La nascita della filosofia


La filosofia (dal greco φιλοσοφία, composto di φιλεν (filèin = amare) e σοφία (sofìa = sapienza), ossia amore per la sapienza, è la disciplina che, in occidente, si è configurata come un indagine critica e razionale intorno agli interrogativi di fondo che l’uomo si pone circa se stesso e le realtà che lo circondano.


La nascita della filosofia nel sesto secolo a.C. presso i greci è uno degli eventi più decisivi della storia dell’uomo. Secondo alcuni studiosi, come Emanuele Severino, si può ritenere addirittura che sia il più decisivo, se ci si rende conto che il modo in cui la filosofia si è presentata sin da suo inizio sta alla base dell’intero sviluppo della civiltà occidentale, e che le forme di questa civiltà dominano ormai su tutta la terra e determinano perfino gli aspetti più intimi della nostra esistenza individuale. Anche se non ce ne rendiamo conto noi siamo già nella “casa della filosofia”. Noi viviamo in un occidente che ha già visto due guerre mondiali, abbiamo vissuto un lungo periodo di tensione denominato “guerra fredda”. Lo scontro tra capitalismo e socialismo reale, che ha segnato il novecento, è lo scontro tra due filosofie.

La civiltà occidentale si presenta oggi come “civiltà della tecnica”. È da questa organizzazione che i popoli privilegiati – ossia quelli che l’hanno costruita – ricevono tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere; ma è ancora questa organizzazione ad avere predisposto le condizioni dell’annientamento della razza umana in seguito a una catastrofe nucleare. La tecnica è incomprensibile se non viene pensata in relazione alla scienza moderna. Ma è la filosofia greca ad aver reso possibile la nascita della scienza moderna (E. Severino, La filosofia antica, ed. Rizzoli).

Riprendendo uno spunto di Platone (428/27 – 348/47 a. C.), Aristotele (384/83 – 322 a. C.) dice che gli uomini sono spinti a filosofare dalla “meraviglia”: dalla “meraviglia” che essi provano quando, di fronte agli accadimenti del mondo, ne ignorano le cause. Cercano quindi la filosofia per se stessa, perché vogliono conoscere; non perché intendano servirsi della filosofia in vista di qualche vantaggio.

Tuttavia la parola greca “thauma”, che traduciamo con “meraviglia”, ha un significato molto più intenso: indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se, infatti, non si conoscono le “cause” di ciò che accade – se ciò che accade non rientra nella spiegazione del mondo della quale di volta in volta si trova in possesso -, allora l’accadimento delle cose è “l’inquietante” e diventa la fonte di ogni terrore e di ogni angoscia. E anche di ogni dolore, perché la sofferenza è insopportabile quando non è spiegabile e si avventa sull’uomo imprevedibile e senza ragioni. I greci sentivano su di loro le zanne del destino e l’alito dei mostri: i leoni descritti da Omero non erano, come per noi, allegorie, ma belve appena estinte, che fino a poco tempo prima avevano reso spaventosi i boschi della Grecia (L. Zoja, “Il Gesto di Ettore”).

Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende dire (anche se evita di sottolinearlo) che la filosofia nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del divenire della vita. Conoscendo le cause del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella spiegazione stabile del senso del mondo, e quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita.

Anche il cristianesimo si presenta come il rimedio contro l’infelicità e il dolore (rimedio ultramondano), ma ha un rapporto con le masse che la filosofia non possiede. D’altra parte il cristianesimo – come l’intera cultura occidentale – cresce all’interno della dimensione che la filosofia greca ha aperto una volta per tutte.

Il filosofo Arthur Schopenhauer (1788-1860) ha espresso osservazioni molto interessanti a questo proposito. Egli sostiene, ad esempio, che l’uomo è un “animale metafisico”, che non può fare a meno di interrogarsi: 


“Ad eccezione dell'uomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza: anzi, per tutti gli altri esseri, l'esistenza è una cosa talmente ovvia, che essi non la notano.(….) La meraviglia filosofica, che deriva da questa disposizione, è viceversa condizionata da un più elevato sviluppo dell'intelligenza individuale: tale condizione però non è certamente l'unica, ma è invece la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore e della miseria della vita, che ha senza dubbio dato l'impulso più forte alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo. Se la nostra vita fosse senza fine e senza dolore, a nessuno forse verrebbe in mente di domandarsi, perché il mondo esista e perché sia fatto proprio così, ma tutto ciò sarebbe ovvio» (A. Schopenhauer, Suppl., cap. XVII).


Proprio nel passo dove stabilisce il nesso tra filosofia e “meraviglia”, Aristotele osserva che il “philòmithos” (colui che ama il mito) é in qualche modo filosofo, perché anche la costruzione dei miti scaturisce dalla “meraviglia”, cioè dal terrore che il divenire della vita produce nell’uomo. Anche il mito, infatti, raccoglie gli eventi del mondo all’interno di una spiegazione unitaria: predispone un’interpretazione stabile dell’universo e attende, preparato da essa, l’irrompere degli eventi, i quali dunque perdono la loro imprevedibilità terrorizzante e si adeguano all’ordine cosmico enunciato dal mito. Anche la conoscenza mitica delle cause e degli eventi è un rimedio contro il terrore dell’imprevedibile.

