spesso determinanti.
Il termine rivoluzione, inizialmente indicante un moto circolare che torna su sé stesso, ha in seguito definito una rottura, un capovolgimento. Con l’espressione rivoluzione industriale si fa implicitamente riferimento a questo secondo senso. Il sistema produttivo che risulta dalla rivoluzione industriale è radicalmente differente rispetto al sistema precedente di tipo agricolo-manifatturiero.
Alcuni storici minimizzano l'importanza degli avvenimenti identificati con la rivoluzione industriale sostenendo che le trasformazioni strutturali delle economie europee ebbero inizio già nel secolo precedente. Più che di una rottura si tratterebbe solo, per questi autori, di un'accelerazione di un processo già in corso.
Altri storici, come Jean Gimpel sostengono persino l'esistenza di rivoluzioni industriali precedenti a quella sorta in Inghilterra alla fine del XVIII secolo. Nell'epoca feudale si sarebbero così realizzate rivoluzioni sostanziali delle tecniche agricole e industriali, basti pensare al ruolo dei mulini. Tuttavia la grande novità introdotta dalla rivoluzione industriale non consiste tanto nell’introduzione delle macchine, che non erano una novità assoluta, ma nell’utilizzo di combustibili fossili in sostituzione di energie rinnovabili come i corsi d'acqua, la forza degli animali e il legno dei boschi.

 

Da un punto di vista economico, l'elemento che caratterizzò la Rivoluzione industriale è il salto di qualità nella capacità di produrre beni, cui si assiste in Gran Bretagna, a partire dalla seconda metà del Settecento. Più precisamente la crescita dell'economia inglese nel periodo 1760-1830, che raddoppiò il reddito pro capite, è la più alta registrata fino a quel momento.

 

ORIGINI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA

Ogni mutamento profondo dell'economia è influenzato da eventi precedenti, e così la rivoluzione industriale viene considerata da alcuni studiosi come l'ultimo momento di una serie di cambiamenti che hanno trasformato l'Europa da terra povera, sottosviluppata e poco popolata all'inizio del Medioevo, nella zona più ricca e sviluppata del mondo nel corso dell'Ottocento. Vediamo ora le cause che concorsero a produrre la nascita dell’industria meccanizzata in Inghilterra, che si trovava in una condizione nettamente più propizia a una tale trasformazione rispetto agli altri stati europei. Essa si trovava in una posizione geografica favorevole ai commerci nell’Oceano Atlantico, mentre la sua insularità le aveva consentito una facile difesa dei propri confini, evitandole le periodiche devastazioni che, al contrario, dovette subire il resto dell'Europa per le svariate guerre settecentesche.
Altro elemento favorevole furono le vie di comunicazione. Il Parlamento, tra il 1760 e il 1774, con l’intento di permettere uno spostamento rapido delle proprie truppe in ogni stagione dell’anno, emanò una serie di atti legislativi per migliorare le strade esistenti e per costruirne di nuove attraverso il sistema del pedaggio (turnpike roads) che incoraggiò l’iniziativa privata. Nella seconda metà del XVIII secolo, si assistette dunque alla costruzione di strade e canali navigabili che fornivano un contributo determinante per lo sviluppo degli scambi commerciali e per la formazione del mercato interno.

 

