Parte III
IL DECENNIO DI PREPARAZIONE
Il ritorno dei legittimi sovrani dopo il fallimento delle
rivoluzioni del ‘48-49, bloccò ogni esperimento riformatore.
Ben
diversa da quella degli altri stati italiani era la situazione politica
nel Piemonte sabaudo, dove sopravvisse lo Statuto Albertino e con esso
una forma di governo monarchico-costituzionale.
Agli inizi degli anni
‘50 il governo era presieduto da Massimo D’Azeglio che portò avanti,
con l’appoggio della maggioranza parlamentare, un progetto di
modernizzazione dello Stato. Una tappa fondamentale in questo senso fu
rappresentata dall’approvazione, nel Febbraio 1850, delle cosiddette
leggi Siccardi (dal nome del ministro della Giustizia che le aveva
proposte). Queste leggi riorganizzavano i rapporti fra Stato e Chiesa,
ponendo fine agli anacronistici privilegi di cui il clero godeva: i
tribunali riservati, il diritto d’asilo nelle chiese e nei conventi, la
manomorta (beni fondiari inalienabili esenti da imposte) e la censura
dei libri.
Cavour prende l'iniziativa
Circa due anni dopo
D’Azeglio dovette dimettersi poiché il re era contrario all'introduzione
di una legge sul matrimonio civile. L’incarico di formare il nuovo
governo fu affidato al conte Camillo Benso di Cavour che era emerso come
leader della maggioranza proprio durante l’approvazione delle leggi
Siccardi e che aveva rinunciato, in attesa di un momento più propizio,
alla legge sul matrimonio civile.
Cavour, nato il 10 agosto 1810,
apparteneva a una famiglia di antica nobiltà ed era uomo d’affari,
proprietario terriero e giornalista. Egli possedeva una spericolata
propensione al gioco d’azzardo e da giovane aveva perso grosse cifre,
che toccò al padre risarcire. Fu proprio la vocazione al rischio, unita
ad una visione realistica dei problemi politici, a permettergli di
ottenere risultati eccezionali. Il suo ingresso nella vita politica fu
segnato dalla fondazione del giornale moderato Il Risorgimento.
Dopo
avere seguito i corsi dell’Accademia militare, Cavour lasciò l’esercito
(1831) per dedicarsi a viaggi di studio in Francia, Belgio e Gran
Bretagna dove acquisì esperienza diretta della vita economica di quegli
stati, più progrediti e culturalmente più aperti del Piemonte.
Dal
1835 si occupò della gestione della tenuta di famiglia e di attività
bancarie. Nel 1848, quando decise di dedicarsi al giornalismo e
all’attività politica, il suo pensiero politico era già coerentemente
sviluppato verso un liberalismo moderato. Nel 1848 diventò deputato del
parlamento subalpino, nel 1850 ministro dell’Agricoltura, del Commercio e
della Marina. Nel 1851 fu ministro delle Finanze.
Prima di diventare
presidente del Consiglio, Cavour aveva promosso un accordo parlamentare
tra il centro-sinistra di Urbano Rattazzi e il centro-destra di cui lui
stesso era il leader. Con questo accordo, che prese il nome di
“connubio”, formò un unico raggruppamento di centro che gli dava
l’opportunità sia di organizzare una propaganda patriottica e
anti-austriaca, sia di avviare il Piemonte alla modernità.
Cavour
divenne presidente del Consiglio nel 1852, a 42 anni. Come capo del
governo si adoperò subito per sviluppare l’economia del suo paese e per
integrarla nel contesto europeo. La sua fu una politica liberoscambista:
i dazi sulle importazioni di oltre seicento articoli furono abbassati
(1851) e furono stipulati trattati commerciali con dieci paesi tra cui
Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna. La perdita dei diritti
doganali fu sostituita da tassazioni dirette, in modo che il
contribuente sapesse precisamente lo scopo per cui i soldi erano
versati. Negli anni '50 in gran parte d'Italia si registrò un'impennata
dei prezzi, dovuta principalmente a malattie dell'uva e dei bachi da
seta. Il settore cotoniero, grazie alla crisi della seta e al basso
costo del lavoro, realizzò una netta espansione. Fu sempre in quel
periodo che nacquero i primi nuclei dell'industria metallurgica,
siderurgica e meccanica.