Il mito è, però, un rimedio insicuro, perché il senso mitico del mondo non è verità (…): non è scoperto dal sapere incontrovertibile e assolutamente stabile che la filosofia, in quanto epistéme – sapere inconfutabile - si propone di essere. Se la fonte di ogni terrore e di ogni angoscia è l’imprevedibilità degli eventi, (…) ne viene che il rimedio contro il terrore e il dolore è saldo e sicuro solo se non consiste nella conoscenza mitica, ma nella conoscenza vera, epistemica dell’Origine e del Senso del mondo. Agli occhi della filosofia, la conoscenza mitica è soltanto la volontà che il mondo abbia un certo senso piuttosto che un altro, e contro questa volontà ci sono altre volontà che propongono altri e contrastanti sensi del mondo. Quando i primi pensatori greci scoprono l’idea della verità – l’idea dell’epistéme - , il rimedio approntato dal mito contro il terrore non può non apparire loro inaffidabile, insicuro, inefficace. Solo la verità può salvare dal dolore del divenire; solo l’epistéme è il rimedio contro il terrore. Solo il filosofo può essere felice. (E. Severino, La filosofia contemporanea, ed. Rizzoli).

I greci capirono per primi che esisteva qualcosa che si può chiamare stato naturale, dotato di leggi proprie che lo regolavano, sottratto all’irrazionalità delle litigiose forze divine: l’osservazione della costanza della natura, e quella dell’incostanza degli dei, furono parallele. Porteranno precocemente all’invenzione delle scienze e della filosofia, che sostituiranno la religione (L. Zoja, “Il Gesto di Ettore”).

I primi pensatori hanno chiamato questo sapere con antiche parole della lingua greca che hanno assunto da quel momento un significato inaudito. Queste parole sono: sophia, lógos, alétheia, epistéme. Se vogliamo tradurle esse corrispondono rispettivamente a "sapere", "ragione", "verità", "scienza". Ma queste parole ci dicono poco se non le poniamo in relazione a quel significato inaudito. Quanto alla parola philosophia ("filosofia"), che però compare nella lingua greca insieme a ciò di cui essa è il nome, essa significa, appunto, alla lettera (philo-sophia) "aver cura del sapere". Se si accetta l'ipotesi che in sophos, "sapiente" (su cui si costruisce il termine astratto sophia), risuona, come nell'aggettivo saphés ("chiaro", "manifesto", "evidente", "vero"), il senso di phaos, la "luce", allora "filosofia" significa aver cura per ciò che, stando nella "luce" (al di fuori cioè dell'oscurità in cui stanno invece le cose nascoste - e alétheia, "verità", significa appunto, alla lettera, "il non esser nascosto") non può essere in alcun modo negato. "Filosofia" significa" l'aver cura della verità", dunque - dando anche a quest’ultimo termine il significato inaudito dell’”assolutamente innegabile” (E. Severino, La filosofia antica, ed. Rizzoli).

I principali ambiti problematici in cui si è articolato il discorso dei filosofi occidentali sono rappresentati dalla metafisica, dalla gnoseologia e dall’etica.

Per metafisica (dal gr. metà tà physiká, «dopo la fisica») si intende quella parte della filosofia che si interroga sulle strutture fondamentali e sulle cause supreme delle cose. All'inizio, con i presocratici, la metafisica ha preso le sembianze della cosmologia (dal gr. kósmos, «universo» e logos, «discorso»), ossia di un'indagine intorno all'universo naturale e ai principi che lo costituiscono. In seguito, soprattutto con Aristotele, si è presentata nelle vesti dell'ontologia (dal gr. On óntos, part. pres. di êinai, «essere» e logos,«discorso»), ossia di una trattazione intorno all'essere o alla realtà in generale. Strettamente connessa alla metafisica è la teologia (dal gr. theós, «Dio» e lógos, «discorso»), che si interroga intorno all'esistenza e all'essenza di Dio. Domande tipiche della metafisica sono quindi: «quali sono i principi o gli elementi di base dell'universo?», «che cos'è l'essere in sè?», «esiste o meno un Dio?», «l'ordine del cosmo obbedisce ad un piano intelligente o è frutto di una necessità meccanica?» ecc.

Per gnoseologia (dal gr. gnosis, «conoscenza» e logos, «discorso») si intende quella parte della filosofia che si occupa dei problemi relativi alla natura e alla validità della conoscenza umana. La gnoseologia o teoria della conoscenza si concretizza in domande del tipo: «da dove provengono le nostre cognizioni?», «in che rapporto stanno la mente e le cose, il pensiero e l'essere?», «quali relazioni sussistono fra i sensi e la ragione?», «che valore hanno i nostri concetti?»,«quali sono le garanzie di un sapere vero?».

Connessa in qualche modo alla gnoseologia è la logica (dal gr. logos, «discorso», «ragione», «pensiero»), la quale si occupa delle regole e delle modalità attraverso cui formuliamo i nostri giudizi e i nostri ragionamenti.

L' etica (dal gr. ethos, «costume») o morale (dal latino mos, «costume», «modo di vita») è quella parte della filosofia che studia il nostro comportamento e le norme cui esso obbedisce, sia descrivendo come di fatto agiamo, sia prescrivendo come dovremmo agire. Domande tipiche della ricerca etica sono: «quali sono i motivi che ci spingono ad agire?», «che cos'è il bene?», «qual è il fine ultimo di tutte le nostre azioni?», «che cos'è la felicità?», «da dove possiamo ricavare le norme ispiratrici della nostra condotta?». 

Strettamente connessa all'etica è la filosofia politica che si occupa (in modo descrittivo o prescrittivo) dei problemi relativi alla vita associata, concretizzandosi in questioni del tipo: «qual è il fine dello Stato?», «quali sono le forme ottimali di governo?», «chi deve comandare?», «che cos'è la giustizia?», «che cos'è la libertà?» (Abbagnano, Fornero, Protagonisti e testi della filosofia).


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