Trasformazioni demografiche. «Tra Sei­cento e Settecento (....) la popolazione crebbe in modo sostanziale e soprattutto stabilmente, cioè senza subire improvvisi arresti a causa di carestie o epidemie. Il processo di urba­nizzazione, già in atto nel Cinquecento, si consolidò, facendo delle città il vero fulcro della vita sociale, politica ed economica» (G. Maifreda, Tempi Moderni, vol. 2, p. 75). Tra il 1700 e il 1800 la popolazione europea passò da quasi 120 milioni a oltre 190 milioni. Alcuni storici parlano quindi  di “rivoluzione demografica”, per evidenziare che la crescita della popolazione europea e mondiale continuò ininterrottamente sino ai nostri giorni. Gli ultimi focolai di peste (Marsiglia 1720 e Messina 1743,) furono arginati da tempestivi provvedimenti di quarantena. I progressi igienici dovuti all'uso del sapone e all'introduzione di abbigliamento intimo in cotone, meno costoso e più facilmente lavabile rispetto alla lana, unito alla sostituzione delle case in legno (habitat perfetto per topi e batteri) con quelle in mattoni ridussero la diffusione delle malattie epidemiche. Le migliorate condizioni economiche dovute all’aumento della produzione agricola (di cui parliamo più avanti) permisero l’abbassamento dell’età media in cui si contraevano i matrimoni. Lo sviluppo demografico ampliò la quantità di manodopera e di consumatori. La popolazione inglese passò da 5,8 milioni all’inizio del secolo ai 9 milioni del 1800, rendendo possibile un'ampia offerta di manodopera a basso costo. La sola Londra, all’inizio del ‘700 aveva oltre 500 mila abitanti e a fine secolo circa un milione. Questo non fu però un fattore sufficiente per dare avvio all’industrializzazione. Al contrario, avrebbe potuto essere causa di povertà se la produzione economica non fosse progredita con lo stesso ritmo.

 

La rivoluzione agricola. Altro fattore di fondamentale importanza per lo sviluppo della Rivoluzione industriale in Inghilterra fu la nuova agricoltura. Tra seicento e settecento in Europa le bonifiche e i disboscamenti fecero aumentare sensibilmente l'area coltivabile in tutta l’Europa. In Inghilterra le terre destinate all'agricoltura aumentarono di un terzo. L’accrescimento della produzione agricola in aree come la Gran Bretagna, l’Olanda, il nord della Francia e dell’Italia, non avvenne però soltanto attraverso l'aumento della terra coltivata, ma anche con l'incremento dei rendimenti della terra. In Inghilterra, dalla seconda metà del ‘600, ci fu una netta accelerazione del fenomeno delle enclosures, per cui molta terra demaniale lasciata al libero pascolo venne privatizzata e recintata (con siepi o muretti a secco). Questo privò i contadini più poveri del libero diritto di pastorizia e li spinse a trovare nuovo impiego nelle città. «I vecchi residui di dipendenza signorile vennero gradualmente superati, sostituiti da contratti più moderni e, soprattutto, dall'affitto in denaro. Questa forma di conduzione della terra stimolava l'imprenditorialità della famiglia coltivatrice, che non era più tenuta a versare parti significative del proprio raccolto ai signori, ma garantiva loro sempli­cemente una rendita fissa, gestendo poi la proprietà agricola come se fosse sua, con un forte incentivo a migliorarne la produttività» (Maifreda, op. cit., p. 59).

I sistemi di lavorazione dei terreni furono profondamente modificati con l'introduzione della rotazione continua delle colture. Fu adottato un nuovo sistema di rotazione mediante il ricorso alle piante foraggere (come l’erba medica o il trifoglio), che avevano la proprietà di arricchire il terreno, consentendo una produttività più elevata. Il maggese fu abbandonato e si assistette a una maggiore integrazione tra l’allevamento e l’agricoltura. Le coltivazioni di legumi e tuberi furono alternate ai cereali. La produzione dei foraggi permise un aumento dei capi da allevamento e il conseguente incremento dei concimi. Si era inoltre diffusa la coltivazione di patate e mais, alimenti provenienti dal nuovo mondo che erano serviti sino a quel momento come cibo per gli animali, che funsero da base dei consumi popolari. Il consumo esclusivo di polenta di mais (monofagismo), tuttavia, privava l’organismo della vitamina PP e causava così la diffusione della pellagra, una malattia gravissima e simile alla lebbra. 

 

Fonte: L'Idea della storia, Borgonone, Carpanetto

Le novità introdotte in campo agricolo produssero quindi in Inghilterra la progressiva riduzione delle piccole proprietà e l’affermarsi della grande azienda agricola capitalista. Sorse così nascita di un’agricoltura di mercato (non per auto-consumo ma per profitto che poteva sfruttare la manodopera a poco prezzo dei contadini che non avevano potuto sostenere le spese della enclosures, e che venivano ora pagati a giornata.  Il surplus prodotto dalla terra dava luogo a capitali che potevano essere investiti, oltre che in altri settori economici, nella nascente industria.