Sotto la guida di Cavour il Piemonte pagò i
debiti di guerra all’Austria ed aumentò considerevolmente gli scambi
commerciali. La riduzione dei dazi doganali favorì l'incremento del
commercio e diede energia a tutta l'economia. L'agricoltura fu favorita
da vaste opere di bonifica, il telegrafo mise in collegamento Torino con
Genova, con Parigi e con la Sardegna; furono costruite ferrovie che
collegavano Torino con Genova, con Milano e con la frontiera francese.
Nel 1857 iniziò il lungo lavoro di realizzazione del traforo del Frejus,
concluso poi nel 1870. Era, in quei tempi, il tunnel ferroviario più
lungo al mondo, oltre 13 chilometri.
L'azione di Cavour, però, anche
se costantemente elogiata dalla maggioranza degli storici non era priva
di difetti. Fu l'ex ministro delle finanze Thaon di Revel a
rimproverargli l'abuso del credito nei bilanci dello stato. Gli
interessi sugli enormi prestiti che Cavour, con avventato ottimismo,
aveva chiesto alle banche pesavano parecchio sulle casse statali, e il
bilancio dello stato, alla fine del decennio, era gravemente in rosso.
Questo problema restò in eredità al nuovo stato italiano dopo la morte
del conte.
La crisi “calabiana” e il primato del Parlamento
Nel novembre del 1854 si discuteva in parlamento una legge proposta da Cavour volta
a sopprimere gli ordini religiosi contemplativi (quelli che non si
occupavano di assistenza dei malati o d'istruzione) e a incamerare i
relativi beni immobili. Lo scopo del conte era quello di risolvere le
difficoltà finanziarie del regno. Secondo Cavour nel mondo moderno non poteva esserci spazio per
l'ozio e l'accattonaggio, e gli ordini mendicanti davano a tal
proposito un cattivo esempio (D. M. Smith, 1996, pp. 93-94).
L'opposizione della destra e dello stesso sovrano Vittorio Emanuele II,
che temeva una rottura con la Chiesa, provocò la cosiddetta “crisi
Calabiana”, dal nome del vescovo di Casale e senatore Luigi Nazari di
Calabiana, che si oppose strenuamente alla legge. Cavour fu costretto a
dimettersi il 26 aprile. Tuttavia, vista l'impossibilità di costituire
un governo alternativo, il 4 maggio il re dovette richiamarlo. La legge
passò grazie a un emendamento che garantiva ai religiosi degli enti
soppressi un alloggio e una pensione a vita. Fu proprio questa crisi
politica a far prevalere la prassi del parlamentarismo. Infatti lo
statuto non vincolava la nascita dei governi al sostegno di una
maggioranza parlamentare, ma soltanto al consenso del re. Dopo la crisi
del 1855 divenne prassi normale agganciare la durata di ogni governo
alla fiducia delle camere.
La guerra di Crimea
La Russia
mirava da tempo ad espandere la propria influenza sui Balcani e sul
Mediterraneo a spese dell’Impero Ottomano. Il progetto russo incontrava
però l'ostilità di Inghilterra e Francia, che lo consideravano dannoso
per i loro interessi economici.
Quando lo Zar Nicola I decise di
tentare la conquista degli stretti per raggiungere il Mediterraneo e
invase i due principati di Moldavia e Valacchia, Francia e Inghilterra
si opposero dichiarandogli guerra. L’Austria declinò l’invito a far
fronte comune per gli antichi rapporti di amicizia con i russi, e si
scusò affermando di non poter disarmare il territorio per non concedere
l’opportunità al Piemonte di aggredirla. Così, anche al Piemonte venne
offerta l’occasione di partecipare alla guerra in Crimea. Cavour era
combattuto, poiché l'opinione pubblica e l'intero gabinetto erano
contrari alla guerra. Si convinse solo quando venne a sapere che il re,
che guardava con favore alla guerra, stava negoziando privatamente coi
francesi (Mack Smith, 1996, p.91). Il Piemonte inviò 18.000 uomini in
Crimea che si distinsero nella Battaglia della Cernaia, respingendo un
tentativo russo di rompere l'assedio di Sebastopoli. Vinta la guerra, il
Regno di Sardegna ottenne di poter partecipare da nazione vincitrice al
Congresso di Parigi del 1856.