 

L’aumento dei commerci e la disponibilità di materie prime

L'accumulo di capitale incamerato in seguito ai commerci e la disponibilità di ingenti quantità di ferro e carbone nei paesi del Nord, facilmente trasportabili attraverso una fitta rete di canali navigabili, resero possibili gli investimenti necessari alla creazione delle prime fabbriche. L’assenza di ostacoli fiscali (dazi)  e delle corporazioni favorì enormemente i commerci inglesi rispetto al resto d’Europa. Per spiegare come si sia passati da un sistema manifatturiero (domestyc system) di tipo artigianale  a uno di tipo industriale (factory system) occorre considerare che in Inghilterra, nel periodo che precedeva la rivoluzione industriale, la domanda di beni era aumentata. Questo era dovuto sia alla crescita demografica sia al livello del reddito pro capite e dei salari, più elevati di molti paesi europei, sia alla crescente domanda di beni come, per esempio, il cotone grezzo della Virginia, fondamentale per l’industria tessile. Il monopolio del commercio del thé imposto ai coloni, così come l’”asiento”, il commercio degli schiavi neri consentirono alla corona di incamerare cifre ragguardevoli. Grandi guadagni provenivano infatti dal cosiddetto “commercio triangolare”, l’inghilterra scambiava oggetti di vario valore (perline, vetri colorati, armi, alcolici, tessuti prodotti in India) con schiavi africani che poi rivendeva in America in cambio di matalli preziosi, cotone o altre materie prime che alimentavano l’industria interna. Gli schiavi venivano portati nelle Americhe in condizioni disumane e circa il 15% moriva durante il viaggio. I tessuti di cotone erano per di più chiesti agli inglesi dai coloni americani per vestire proprio gli schiavi. Esisteva, quindi, una forte domanda di beni di largo consumo, destinati a soddisfare bisogni elementari di crescenti masse di persone in patria e all'estero. L’aumento della domanda favorì gli investimenti in impianti industriali e macchinari. 

Fonte: L'Idea della storia, Borgonone, Carpanetto

Nella seconda metà del ‘700 l'abbondante energia offerta dal carbone che alimentava la macchina a vapore venne applicata alle lavorazioni tessili, rendendo possibile una più efficiente organizzazione della produzione grazie alla divisione del lavoro e allo spostamento delle lavorazioni all'interno di fabbriche appositamente costruite, nonché alle estrazioni minerarie e ai trasporti. Nel settore tessile il passaggio graduale delle lavorazioni artigianali in un sistema di fabbrica permise di compiere investimenti in maniera graduale, via via che erano accumulati i capitali necessari. Il moderno sistema bancario unito ad un efficiente sistema del debito pubblico e a una stabile moneta furono strumenti indispensabili per la nascita dell’industria.

 

Le conoscenze scientifiche

La nascita dell’industria è stata altresì resa possibile dall'aumento delle conoscenze scientifiche sul mondo naturale. Fu infatti il nuovo metodo scientifico iniziato dall'italiano Galileo Galilei a condurre ad un sensibile (e senza precedenti) aumento delle conoscenze che gli Europei avevano sulla natura, ed in particolar modo sui materiali e le loro proprietà. Tali conoscenze scientifiche facilitarono il sorgere di conoscenze tecniche e tecnologiche che poterono essere applicate nelle prime fabbriche tessili e nell'industria siderurgica per una produzione di ferro ed acciaio che non ebbe paragoni nella precedente storia dell'umanità. Tuttavia le conoscenze scientifiche in sé sono un elemento insufficiente a spiegare il sorgere della Rivoluzione industriale in Inghilterra. Tali conoscenze erano infatti presenti anche in altri stati, ma senza il concorso di altre condizioni non sarebbero state per nulla sufficienti. Le novità che rivoluzionarono la produzione tessile non furono introdotte da scienziati, ma da persone comuni impegnate nel settore.

 


Le innovazioni tecnologiche

Le innovazioni tecniche coinvolsero sia le macchine utensili che le macchine motrici, sia le industrie tessili che l'industria pesante (metallurgia e meccanica). Quest'ultima divenne determinante nella metà del XIX secolo, in concomitanza con lo sviluppo delle ferrovie. 

Nella storia dell'umanità il maggior ostacolo alla crescita della produzione di beni è stato infatti quello energetico. Per molti secoli l'umanità si era trovata a disporre soltanto dell'energia meccanica offerta dal lavoro di uomini e animali. Questa situazione aveva impedito l’incremento della produzione, che era dipendente dal lavoro manuale. La progressiva introduzione, a partire dal Medioevo, del mulino ad acqua e del mulino a vento rappresentò la prima innovazione di rilievo. Momento fondamentale della Rivoluzione industriale fu l'introduzione della macchina a vapore, ottenuta da successive modifiche di macchine precedenti realizzate tra il 1765 e il 1782 da James Watt (1736-1819) e brevettata nel 1769.  Le attività minerarie beneficiarono della forza della macchina a vapore nella fase di estrazione dell'acqua dalle miniere, permettendo di scavare a maggiore profondità, ed anche nel trasporto del minerale estratto. I primi vagoni su rotaia servirono a portar fuori dalle miniere il minerale, poi a portarlo a destinazione. Solo in un secondo tempo il trasporto su rotaia si convertì nel trasporto di passeggeri (La prima locomotiva che collegava nel 1825 Stockton a Darlington era stata costruita da George Stephenson). L’industrializzazione produsse effetti non solo in campo economico e tecnologico, ma anche un aumento dei consumi e della quota del reddito, modifiche dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita, con effetti espansivi sul livello demografico.

 

La produzione domestica di tessuti era particolarmente lenta nella fase della filatura, poiché occorrevano cinque filatori per alimentare un solo telaio. Lo squilibrio si accentuò intorno alla metà del XVIII secolo, quando i tempi della tessitura furono ulteriormente ridotti dalla diffusione della spoletta volante (brevettata nel 1733 da John Kay). Nella seconda metà del secolo, due importanti invenzioni modificarono ancor di più il panorama della tecnologia tessile: James Hargreaves inventò, nel 1765, la giannetta (o Spinning Jenny), mentre Richard Arkwright, nel 1767, il filatoio idraulico (o Water frame): la prima accelerava la filatura della trama da 6 a 24 volte e funzionava tramite una ruota che doveva essere girata a mano; il secondo, completamente meccanizzato, poteva produrre un filato resistente anche per l’ordito ed era in grado di avvalersi di energia idraulica. Il filato di queste due macchine non era però privo di difetti, dato che era o troppo rozzo o troppo delicato (G. Gregorini, G. Tacchini, M. Pennacchio, R. Predali , L’economia bresciana di fronte all’Unità d’Italia. Il lanificio sebino

Nel 1779 Samuel Crompton combinò i pregi di giannetta e filatoio idraulico ottenendo la mule - Jenny, che produceva un filato resistente e delicato nello stesso tempo. La mule-Jenny alimentava trenta fusi.

Da questo momento fu la tessitura a non reggere i ritmi accelerati della filatura; il telaio tradizionale era ormai superato. Fu Edmund Cartwright, nel 1785, a superare il collo di bottiglia inventando un telaio meccanico che, seppure ancora imperfetto, si poneva come modello per telai sempre più funzionali.

La potenza di questi congegni fu ulteriormente aumentata dall'utilizzo della macchina a vapore. In tal modo nel 1812, in Inghilterra, la produzione di tessuti in cotone aveva ormai superato quella della lana.