Al congresso Cavour, pur non ottenendo
aumenti territoriali, poté illustrare la situazione italiana e
denunciare il malgoverno dei Borboni a Napoli come causa di tensioni
rivoluzionarie in tutta la penisola e come minaccia alla pace e
all’equilibrio europeo.
Il fallimento di Pisacane e la nascita della Società Nazionale
Fra
i democratici italiani, si venivano delineando nuovi orientamenti che,
da diversi punti di vista tendevano a mettere in discussione la figura
di Mazzini e a contestarne la strategia.
Giuseppe Ferrari, un
avvocato milanese che insegnava filosofia all’università di Strasburgo,
nel libello La Federazione Repubblicana sosteneva che si dovesse
anteporre la rivoluzione sociale a quella nazionale; prima di pensare
all’unità d’Italia bisognava placare la fame della gente.
Nel giugno
del 1857, Carlo Pisacane, un democratico italiano influenzato da
Ferrari, ex ufficiale dell’esercito borbonico, guidò una spedizione con
pochi compagni e oltre trecento galeotti che aveva liberato dal carcere
di Ponza. Egli sbarcò a Sapri, nella Campania meridionale, per
organizzare una rivoluzione contadina contro i Borboni. Tuttavia nessuna
delle condizioni che avrebbero dovuto assicurare la riuscita del piano
si verificò. I rivoltosi guidati da Pisacane furono annientati dai
contadini e dalle truppe borboniche. Pisacane, ferito, si uccise per non
cadere prigioniero.
Il fallimento della spedizione di Sapri
coincise con la nascita ufficiale del movimento indipendentista filo
piemontese. Per iniziativa di uomini come Giuseppe La Farina e Daniele
Manin, nel luglio del 1857, il movimento si diede una struttura
organizzativa e assunse il nome dl Società nazionale. L’associazione,
che ebbe tra i suoi membri anche Garibaldi, dichiarava di appoggiare la
monarchia sabauda finché questa avesse sostenuto la causa italiana.
Noncurante degli insuccessi, Mazzini fondò il Partito d'Azione,
un'organizzazione di cospiratori con l'obiettivo dell'unità
repubblicana.
I patti con la Francia
Paradossalmente fu
proprio il gesto di un rivoluzionario democratico ad affrettare
l’alleanza franco-piemontese che poteva risolvere il problema italiano.
Nel gennaio del 1858, un gruppo di congiurati guidati da Felice Orsini
attentò alla vita dell’imperatore Napoleone III e sua moglie lanciando
tre bombe contro la sua carrozza, ma fallì l’obiettivo provocando molti
morti e feriti tra la folla che assisteva al passaggio del corteo
imperiale. Orsini, che fu subito arrestato con i suoi complici e
condannato a morte, affermò di aver agito di propria iniziativa.
Cavour
provò molto disagio alla notizia dell'attentato all'imperatore, poiché
Orsini, in quanto attivista non mazziniano, aveva ricevuto finanziamenti
segreti anche dal governo di Torino. L’attentato suscitò in Francia un
sussulto di sentimenti antitaliani. Per evitare che i rapporti con la
corte di Napoleone si deteriorassero, Cavour fece spedire in America
alcuni presunti agitatori. Quindi, utilizzò ogni strumento a sua
disposizione per convincere Napoleone a sottoscrivere un accordo
militare col Regno di Sardegna.
Orsini, prima di essere ucciso, si
dichiarò pentito del suo gesto e scrisse una lettera all’imperatore per
pregarlo di trovare un rimedio alla situazione italiana, ricordandogli
che: «sino a che l'Italia non sarà indipendente, la tranquillità
dell'Europa e quella vostra non saranno che una chimera». Le parole di
Orsini ebbero un effetto sorprendente: l'assassino, agli occhi di molti
italiani, divenne un martire. Era stato lo stesso Napoleone III a
inoltrare la lettera in Italia. Egli desiderava realizzare un’iniziativa
francese che soppiantasse l’egemonia austriaca in Italia, eliminando al
tempo stesso un pericoloso focolaio di tensione rivoluzionaria (Mack
Smith, 1996, pp.149-159).