Nell'arco del XIX secolo, la macchina a vapore finì per affermarsi definitivamente anche in altri rami della filiera produttiva (ad esempio, nei trasporti terrestri e marittimi). Essa sostituì le tradizionali fonti di energia che presentavano il gravissimo inconveniente di non essere disponibili nelle quantità e nei tempi e luoghi richiesti (mulini ad acqua e a vento), o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Con l'adozione del vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento.
All'inizio del XVIII secolo, un progresso decisivo nel campo della siderurgia, ancora nella sua fase preindustriale, era stato conseguito da Abraham Darby, che per la lavorazione dei minerali ferrosi aveva iniziato ad usare, anziché il carbone di legna che si stava ormai esaurendo, il coke, ossia l'antracite (carbon fossile) fatta scaldare alla temperatura di 1200/1300 °C per 14/15 ore, al fine di liberare la maggior parte dello zolfo e di materie volatili (distillazione a secco) che avrebbero inquinato i processi di fusione. Senza tale innovazione, la siderurgia avrebbe presto incontrato «i limiti dello sviluppo», perché l'uso tradizionale del carbone di legna avrebbe in breve tempo comportato la totale distruzione delle foreste. Dato che la combustione del coke negli altiforni doveva essere ravvivata da correnti d'aria assai più intense di quelle ottenibili dai vecchi mantici azionati dai mulini, fu necessario utilizzare a questo scopo proprio la macchina a vapore, che quindi trovò la sua prima applicazione in una fonderia.

Conseguenze della rivoluzione Industriale
La rivoluzione industriale comportò un generale stravolgimento delle strutture sociali dell'epoca, attraverso una impressionante accelerazione di mutamenti che portò nel giro di pochi decenni alla trasformazione radicale delle abitudini di vita, dei rapporti fra le classi sociali, e anche dell'aspetto delle città, soprattutto le più grandi.
Fu infatti prevalentemente nei centri urbani, specie se industriali, che si avvertirono maggiormente i mutamenti sociali, con la repentina crescita di grandi sobborghi a ridosso delle città, nei quali si ammassava il sottoproletariato che dalle campagne cercava lavoro nelle fabbriche cittadine. Si trattava per lo più di quartieri malsani e malfamati, in cui le condizioni di vita erano spesso al limite della vivibilità.

 «Al fine di realizzare il maggior numero di prodotti nel minor tempo possibile, il processo produttivo era programmato in modo preciso e razionale. Era pertanto diviso in fasi, che corrispondevano alle varie operazioni compiute dalle macchine, e ciascun operaio era tenuto a eseguire soltanto quella a cui era stato assegnato, sotto il rigido controllo di sorveglianti. Si era dunque costretti a compiere un lavoro ripetitivo e spesso massacrante - le ore lavorative andavano dalle 12 alle 16 giornaliere, senza ferie e con un solo giorno di riposo, la domenica -, e non erano previste forme pensionistiche o di tutela in caso di malattia e infortunio». (L'Idea della storia, Bogognone, Capanetto).


Le nuove macchine erano facili da usare, infatti, in fabbrica lavoravano anche bambini e donne che, più deboli e privi di qualifiche, venivano pagati a basso prezzo e si sottomettevano più docilmente alla disciplina di fabbrica. I bambini iniziavano a lavorare da 5-6 anni e le ore di lavoro li rendevano deboli e malaticci. Lavoravano anche nelle miniere perché potevano entrare facilmente nei cunicoli.
Una simile situazione, sia pure con diverse varianti e aspetti peculiari a seconda dell'epoca e dei Paesi industriali, si è protratta fino a tempi più recenti, e ha dato spunto per una vasta letteratura, politica, sociologica, ma anche narrativa. In Francia, ad esempio, fu Emile Zola a denunciare attraverso i suoi romanzi le miserevoli condizioni delle classi più umili nella Parigi dell'epoca. Nel romanzo Germinal egli tratta, ad esempio, delle condizioni di vita degli operai che lavoravano in una miniera nell'Ottocento. Prima ancora, in Gran Bretagna, Charles Dickens aveva più volte ritratto nei suoi romanzi (es: “Oliver Twist”) una umanità disperata e incattivita dagli spietati meccanismi produttivi imposti dalla rivoluzione industriale. In Italia tra le varie opere analoghe possiamo citare quella di Giovanni Verga che nella novella Rosso Malpelo (1880) narra le miserevoli vicende di un bambino costretto a lavorare in una cava, e Matilde Serao che ne Il ventre di Napoli, pubblicato nel 1884, descrive il degrado urbano e sociale nella capitale campana. In campo politico-filosofico è indubbio che siano state le condizioni umane e sociali delle masse operaie dell'epoca ad aver stimolato le opere di Karl Marx e Friedrich Engels, che avrebbero influito in modo rilevante sul panorama politico mondiale.

 

 

 

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