L'alleanza franco-piemontese fu quindi
combinata in un incontro segreto fra l’imperatore e il capo del governo
piemontese svoltosi nel luglio del ‘58 nella stazione termale di
Plombieres, dove l'imperatore stava trascorrendo un periodo di vacanza.
Gli accordi, per il momento soltanto verbali, ipotizzavano una nuova
distribuzione dei territori della penisola italiana: al nord si sarebbe
creato il Regno dell’Alta Italia comprendente oltre al Piemonte, il
Lombardo-Veneto e l’Emilia Romagna sotto il potere dei Savoia (che in
cambio avrebbero ceduto alla Francia la Savoia e, forse, Nizza); al
centro il Regno dell’Italia centrale formato dalla Toscana e dai
territori pontifici che, secondo Cavour, sarebbero dovuti andare, almeno
temporaneamente, alla duchessa di Parma, una Borbone gradita a
Napoleone III; il Regno meridionale liberato dai Borboni sarebbe stato
posto sotto l’influenza francese, mediante l’incoronamento di un figlio
di Murat. AI papa, che avrebbe conservato lo Stato della Chiesa ridotto
al Lazio, sarebbe stata offerta come consolazione la presidenza della
futura Confederazione italiana.
L'accordo venne poi ratificato con un
trattato in cui si affermava che, in caso di guerra con l’Austria, la
Francia avrebbe fornito 200 mila soldati e il Piemonte 100 mila. L'idea
di assegnare il «Regno dell'alta Italia» al re di Sardegna fu confermata
assieme alla cessione di Nizza e Savoia alla Francia, ma non si fece
menzione di altre modifiche territoriali nel resto d'Italia. Le spese di
guerra sarebbero state rimborsate ratealmente dai piemontesi.
Un Grido di dolore
Premessa
indispensabile per la riuscita dei progetti di Cavour era comunque la
guerra contro l’Austria, ma per rendere operante l’alleanza con la
Francia era necessario che il conflitto apparisse provocato dall’Impero
Asburgico. In un primo momento il piano di Cavour prevedeva di provocare
l'insorgere della città di Massa, che si trovava sotto la sovranità del
duca di Modena Francesco V, il quale non riconosceva Napoleone come
imperatore di Francia. Questo avrebbe fornito il pretesto per
intervenire e suscitare una reazione austriaca. Nel gennaio del 1859
Vittorio Emanuele II pronunciò un discorso alle camere dicendosi
«sensibile alle grida di dolore che da tante parti d’Italia si leva
verso di noi». Erano parole suggerite dallo stesso imperatore francese
che suscitarono profondo entusiasmo e commozione tra i patrioti
italiani.
Col passare delle settimane, però, alla corte di Napoleone
III il partito favorevole alla guerra si era alquanto affievolito. Il
ministro degli esteri Walewski (figlio di Napoleone Bonaparte) era
apertamente contrario. Un intervento in questo momento avrebbe suscitato
il biasimo internazionale, tenuto anche conto che la Russia, col
consenso di Francia e Inghilterra, aveva proposto di discutere la
questione italiana in una conferenza internazionale. Inghilterra e
Prussia chiesero al Piemonte di disarmare. Anche Vittorio Emanuele
iniziò a convincersi che il congresso avrebbe potuto offrire importanti
vantaggi al suo Regno. Cavour, invece, restava ostinatamente contrario.
Quando anche i francesi gli chiesero di accettare la proposta di
disarmo, preso dallo sconforto, vedendo dileguarsi il piano di
espansione del Piemonte, pensò addirittura di suicidarsi. Qualche giorno
dopo, accantonati i propositi di suicidio, si piegò malvolentieri alla
richiesta di disarmo. Fu allora che il governo austriaco, sperando che
Napoleone non avrebbe protetto il Piemonte, reagì alle numerose
provocazioni consegnando un ultimatum (23 aprile) prontamente respinto
da Cavour. Era una decisione avventata e arrogante, frutto di
valutazioni sbagliate e per molti aspetti incomprensibile. Un vero colpo
di fortuna per il conte di Cavour.
Materiali di filosofia e storia utili per alunni del liceo scientifico o classico
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